di Agostino Spataro
1… La foto che vedete in copertina ritrae la “Bab el Yemen” di Sanaa in una mattina di maggio del 1988. Mi chiedo: cosa resta, oggi, di questa bellissima porta medievale, dei “grattacieli”,

delle moschee di Sanaa, della città-presepe di Jiblah?
Una domanda angosciante che tutti dovremo porci, specie gli “intellettuali”, i confezionatori di notizie, poiché laggiù, fra le montagne del Rem e le piane costiere di Mokka, si sta distruggendo uno dei più importanti patrimoni culturali e architettonici dell’umanità.
A Sanaa e nelle altre magnifiche città di questo Paese povero e gentile si conservano i resti dell’antica e raffinata civiltà sabea, la più evoluta e prosperosa della penisola arabica, dove visse e governò, con sapienza e lungimiranza, Bilqis (alias la regina di Saba) la più grande regina d’Arabia.
Oggi, lo Yemen, il suo popolo sono vittime di un’aggressione proditoria e sanguinosa scatenata dai ricchissimi e potenti regnanti sauditi ed emiratini, supportati dagli Usa e da alcune minipotenze della Nato.
Queste petro-monarchie continuano, nell’indifferenza mondiale, a bombardare (comoda la guerra dall’alto!) le bellissime e fragili città yemenite, a uccidere, a ferire decine di migliaia di civili, soprattutto donne e bambini, provocando malattie endemiche letali (quali il colera e la dissenteria, ecc) ed esodi di milioni senzatetto e di profughi che cercano di fuggire in Europa.
Un “capolavoro” di ignominiosa prepotenza, realizzato con aerei venduti dagli Usa e con bombe fabbricate in Sardegna per conto di una società tedesca.
Che dire? Vergogna per i prepotenti aggressori e ancor più vergogna per chi li arma.
Vergogna per questa guerra scellerata che alimenta sofferenze, odi e scava nuovi fossati di dolore, di odio, di risentimenti. I superstiti non dimenticheranno i loro morti!”
Invece di ponti di pace e di solidarietà, una nuova frattura fra Oriente e Occidente.

2… Un favoloso patrimonio culturale e architettonico, appartenente all’umanità, rischia di soccombere sotto i bombardamenti dei “nuovi barbari” straricchi di dollari e petrolio. Visitai lo Yemen qualche anno fa e ne restai incantato. Scrissi un libro * dal quale ho tratto i seguenti brani.
“… Pier Paolo Pasolini (in “Corpi e luoghi”, 1981) scrive che “Lo Yemen - architettonicamente, è il più bel Paese del mondo. Lo stile yemenita, un enigma solo parzialmente risolto, o di cui solo pochi sanno, se c’è, la soluzione».
Visitandolo si prova la gradevole sensazione di viaggiare dentro la favola di un Oriente mitico che, nonostante tutto, resiste alle tentazioni del falso modernismo e si propone come soggetto del dialogo fra le civiltà. Il viaggio nello Yemen è come un cammino a ritroso nel tempo, dentro un medioevo islamico che sopravvive, isolato, a contatto con una natura aspra e incontaminata, aggrappato a città e villaggi popolati di gente fiera ed ospitale, di torri e minareti e palazzi carichi di storia.
Lo Yemen è come un grande scrigno che contiene i tesori più pregiati di tutta l’Arabia: da Sana’a, la capitale, con i suoi famosi “grattacieli” ad Aden il grande porto coloniale (un tempo importante quanto quello di New York); da Mareb, con i ruderi della grande diga (costruita 3700 anni fa) e i templi di Bilqis, la celebrata regina di Saba a Taiz coi palazzi- fortezza degli ultimi folli Imams (sovrani il cui potere millenario fu abbattuto da un golpe militare nel 1962); da Zabid, nel cuore della Tihama, dove Pasolini girò il film “Il fiore delle mille e una notte” a Mokka il porto da dove partì il primo carico di caffè verso le corti di Vienna e di Parigi; da Jiblah, città-presepe dominante la montagna yemenita, già capitale dei regni medievali di altre due celebri regine, Asma e Arwa, al deserto infinito che da Sa’da scende fino al porto di Mukallà, passando per la vasta distesa dell’Hadramaut, fino al confine con l’Oman.
Nomi e luoghi che illuminano di luce smagliante i superbi resti di una fra le più antiche e celebrate civiltà che, ancor oggi, emana un magnetismo esotico a cui è difficile sfuggire. Per illustrarla, tenterò, qui, una descrizione sintetica dei luoghi più rinomati che ho visitato qualche anno addietro.

