LAVORO - ASSEMBLEA CGIE "MERCATO DEL LAVORO AL TEMPO DEL COVID -19" VISENTINI (SEGR.GEN. ETUC): "ALCUNI PASSI AVANTI NEL QUADRO GIURIDICO COMUNITARIO. IL BUCO NERO" DELLA MOBILITA' GIUSTA (REGOLAMENTO 883)

Ospite gradito della VI Assemblea tematica del Consiglio Generale degli Italiani all'Estero, dedicata al "Mercato del lavoro al tempo del Covid "

il Segretario Generale del Confederazione Europea dei Sindacati, Luca Visentini, prima di affrontare l'argomento al centro del dibattito, si è soffermato sulla "situazione dei lavoratori in mobilità e degli italiani all'estero nell'Unione Europea prima che esplodesse la pandemia" Perchè - ha spiegato - c'era già una situazione complicata, dovuta da un lato alle conseguenze della crisi economica finanziaria che aveva colpito l'Europa nel decennio e mezzo precedente, ma anche ad una serie di problematiche legate all'insufficienza del quadro giuridico comunitario su una mobilità inclusiva ed equa all'interno del mercato europeo nei riguardi di lavoratori e lavoratrici." "Come sapete, ha esordito Visentini, la libertà di circolazione è una delle 4 libertà fondamentali del mercato interno sulla base dei trattati dell'Unione Europea, ciò nonostante questa libertà ha sempre incontrato notevoli ostacoli per dispiegarsi compiutamente e per garantire che effettivamente asi verificassero condizioni di protezione, uguaglianza di diritti, di opportunità e di accesso alle diverse prestazioni sociali e di supporto. Fenomeni, purtroppo, di dumping, discriminazione, competizione al ribasso sono stati la normalità per moltissimo tempo e questo ha colpito le condizioni salariali dei lavoratori in mobilità, l'accesso ai mercati del lavoro dei vari paesi, dove molto spesso i lavoratori mobili hanno subito notevoli discriminazioni, ostacoli, difficoltà ad avere accesso in maniera paritaria rispetto ai lavoratori del paese ospitante. Come veniva ricordato da Maria Candida Imburgia, molto spesso i lavoratori in mobilità sono coloro a cui vengono riservati i lavori peggiori, quelli con minori tutele, con salari più bassi, nei settori meno attraenti, meno interessanti per i lavoratori locali e per il paese ospitante. Inoltre, in aggiunta alla difficoltà di trovare un lavoro stabile e dignitoso pagato dignitosamente ed anche protetto dal punto di vista dei diritti e delle condizioni di lavoro, si aggiunge il fatto che molto spesso i lavoratori in mobilità hanno purtroppo anche dovuto confrontarsi con difficoltà legate all'integrazione sociale, cioè al fatto di non poter avere accesso completamente alle prestazioni sociali, all'indennità di disoccupazione, agli ammortizzatori sociali, a condizioni adeguate di tutela della salute e sicurezza sul posto di lavoro. E, molto spesso anche difficoltà ad accedere parimenti con gli altri all'assistenza sanitaria, pensionistica. Non dimentichiamo che il problema del coordinamento dei sistemi pensionistici all'interno di quello che dovrebbe essere un mercato unico continua ad essere un problema irrisolvibile, nel senso che a parte alcuni accordi bilaterali e trilaterali, che esistono fra alcuni paesi su base puramente volontaria, noi non abbiamo ancora oggi un sistema di reale coordinamento delle prestazioni pensionistiche a livello europeo. Un sistema che permetta effettivamente una portabilità ed una ricongiungibilità della contribuzione pensionistica che ciascun lavoratore ha pagato nell'arco della propria carriera lavorativa nel caso in cui si sia spostato da un paese all'altro. Questo è un problema gravissimo che rende alla fine non soltanto difficile avere una carriera lavorativa dignitosa ed adeguatamente protetta, ma può rendere difficile avere una pensione adeguata e protetta che non faccia precipitare le persone in una condizione di indigenza o comunque di vita non dignitosa. In aggiunta a tutto ciò, abbiamo ancora - e tutto questo è paradossale - problemi di