Il 20 Marzo 2021, attraverso la firma di un decreto presidenziale, Erdoğan ha deciso l’uscita della Turchia dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. La “Convenzione di Istanbul”,

strumento internazionale firmato proprio nella città turca, è formato da un Preambolo, 81 articoli e da un Allegato ed ha l’obiettivo di creare, attraverso la cooperazione, un’Europa libera dalla violenza, e un quadro normativo adeguato alla protezione delle donne. É previsto che possa essere applicata sia in tempi di pace che in periodi di conflitto armato, durante i quali le violenze sulle donne sono perpetrate brutalmente. L’Italia l’ha sottoscritta il 27 settembre 2012 e il Parlamento ha autorizzato la ratifica con la Legge n.77/2013 però non è ancora entrata in vigore poiché è stata firmata da 32 Stati ma ratificata da solo 8 Stati degli almeno 10 necessari. La mossa del Presidente è palesemente volta al recupero del consenso perso negli ultimi anni in Turchia soprattutto da parte della fetta di popolazione più conservatrice e tradizionalista del Paese. Il suo partito Giustizia e Sviluppo (AKP) è stato indebolito principalmente dalla scissione, dalla quale sono nati altri due partiti (Partito del Futuro e partito Deva) e dalla sconfitta bruciante, nelle elezioni amministrative del 2019 di Istanbul e Ankara,due roccaforti conservatrici. Si tratta di un ritorno alle origini, ai valori radicali islamici sui quali è fondata la sua carriera politica. Nel Paese i tassi di inflazione e di disoccupazione sono in risalita e il trono del leader turco trema. Altra scelta simbolica è stata poi quella di licenziare il governatore della banca centrale turca, accusato di aver fatto salire i tassi d’interesse. Di fronte alle difficoltà, la linea adottata da Erdoğan è quella populista, nel tentativo goffo e neanche tanto celato di “riacchiappare” il suo elettorato, che va a discapito del livello di democrazia e libertà e che fa ripiombare il Paese nel buio dell’arretratezza. Lo dimostra l’indice di Democrazia (Index Democracy) misurato dall’ “Economist Intelligence Unit Index of Democracy”, che si attesta al 4.09 e che decreta la Turchia come un “Hybrid regime” posizionato al 110˚ posto su 167. La firma della Convenzione dimostrava tutta la volontà (strategica) di avvicinarsi ideologicamente ai requisiti richiesti dall’Ue per l’ammissione della Turchia come stato membro, quindi, di conseguenza defilarsi peggiora i rapporti e dimezza le possibilità che questo possa avvenire. A peggiorare il clima si è aggiunto il “Sofagate”, che da un lato conferma il “conservatorismo” del sultano e dall’altro sottolinea come anche in Europa, considerato il gesto istintivo di Charles Michel di sedere comodamente in poltrona, ci siano ancora importanti problemi sul tema del rispetto della donna che ricopre incarichi di rilievo, in questo caso la Presidente della Commissione Europea, ed una grave inettitudine diplomatica. A ben pensare l’ultima vicenda evidenzia anche un altro aspetto problematico, l’inconcepibile offerta di soldi (oltre 3 miliardi) da parte dell’Unione al regime, in cambio del controllo delle frontiere esterne con l’intento di trovare così soluzione alla questione migratoria. Ciò che si vede è un’Europa debole, appesa al ricatto dell’uomo forte, costretta a trattare per fronteggiare una crisi che non sa superare, mettendo in discussione i valori e i principi su cui è fondata e che si vanno sbiadendo. Il pluralismo politico in Turchia è minato dalla crescente repressione, che coinvolge studenti, attivisti e parlamentari. Numerosi sono i partiti filo curdi e di sinistra messi al bando in questi anni, nel tentativo di raggiungere la mancata maggioranza assoluta in parlamento. La condizione femminile viene descritta dall’alto numero di femminicidi giornalieri e dall’isolamento dal mondo del lavoro e dalla vita politica subito, anche inconsapevolmente dalle donne turche; basta considerare che il 40% delle donne che non lavora sostiene Erdoğan. In merito all’uscita dalla Convenzione di Istanbul ben il 64% dei turchi non è d’accordo, e migliaia di donne sono scese in piazza per gridare il proprio dissenso nei confronti di una scelta che le vede ancora più esposte alla violenza dei loro partner e conviventi. Diversi attivisti ed avvocati si sono rivolti al Consiglio di Stato turco presentando una causa di annullamento del decreto ministeriale. Nonostante i precedenti non facciano ben sperare, le donne turche e di tutto il mondo continuano a mobilitarsi e a non arretrare di fronte ad un regime che le vuole vittime emarginate. (A cura di Margherita Mantione)

Fonte: Internazionale