Dal 1999 siede a Bruxelles e non si dimette. Ha fondato la campagna su una menzogna Ma Nigel Farage non è un idiota, anzi. E nemmeno il leader di un partito di «matti, svitati e razzisti», come lo definì David Cameron. Farage (foto accanto) - è furbo, molto furbo. E pure un po' furbetto. «Il 23 giugno celebreremo il giorno della nostra indipendenza», gioisce dopo il referendum per cui tanto si è prodigato. E aggiunge: «Abbiamo vinto senza sparare un colpo», caduta di stile clamorosa, dopo l'omicidio della deputata Jo Cox nemmeno dieci giorni fa per mano di un fanatico. Ma Farage è fatto così. Lui che da anni sfida l'establishment britannico ed europeo a forza di proclami. Lui che si definisce «uomo del popolo», che spesso si fa fotografare al pub con un boccale di birra in mano. Lui che ha contribuito a fondare l'Ukip, il partito indipendentista britannico di cui è diventato leader. Ma lui, è lo stesso che occupa un comodo scranno al parlamento europeo dal 1999. Comodo e ben retribuito, s'intende. Tanto da ricandidarsi, venendo eletto, per quattro volte. E ben lieto di incassare ogni mese un cospicuo assegno, poco importa che questo sia in schifosissimi euro e non in meravigliose sterline. Lui lo incassa lo stesso. E a dimettersi da quell'istituzione che non riconosce, non ama e non rispetta, non ci pensa nemmeno. Anzi, ha anche assunto la moglie, tedesca (quindi straniera) come dipendente al parlamento europeo. «Pecunia non olet», il denaro non puzza, dicevano i latini, e il buon Nigel lo sa benissimo. «L'uomo del popolo» in realtà ha studiato in una delle più prestigiose ed esclusive scuole private di Londra, il Dulwich College, per poi entrare in una società londinese di brokeraggio merci, attività che ha portato avanti fino al 2002. Ma del resto Farage è uomo dalle mille contraddizioni, volute e cercate, of course. Nel 2009, il settimanale politico The Observer riferì di una sua dichiarazione nella quale ammetteva che durante il suo mandato al Parlamento europeo ha ricevuto un totale di 2 milioni di sterline (quasi 2 milioni e mezzo di euro) per lo staff, i viaggi e altre spese. La replica? Promise che i membri dell'Ukip a Bruxelles avrebbero fornito i dettagli delle spese sostenute. Promessa mai mantenuta. Non è un «politico nuovo» ma un politicante di lungo corso. Uno di quelli che sulle promesse irrealizzabili punta forte. Nella sua campagna per il «leave», ha tirato fuori una cifra enorme, 350 milioni di sterline, che a suo dire la Gran Bretagna verserebbe alla Ue ogni settimana. Cifra smentita ufficialmente. Ma lui ha insistito, anzi, rilanciato, promettendo che in caso di Brexit quei soldi sarebbero stati utilizzati per il servizio sanitario nazionale. Allettante. Peccato che il giorno dopo il voto si sia rimangiato in toto la parola dicendo che lui non aveva mai parlato di un impegno del genere, sebbene la frase fosse riportata a caratteri cubitali su tutti i volantini dell'Ukip. Il referendum doveva metterlo all'angolo ma lui, con una campagna appassionata e populista, alla fine, ha vinto. Difficilmente avrà un ruolo di responsabilità nei futuri quadri di potere inglesi. Ma ora può festeggiare. Nel suo amato pub, con fiumi di birra. (da il giornale.it - Matteo Basile)