Triste e beffardo destino quello di Donald Trump. Unico presidente statunitense degli ultimi trent’anni a non essere riconfermato per un secondo e ultimo mandato. Non gli è riuscito quello che era riuscito prima di lui a Clinton, Bush II e Obama.

Mentre scriviamo il copione si sta svolgendo più o meno secondo le aspettative. Il voto postale, in gran parte democratico, sta spostando decisamente le sorti a favore di Biden. E prevedibile era pure l’isterica reazione di Donald che si agita scompostamente pur di non accettare il risultato elettorale, chiedendo che il voto sia riconteggiato laddove è stata certificata la vittoria di Biden e che venga fermato il computo laddove le schede postali stanno portando all’affermazione dello stesso. Fin dove arriverà la reazione di Trump? Sicuramente fino alla Corte suprema e forse anche oltre, ma con davvero inconsistenti motivazioni giuridiche. Il ricorso presentato al tribunale del Michigan è stato giudicato già infondato dal giudice competente per vari motivi,. https://twitter.com/mo87mo87/status/1324417625796104192?s=20. Si concretizzeranno quindi gli appelli più o meno larvati alla guerra civile che Donald ha indirizzato alle sue truppe, istituzionali o paramilitari che siano? Ancora presto per dirlo, ma nessuno scenario andrebbe scartato a priori, dato il livello senza precedenti della crisi del sistema, che è anche e soprattutto crisi istituzionale e democratica. Del resto le radici di tale crisi sono da tempo presenti. Un sistema che cosparge di trabocchetti, come spiega Michela Arricale in questa intervista https://www.spreaker.com/user/11689128/201103-intervista-usa-michela-mp3cut-net, la strada delle classi meno agiate per esprimere il proprio voto e che consente un’aperta discriminazione politica, dato che l’affiliazione degli aspiranti al voto è generalmente nota sin dall’inizio. Uno Stato che presenta un meccanismo elettorale estremamente bislacco, che ha consentito allo stesso Trump di essere eletto presidente, quattro anni fa, nonostante avesse registrato ben tre milioni di voti in meno della sua avversaria. Uno Stato che non si perita di dare lezioni di democrazia a destra e a manca e che più di una volta ha tentato di esportare ed imporre manu militari il proprio alquanto fallimentare modello di “democrazia”, con gran numero di vittime e danni incommensurabili alla comunità internazionale. Anche se in molti hanno insinuato che in realtà più che alla democrazia fosse interessato in tali occasioni alle risorse petrolifere e di altro genere dei Paesi invasi. Noi di Patria Grande, la cui più grande aspirazione è promuovere l’autodeterminazione e la sovranità dei Paesi dell’America Latina, siamo ben consapevoli del fatto che “lo Stato profondo” che va al di là di Trump e Biden, ha delle proprie necessità strategiche da soddisfare. E che tale “Stato profondo” non si dissolverà in caso di vittoria del candidato democratico. Eppure non può lasciarci oggi indifferenti la sofferenza e l’impegno della parte migliore del popolo statunitense che vuole oggi liberarsi da Trump, anche se per farlo ha dovuto, assecondando quanto deciso da Obama e dagli altri bramini democratici, far convergere il proprio voto su di un personaggio non proprio esaltante e non proprio carismatico come Biden. Refrattari del resto alla logica demenziale del “tanto peggio tanto meglio” siamo altrettanto consapevoli del fatto che la pattuglia di giovani deputate radicali, che si sta consolidando all’interno del Partito democratico costituisca un interlocutore importante per nuovi assetti a livello regionale ed internazionale. Come pure è evidente che Donald Trump non sia stato secondo a nessuno nel promuovere il peggiore interventismo imperiale in America Latina e nel resto del mondo, inasprendo le sanzioni genocide contro Cuba, Venezuela e Nicaragua e promuovendo colpi di Stato come in Bolivia, per non parlare del suo naturale feeling coll’altro campione di democrazia che risponde al nome di Jair Bolsonaro. L’auspicabile sconfitta di Trump costituisce quindi oggi un passaggio indispensabile. Dobbiamo essere pronti a solidarizzare colla maggioranza del popolo statunitense che ne chiede a gran voce l’uscita di scena e potrebbe pagare un altissimo prezzo per ottenerla. Non è detto che Donald riesca a fare in patria il colpo di Stato che non gli è riuscito né in Venezuela, né in Nicaragua, né in Bolivia. Noi scaramanticamente gli auguriamo un destino simile a quello del suo protetto Guaidò. Autoproclamarsi presidente degli Stati Uniti nell’indifferenza e ilarità generale, senza neanche un Trump disposto a prenderlo sul serio e a riempirlo di milioni di dollari per non fare nulla di significativo. (di Patria Grande · Pubblicato 06/11/2020 · Aggiornato 05/11/2020)