doppia tassazione o di tassazione non chiara o di regole fiscali non chiare per i lavoratori che si muovono attraverso i confini. Questi problemi, tra l'altro, affliggono in maniera maggiore i lavoratori frontalieri ed i lavoratori distaccati - rispetto ai lavoratori in mobilità che si spostano in un altro paese e decidono di risiedere in questo paese stabilmente. Riguardo ai frontalieri che ritornano periodicamente al proprio paese di residenza, esista una continua conflittualità di competenze tra i vari paesi per decidere chi è che deve pagare l'indennità di disoccupazione, la formazione continua, i contributi e le prestazioni sociali e pensionistiche. E molto spesso i lavoratori frontalieri e distaccati sono quelli che poi subiscono il problema della doppia tassazione in maniera più pesante. Una serie di problematiche che non sono solo di ostacolo alla mobilità, alla libertà di circolazione, che dovrebbe essere invece garantita sulla base delle previsioni dei trattati, ma anche fattori di discriminazioni concrete, reali, nella vita lavorativa di ogni giorno, che rendono effettivamente la mobilità del lavoro all'interno dell'Unione Europea ancora problematica. Negli ultimi dieci anni si è tentato di affrontare alcuni di questi problemi. Una serie di iniziative legislative sono state assunte, con la revisione di alcuni strumenti giuridici europei, in particolare la revisione del regolamento 492 del 2011, che riguarda proprio la rimozione e la prevenzione degli ostacoli alla libertà di circolazione all'interno dell'Unione Europea, la revisione molto combattuta e difficile della cosiddetta "direttiva distacchi", ormai direttiva 257/2018, rivista recentemente. Ed è stata una guerra riuscire a rivedere quella direttiva, per assicurare parità di trattamento dal punto di vista salariale per le condizioni di lavoro dei lavoratori distaccati che si muovono da un paese all'altro per prestare la propria opera lavorativa. E' stata una guerra perchè moltissimi paesi, soprattutto i paesi di emigrazione si sono opposti fino all'ultimo alla parità di trattamento dei loro lavoratori al di fuori dei loro confini. La ragione sta nel fatto che i governi di questi paesi ed una parte significativa del mondo imprenditoriale vogliono mantenere il "vantaggio competitivo" nel momento in cui si parla di mobilità del lavoro. Questo "vantaggio competitivo" ha fatto si che loro abbiano potuto sfruttare di fatto questa concorrenza sleale in materia di lavoro, per molti anni, facendo crescere le proprie economie senza che vi fosse però un dividendo da restituire alla forza lavoro che andava a lavorare altrove. Tra l'altro, tutto ciò ha creato dei fenomeni distorsivi pesantissimi nei paesi di origine dei lavoratori in mobilità - come la fuga dei cervelli che ha portato milioni di lavoratori ad abbandonare i paesi dell'Est ma anche il Portogallo, la Spagna, ed in parte anche il Meridione del nostro Paese per andare a lavorare altrove. con ciò disperdendo un patrimonio di competenze eccezionale sulle quali era stato speso denaro pubblico per l'istruzione, impoverendo il mercato del lavoro dei paesi di origine e creando contemporaneamente situazioni di concorrenza sleale nei paesi che ospitano i lavoratori in mobilità. Spesso, infatti, nello stesso settore, nella stessa città, nello stesso posto di lavoro in alcuni casi ci sono lavoratori che guadagnano 2000 euro ed altri che ne guadagnano 700 – 800 al mese. E questo è assolutamente inaccettabile ! E non si pensi che questo è un problema soltanto dei paesi meno disciplinati. Un caso emblematico è quello della Germania, un paese che ha sempre bacchettato tutti gli altri, ma quando si va a vedere come funziona il mercato del lavoro tedesco, ad esempio in uno stabilimento della Wolksvagen nella parte più evoluta e sviluppata della Germania, avrete lavoratori dipendenti che guadagnano 40 euro lordi all'ora, lavoratori