Al Circolo Italiano di San Paolo, su invito dell’Associazione dei piemontesi del Brasile, l’On. Fabio Porta traccia un bilancio del suo primo anno in Parlamento. A introdurre la conferenza il Presidente Giovanni Manassero e il Presidente del Circolo Giuseppe Bezzi; presenti il Console Generale d’Italia Marco Marsilli, i Consiglieri Cgie Claudio Pieroni e Antonio Laspro

 INTERVISTA

L’Onorevole Fabio Porta è l’unico parlamentare eletto nella Ripartizione America Meridionale per il Partito Democratico. 45 anni, sposato e padre di due figlie, si è distinto in questo primo anno di mandato per essere riuscito a conciliare una assidua presenza nel collegio elettorale con un forte impegno nel Parlamento italiano, dove è stato anche nominato Vice Presidente del Comitato per gli italiani all’estero della Camera dei Deputati. A lui abbiamo rivolto alcune domande.

D. On. Porta, qual è il bilancio personale di questo primo anno del suo mandato di parlamentare? Come è riuscito a conciliare la necessaria presenza in Parlamento con le esigenze legate al suo rapporto con gli elettori italiani in Sudamerica?

R. Non si tratta di un impegno facile, soprattutto se si vuole al tempo stesso essere attivi e presenti in Parlamento senza tralasciare un contatto costante e non sporadico con le nostre grandi collettività che vivono in Sudamerica. Solo una forte dose di motivazione ed entusiasmo mi ha permesso in questi mesi di riuscire in questa impresa. Sono membro della Commissione Esteri della Camera e Vice Presidente del Comitato per gli italiani all’estero; i miei interventi in aula e in commissione, nonché le numerose interrogazioni e le proposte di legge presentate, da solo o insieme ai miei colleghi eletti all’estero per il PD, confermano la qualità oltre che la quantità della presenza in Parlamento. Ma ciò di cui sono particolarmente orgoglioso è il rapporto continuo e proficuo con la comunità italiana del Sudamerica: ho partecipato alle assemblee continentali del Cgie, alle riunioni dell’Intercomites di Brasile e Argentina, ho visitato più volte questi due Paesi come anche collettività impropriamente definite “minori” come quella del Cile, del Perù, dell’Ecuador, del Paraguay e della Bolivia. E presto mi recherò in visita in Uruguay e Venezuela, gli altri due grandi Paesi di emigrazione italiana nel continente.

D. Un bilancio, adesso, del primo anno del governo Berlusconi, in particolare per quanto riguarda le politiche per gli italiani nel mondo. Cosa è successo in questi dodici mesi?

R. E’ successo che in dodici mesi il governo Berlusconi è riuscito quasi ad azzerare le politiche e i relativi programmi destinati agli italiani all’estero. Con la peggiore manovra finanziaria che la storia dell’emigrazione possa ricordare, questo governo ha tolto con un colpo di spugna cinquanta milioni dai capitoli destinati all’assistenza e alla diffusione della lingua e cultura italiana nel mondo. Siamo passati dagli ottanta milioni del governo Prodi ai circa trenta del governo Berlusconi: vale a dire che per tutti i capitoli di spesa destinati ai nostri connazionali che vivono all’estero questo governo dà oggi meno di quanto il governo precedente destinava soltanto al capitolo lingua e cultura. Si tratta, come ha giustamente denunciato il Cgie attraverso il suo Segretario Generale Elio Carozza, di un vero e proprio attentato al già tenue legame che univa le nostre collettività alla madrepatria. In Sudamerica poi, questi “tagli” rischiano di essere mortali, incidendo direttamente sulla vita di migliaia di persone, alle quali verrà tolto quel sostegno assistenziale che in tanti casi è l’unico mezzo di sopravvivenza. Se a questo aggiungiamo poi l’inasprimento, sempre deciso dalla maggioranza che sostiene il governo, delle condizioni che prevedono la concessione della pensione sociale per gli emigrati italiani che rientrano nel proprio Paese, ci rendiamo conto che il quadro è davvero desolante. Nonostante questo non possiamo e non dobbiamo farci prendere dal pessimismo e dallo scoraggiamento; la storia della nostra emigrazione ha dimostrato la caparbietà e la forza delle nostre comunità di fronte a difficoltà ben maggiori. Con questo spirito possiamo ritrovare la strada giusta per riprendere il cammino di un corretto rapporto con le nostre comunità all’estero, fondato sul principio – del quale sono un convinto assertore – del mutuo interesse; l’Italia oggi ha forse più bisogno degli italiani nel mondo di quanto questi ultimi hanno bisogno dell’Italia.

