Sono dispiaciuto. Oggi al momento del voto del decreto legge che rinviava le elezioni dei Comites, ho lasciato l’aula e non ho votato. Il fatto è che per continuare a credere che un governo del nostro Paese (un qualsiasi governo - politico o tecnico che sia - come tutti quelli che si sono succeduti in questi decenni) prenda o prenderà in seria considerazione la questione "italiani all'estero" occorre davvero fare un esercizio di fede.

È solo con la fede, infatti, che possiamo continuare a credere che prima poi vedremo il miracolo. Crediamoci e basta. Così almeno tutti coloro, e sono tanti, che da decenni lavorano per dare dignità di attenzione ai nostri connazionali all'estero eviteranno non solo di fare la figura degli imbecilli ma daranno anche un senso, una ragione e una giustificazione al loro lavoro. Che peccato. C'è davvero da ricordare con nostalgia i bei tempi delle accese e partecipate riunioni dei Coemit, dei Comites e del Cgie. È pur vero che questi organismi di rappresentanza sono stati sempre come fumo negli occhi per il Ministero degli esteri, per i consoli e per gli ambasciatori e che il nostro parere valeva meno del due di briscola ma è altrettanto vero che, grazie al nostro lavoro, abbiamo mantenuto in vita e dato reale dignità alle questioni poste dalle nostre comunità che hanno saputo dimostrare di essere una grande e reale risorsa per il nostro Paese. Il guaio è che il nostro Paese questa cosa non l'ha mai capita. Fosse dipeso solo dal nostro paese, che abusa della parola "risorsa" solo per riempirsene la bocca, di questione emigrazione" e "di italiani all'estero" non se ne parlerebbe ormai più da decenni: tutto si sarebbe risolto col ben noto “prendete il passaporto, cercate di imparare una lingua e levatevi dai piedi”. Però i nostri emigrati (che il “politically correct” ci impone ora di chiamare “italiani all’estero”) non ci sono stati ad assecondare questo ripulisti e a non essere più “italiani” ma anzi, anche negli anni difficili dell’emigrazione, hanno mantenuto in vita e salvato il nostro paese con le loro rimesse, sono rimasti legati alla nostra Italia, alle nostre tradizioni, alla nostra storia, alla nostra cultura, alla nostra cucina, alla nostra lingua, al nostro made in Italy e a tutto l’infinito mondo del nostro paese, hanno dato vita, senza che nessuno glielo chiedesse, alle loro associazioni, iniziando per primi a insegnare la lingua italiana ai loro figli e nipoti, hanno fondato i loro giornali, stampa povera o ricca che sia, riuscendo, in qualche modo – i miracoli dunque ci sono davvero? -, con la loro tenacia a ottenere legittimità di rappresentanza associativa, culturale e finalmente anche politica. E visto che, obtorto collo, il nostro paese e i nostri governi, hanno dovuto ingoiare il rospo e accettare questo stato di cose, i nostri Comites e CGIE non avevano fatto a tempo a nascere che subito hanno dovuto iniziare a difendersi dagli attentati alla loro stessa esistenza. E visto che nonostante i continui e reiterati tagli di fondi a tutto quello che riguardava questi organismi e il progressivo depauperamento del loro ruolo ridotti a organi di espressione di un mero parere consultivo che spesso, fregandosene anche della legge, non veniva nemmeno richiesto, e visto appunto che nonostante tutto questo, Comites e CGIE sono stati determinati a continuare a esistere, i governi che si sono succeduti in questo ultimo decennio hanno tirato fuori la trovata, credo questa volta davvero vincente, di aspettare che Comites e CGIE morissero non solo di inedia per la mancanza di fondi ma anche di fisiologica morte naturale. Hanno deciso semplicemente di non rinnovarli più. Se non erro siamo ormai al quarto rinvio. Adesso se tutto va bene, e solo per chi crede nei miracoli, i Comites e conseguentemente il CGIE saranno rinnovati nel 2014. Dieci anni dopo l’ultima elezione del 2004. Segnali di vecchiaia, decadenza, demotivazione, stanchezza, se non addirittura di agonia sono forti e diffusi in quasi tutto il mondo. Personalmente dubito che nei prossimi anni a venire qualcuno si ricorderà più cosa sono, o meglio cosa sono stati, Comites e CGIE. Il primo, il secondo e anche il terzo rinvio sono stati motivati “politicamente” facendo passare per buona la scusa che non si potevano rinnovare i Comites senza prima riformarli. Giusto? Forse sì, il problema è però che nessuna riforma è stata fatta e così, rinvio dopo rinvio, siamo arrivati alla comica finale. Adesso non si possono rinnovare perché non ci sono i soldi per organizzare elezioni. Nella mia infinita ignoranza, e forse anche stupidità, non mi sembra di avere mai sentito in nessuna parte del mondo, in nessuna circostanza, che non si fanno elezioni per mancanza di soldi. Non l’ho sentito dire nemmeno nei paesi più poveri del mondo e addirittura nei paesi a dubbia democrazia. E poi di quanti soldi stiamo parlando? Il governo dice 20 milioni di euro. Forse sì ma più probabilmente forse no, anche perché, quando davvero si vogliono fare le cose, si possono fare anche in economia. Ricordo che in Canada, il secondo paese più grande del mondo, nel 2004 organizzammo in proprio (vale a dire a spese dei connazionali) le elezioni dei Comites spendendo meno di 100mila dollari. E parlando di miracoli oggi forse se ne è avverato uno. Quello che, una volta tanto in questi ormai sei anni da quando sono al parlamento, ho sentito parlare di italiani all’estero. Oddio, le questioni che riguardano gli italiani all'estero sono tante, dalla cittadinanza ai diritti previdenziali, dall’informazione, alla lingua e alla cultura, ai diritti civili, all’assistenza sanitaria. No, di queste questioni non si è mai parlato. A malapena qualche risposta alle nostre interrogazioni, quando proprio non potevano farne a meno. Si è trovato però il tempo, in commissione prima e in aula poi, per rinviare le elezioni. Bene le elezioni sono state rinviate. Anche questo governo “tecnico” – ha davvero imparato alla svelta - ha messo in chiaro, per chi non lo avesse ancora capito, che di italiani all’estero non ne vuole sentire parlare e ha fatto propria la sciagurata disattenzione dei precedenti governi “politici”.