dell'indotto della Wolksvagen, molto spesso stranieri, che guadagnano 25 euro all'ora, ed infine, lavoratori del settore delle pulizie, delle mense, degli altri servizi all'interno dello stesso stabilimento, al 95% stranieri, (la maggior parte europei, non extracomunitari), che guadagnano dai 5 ai 7 euro all'ora. Capite che la discriminazione esiste, è gravissima, e parte proprio dal modello tedesco, perchè questa è stata la modalità attraverso la quale l'industria tedesca, durante la crisi che è seguita alla riunificazione, è riuscita a rilanciare la propria competitività a livello internazionale, facendo strame purtroppo dei salari e dei diritti dei lavoratori in quel paese ma anche negli altri paesi dell'Unione Europea. Vi racconto tutto questo perchè risolvere questi problemi è fondamentale se noi vogliamo assicurare parità di opportunità, di trattamento, di diritti, a tutti i cittadini europei che si spostano attraverso i confini. Una guerra, rimasta sotto traccia per più di 20 anni all'interno del mercato unico, sebbene fosse piuttosto esplicita, e che è esplosa in maniera deflagrante quando il Presidente della Commissione Junker partecipando al congresso della Confederazione Europea dei Sindacati nel 2015, a Parigi, ha annunciato che avrebbe proposto la revisione della "direttiva distacchi" perchè era diventato intollerabile che vi fossero condizioni di lavoro e di salario diverse nello stesso posto di lavoro e non vi fosse equità e parità di trattamento. Questa bomba ha portato ad una guerra di un anno e mezzo, in cui 12 Paesi dell'Est e dell'Ovest hanno emesso il cosiddetto "cartellino giallo" contro l'iniziativa della Commissione per tentare di bloccarla con un veto, non riuscendoci, per fortuna, in quanto abbiamo fatto un'azione di lobby e di mobilitazione eccezionale per ottenere la revisione della direttiva distacchi. Alla fine nel 2018, quasi 2 anni e mezzo dopo, siamo riusciti ad ottenere questo risultato. Due fattori positivi, dunque: la revisione del regolamento 482 che ha rafforzato la lotta contro gli ostacoli alla mobilità e la revisione della "direttiva distacchi" che ha introdotto il concetto di parità di trattamento dei lavoratori mobili, rimane, però, un importante quadro giuridico ancora in sospeso perchè purtroppo non si riesce a risolvere la questione del regolamento 883 del 2004 sul coordinamento della sicurezza per i lavoratori in mobilità nei vari paesi. Questo è il "buco nero" della mobilità giusta all'interno del mercato europeo in quanto il regolamento 883 è proprio quello che dice agli Stati chi deve pagare e per cosa quando si discute di indennità di disoccupazione, contributi previdenziali, ricongiungimento e portabilità delle pensioni, e tutte le altre prestazioni sociali, sanità e così via che dovrebbero garantire ai lavoratori in mobilità fuori dal proprio confine una parità di trattamento con gli altri lavoratori. E sono già 2 anni che la revisione del regolamento 883 è paralizzata al Consiglio dell'Unione Europea per l'opposizione della maggioranza dei paesi membri, che non vogliono assolutamente introdurre elementi di maggiore controllo, cogenza ed equità all'interno dei sistemi di sicurezza sociale.E non se ne viene fuori !" sottolinea il Segretario Generale della CES, spiegando "Si sperava che la presidenza tedesca in questi mesi sarebbe stata in grado di risolvere questo conflitto e di arrivare ad un compromesso" "Nulla di fatto ed ormai la presidenza tedesca si avvia alla fine ! Speriamo che la presidenza portoghese nel prossimo semestre sarà in grado di risolvere questo problema" Ma aggiunge Visentini "Ci sono state anche cose positive in questi anni, per fortuna, prima della pandemia" "la più importante probabilmente è proprio la creazione dell'Agenzia Europea del lavoro che nelle intenzioni doveva essere proprio un'Agenzia per il lavoro contro gli abusi e contro le violazioni alle