D. Da dove ripartire allora? Anche il sistema di rappresentanza sembra soffrire le conseguenze delle scelte del governo; le elezioni dei Comites sono state rinviate e il Cgie comincia a subire i contraccolpi anche economici dei tagli…

R. Ed invece io credo che è proprio da qui che bisogna ripartire. Mi spiego. E’ in atto una vera e propria campagna di “chiusura” del capitolo emigrazione; qualcuno ha deciso, facendo male i conti, che di italiani all’estero non si dovrebbe parlare più, che dovremmo contare meno. Si inizia con i “tagli”, che secondo il Ministro dell’Economia Tremonti dovrebbero continuare ad abbattersi sul Ministero degli Esteri in maniera crescente per i prossimi due anni; il passo successivo è stato il tentativo di legittimare il sistema di rappresentanza degli italiani all’estero. Si è partiti con il rinvio delle elezioni dei Comites, che avrebbero dovuto svolgersi in questi giorni e si sta continuando con alcune proposte legislative, sostenute dalla maggioranza di centro-destra, che mirano a depotenziare in numero e prerogative i Comites e a cancellare di fatto la peculiarità del Cgie. L’ultimo passaggio di questa operazione diabolica e autolesionista sarà l’attacco al voto e ai parlamentari eletti all’estero, una conquista che oggi molti Parlamenti del mondo stanno prendendo ad esempio per introdurre nei loro Paesi un analogo meccanismo istituzionale di presenza dei cittadini emigrati nelle loro assemblee legislative. Una operazione “autolesionista”, lo ripeto, perché mi spaventa la scarsità di visione e la miopia di una classe politica attualmente al governo del Paese che non riesce a scorgere negli oltre quattro milioni di italiani nel mondo e nei quasi sessanta milioni di italo-discendenti una formidabile occasione di sviluppo e di internazionalizzazione del nostro sistema di relazioni istituzionali e culturali, oltre che economiche e commerciali.

D. Come rispondere allora a questo attacco agli italiani all’estero? Solo difendendo l’esistente o con nuove proposte?

R. Assolutamente. A questa strategia stiamo rispondendo intanto con una azione incisiva, incessante e soprattutto propositiva del gruppo dei deputati del Partito Democratico eletti all’estero. Sono orgoglioso di appartenere a questa piccola ma agguerrita “pattuglia”, come è già stata definita da qualche commentatore politico, che sta facendo onore in Parlamento ai nostri connazionali all’estero. Le proposte di legge presentate da questo gruppo di deputati costituiscono un vero e proprio programma politico per gli italiani nel mondo perché affrontano con competenza e visione strategica tutte le grandi questioni sul tappeto. Personalmente ho presentato come primo firmatario un progetto di riforma del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero che parte dalla conferma del suo carattere specifico di rappresentante intermedio tra Comites e parlamentari eletti all’estero ma anche dalla constatazione dell’opportunità di un suo adeguamento al nuovo sistema di rappresentanza arricchitosi solo da pochi anni con la presenza dei dodici deputati e dei sei senatori della Circoscrizione Estero. Proponiamo (la proposta di legge è stata firmata da altri cinque parlamentari eletti all’estero del PD, NdR) un Cgie più snello, diminuendo considerevolmente il numero di consiglieri, a partire da quelli di nomina governativa; un Cgie che dia più peso alle Assemblee continentali, che diventano veri e propri organismi del Consiglio, e ai Comites, che vengono coinvolti proprio dalle assemblee continentali; un Cgie dove sia favorita la partecipazione dei giovani e delle donne, attraverso la costituzione di liste che ne prevedano una quota specifica; un Cgie, infine, dove rimanga forte il legame con il mondo dell’associazionismo, che va coinvolto a tutti i livelli, a partire dalle assemblee elettorali che si svolgono nei diversi Paesi.

