Il Governo Draghi ha avuto l’avallo del Parlamento e con la nomina dei viceministri e dei sottosegretari sarà pronto per affrontare con l’urgenza e la determinazione necessarie gli immani compiti che lo stesso Presidente del Consiglio ha indicato nel suo discorso programmatico.

Si tratta di tutelare la salute e salvare la vita delle persone, di risalire dal baratro sociale che la pandemia ha determinato, di rilanciare un’economia in ginocchio, di rinnovare il Paese accompagnandolo verso una transizione verde e una profonda modernizzazione tecnologica e digitale. Un orizzonte di ripresa e di cambiamento che giustamente ha riportato alla mente quello che si era presentato davanti ai nostri nonni e padri dopo la fine della guerra e nella fase della ricostruzione. Draghi non solo ha indicato con lucidità gli snodi essenziali di questa impresa epocale, ma ha anche definito con estrema chiarezza le coordinate nelle quali l’Italia compirà il suo sforzo: un europeismo attivo e solidale, un rinnovato dialogo con l’America democratica, il rilancio della vocazione mediterranea in chiave europea. Vedremo quando si dovrà integrare e definire il quadro del Recovery plan, decisivo per il nostro immediato futuro, e quando si dovrà mettere mano alle riforme che la situazione ci impone e l’Europa ci richiede, se l’ampia ed eterogenea coalizione che ha risposto positivamente all’appello alla responsabilità del Presidente Mattarella reggerà alla prova. E’ poi tutto da scrivere il capitolo sugli italiani all’estero. Non come programma settoriale, ma come impegno trasversale per le azioni di governo che saranno adottate e per le riforme da mettere in campo. Due esempi per farmi capire. La modernizzazione della pubblica amministrazione è un punto cruciale per dare dinamismo al sistema, ma lo è ancora di più all’estero, dove la rete dei servizi ai connazionali e alle imprese, per vecchie tare e per nuovi freni dovuti alla pandemia, è diventata sempre meno accessibile e adeguata. Ne va della cittadinanza reale degli italiani all’estero e della possibilità di sviluppare in modo adeguato l’internazionalizzazione del Paese. Così anche per il sistema della promozione linguistica e culturale. Nell’opinione comune, siamo ancora una potenza culturale mondiale, ma non possiamo dormire sugli allori. La pesantezza e i ritardi della nostra programmazione amministrativa in questo campo (si pensi ai contributi agli enti gestori e all’invio di docenti all’estero) rischiano di riassorbire progressivamente questo credito. Ci sarà, insomma, parecchio da lavorare, tanto più se si svilupperà la fase dinamica che è stata anticipata. L’essenziale che si capisca che questo è uno dei momenti in cui gli italiani all’estero possono dare all’Italia un contributo essenziale per la ripresa. Ma occorre che siano messi nella condizione di poterlo fare.