A Mareb, fra i templi della regina di Saba
Mareb era l’antica capitale del mitico regno dei Sabei. Qui sono custoditi i grandiosi templi di Bilqis, la celebre regina di Saba, i resti della grande diga del 1700 a.c. e altri tesori di quella fiorente e raffinata civiltà. Superata la catena del Rem, c’immettiamo in una sterile vallata che “non produce da almeno 1000 anni” - ci dice la guida - “da quando è crollata la Dam (diga), definitivamente”.
Il paesaggio è arido, monotono, spezzato da rari gruppi di tende nere beduine. Sono nomadi che vagano nel deserto, da un’oasi all’altra, alla ricerca di acqua e di pastura per gli armenti.
Qui il nomadismo è ancora diffuso soprattutto lungo tutta l’ampia fascia desertica, detta “terra di nessuno”, che dovrebbe segnare i contesi confini con l’Arabia e l’Oman.
Il beduino (dall’arabo “badawi”, abitante del deserto) non riconosce i confini convenzionali degli Stati, per casa ha la tenda e per patria il deserto infinito, senza barriere, coi suoi segreti e suoi tormenti. Ed è qui, nella solitudine delle sabbie, che inevitabilmente incontra Dio. Non è casuale che le tre principali religioni monoteiste (ebraica, cristiana ed islamica) siano nate nei deserti a nord dello Yemen, fra la Palestina e la Mecca.
L’attuale città di Mareb è la terza edificata negli stessi luoghi. La prima, la florida e potente capitale del regno di Bilqis, è sepolta sotto la sabbia; la seconda, ancora in piedi e disabitata, e solo l’ombra impietrita di un vile passato…
Di quella colossale diga (una delle 7 meraviglie dell’antichità) restano due enormi bastioni che segnano le estremità della barriera e alcuni canali interrati.
La gran parte della città sabea riposa sotto dolci colline di sabbia finissima, dalla quale emergono due gruppi di colonne quadrate, alte anche 7 metri, che sono i resti dei templi dove officiava Bilqis.
Quello più grande è dedicato al dio Illumquh (la Luna) che nel pantheon astrale dei sabei era la divinità preminente e di sesso maschile, mentre il Sole era la sua sposa.
All’interno di questo tempio risiedeva la regina di Saba, il cui nome ogni yemenita porta nel cuore, poiché essa simboleggia l’apogeo della potenza e della gloria yemenite.
Bilqis creò un nuovo ordine economico e politico che si espanse in tutta l’Arabia meridionale, fin oltre le coste abissine del Mar Rosso dove sorsero colonie commerciali e importanti avamposti militari sabei. Mareb divenne il centro di un formidabile sistema di traffici carovanieri che assicuravano il flusso di merci preziose (spezie, oro, incenso, gemme, profumi, ecc.) dalle Indie e dall’Hadramaut verso i ricchi empori del Mediterraneo: egizi, fenici e romani.
Oggi, tutto questo è soltanto un intimo ricordo di pochi appassionati, giacché l’Islam zaidita (la confessione sciita dominante nello Yemen) non ammette che una donna avesse potuto creare e governare un regno così potente e rinomato.
Quasi che Bilqis fosse stata Satana in persona nelle sembianze di una bellissima regina.” Agostino Spataro  (*https://www.lafeltrinelli.it/…/notte-dello-sc…/9788826702322)