D. Concentrarsi solo sul sistema di rappresentanza non è riduttivo? Quali altre iniziative legislative ritiene importante sostenere a questo proposito?

R. La rappresentanza da sola non basta e non è risolutiva, e questo vale anche per noi parlamentari eletti all’estero. Sono convinto che senza quella che qualche tempo fa chiamai “rivoluzione culturale”, relativa all’approccio delle nostre istituzioni sulla questione “italiani all’estero”, non otterremo risultati concreti e duraturi. Mi spiego: in Italia si sta pericolosamente perdendo la memoria e la coscienza collettiva di cosa è stato e cosa ancora oggi significa e può costituire anche in futuro il fenomeno della nostra emigrazione nel mondo. Ce ne accorgiamo direttamente ma anche indirettamente, con la recrudescenza di fenomeni di intolleranza verso gli immigrati che cercano fortuna nel nostro Paese così come i nostri antenati la cercavano all’estero. Per questi motivi ho presentato un progetto di legge che prevede l’introduzione in tutte le scuole italiane di ogni ordine e grado dell’insegnamento multidisciplinare della storia della presenza italiana nel mondo. Soltanto partendo dal basso, restituendo all’emigrazione la dignità che si merita a partire dalla diffusione della sua storia tra le giovani generazioni potremo sperare di ritrovare tra qualche anno una opinione pubblica e, conseguentemente, una classe politica più attenta al fenomeno che forse più di qualsiasi altro ha segnato i quasi centocinquanta anni di storia unitaria dello Stato italiano. Una conoscenza che oltre ad aiutarci nei processi di integrazione consentirebbe all’Italia di aprirsi nuovamente al mondo, a partire dalla conoscenza approfondita e non stereotipata di quello che realmente rappresentano oggi le nostre comunità sparse nei cinque continenti.

D. Un’ultima domanda sulla comunità italiana in Sudamerica. Ha già parlato dell’assistenza; qual è a suo giudizio l’altro grande problema che occorrerebbe affrontare a partire dai prossimi mesi?

R. Le questioni sarebbero tante, a partire dalla centralità politica del continente per l’Italia, che non riguarda solo gli italiani e i loro discendenti ma l’assetto della politica estera del nostro Paese. Tornando alla nostra comunità, credo che dobbiamo affrontare con maggiore serietà e determinazioni il problema della rete consolare e degli intollerabili ritardi nell’evasione delle pratiche per il riconoscimento della cittadinanza italiana. Non è possibile, e parlo in primo luogo per il Brasile dove il problema è senza dubbio più acuto, che a un anno e mezzo dall’approvazione in finanziaria (grazie al governo Prodi e alla maggioranza di centro-sinistra) dell’operazione “task force” per potenziare i consolati proprio per fare fronte a tale emergenza, l’operazione stenti ancora a decollare. Ovviamente la drastica riduzione di risorse si sta rivelando decisiva nel depotenziamento dell’operazione, ma non vorrei che fosse anche un alibi per continuare a tenere un vero e proprio tappo sulle 600mila pratiche giacenti in Brasile, che meritano un’attenzione del tutto speciale. In relazione alla rete consolare poi, non si capisce perché a fronte di un piano di razionalizzazione dell’intera rete mondiale – predisposto dal governo Prodi e fatto proprio dall’attuale – si continua a non attuare quanto specificato a chiare lettere in quel documento programmatico, e cioè che la rete consolare italiana in Sudamerica deve essere ampliata e rafforzata in ragione dei grandi interesse di natura geo-politica e geo-economica presenti nella regione. Sono già intervenuto su questo argomento in Commissione Affari Esteri e pretendo continuare a tutti i livelli possibili questa battaglia che ritengo giusta, per gli italiani del Sudamerica ma soprattutto per l’Italia.