normative europee nazionali che dovrebbero garantire parità di trattamento e di non discriminazione ai lavoratori in mobilità. È stato un passo importantissimo costituire l'ELA - European Labour Authority-. Anche in questo caso un' iniziativa molto lungimirante del Presidente Junker, che ha voluto a tutti i costi creare questa struttura all'interno dell'Unione Europea. Oggi, finalmente costituita, ha sede in Slovacchia, a Bratislava, e sta cominciando finalmente a lavorare cercando di aggredire tutti quei casi di abuso e di violazione delle norme sulla parità di trattamento e sulla rimozione degli ostacoli alla mobilità dei lavoratori che si spostano da un paese all'altro. Il quadro è complesso, con molti problemi preesistenti e che si è cercato di affrontare durante gli ultimi 10 anni con conseguenti successi ed insuccessi, ma che purtroppo è stato ulteriormente aggravato dall'arrivo della pandemia. Avete già ricordato nelle vostre introduzioni come la pandemia con il blocco dei confini, con le situazioni di lockdown dei vari paesi, abbia purtroppo colpito particolarmente i lavoratori in mobilità, rimasti bloccati ed il il fatto che non potessero più attraversarei confini ha fatto perdere di fatto il posto di lavoro a moltissimi di questi lavoratori e lavoratrici. E quelli che hanno potuto continuare a lavorare hanno visto precarizzare radicalmente la propria condizione di lavoro nel paese che li ospita. Ed in aggiunta, coloro che hanno perso il posto di lavoro oppure sono stati sospesi dal lavoro, per la maggior parte non è stato possibile accedere ai vari ammortizzatori sociali che i vari paesi hanno messo in campo per cercare di fronteggiare la situazione di emergenza. La cassa integrazione in Italia, così come altre forme di lavoro breve o lavoro in sospensione o compensazione salariale e così via, si applicano a quasi tutti i lavoratori dei paesi europei, ma molto spesso non si applicano ai lavoratori in mobilità, o perchè sono rimasti bloccati nel proprio paese oppure perchè non rientrano nel livello di copertura di questi ammortizzatori sociali. Per questa ragione noi abbiamo posto al centro della nostra azione, durante e dopo il primo lockdown, il tema dei lavoratori in mobilità, i lavoratori migranti, come una delle emergenze che bisognava affrontare insieme a quelle dei lavoratori precari, perchè queste sono le due categorie, migranti e lavoratori in mobilità da una parte, e i precari, gli autonomi, le partite IVA, i lavoratori atipici, sono le categorie che non hanno ricevuto quasi nulla in termini di compensazione salariale e di sostegno al reddito e continuano tuttora a non ricevere nulla. Per questa ragione abbiamo insistito così tanto che lo strumento di SURE, oltre a dare denaro ai vari paesi per rimborsare le spese gigantesche che hanno dovuto sostenere per mettere in campo gli ammortizzatori sociali e far fronte alla pandemia, doveva rappresentare un'occasione per cercare di armonizzare i vari sistemi di ammortizzatori sociali nei vari paesi e garantire che questi ammortizzatori sociali coprissero tutti, compresi i precari, gli atipici e i lavoratori in mobilità. E, soprattutto, che garantissero una compensazione salariale adeguata, perchè anche se tu ricevi l'ammortizzatore sociale ma questo ti da soltanto il 30 o il 40% del tuo ultimo salario, come è avvenuto in moltissimi paesi, non garantisce una vita dignitosa. In questo momento siamo impegnati in una battaglia per garantire che questi ammortizzatori sociali vengano prorogati almeno fino alla metà del 2021, in quanto i soldi del Recovery plan non arriveranno prima dell'estate prossima per una serie di ragioni tecnico finanziarie. Quindi abbiamo di fronte a noi sei otto dieci mesi di fronte ai quali si rischia di avere una tragedia occupazionale, nel senso che quaranta milioni di lavoratori che oggi sono sospesi dal lavoro e che usufruiscono degli ammortizzatori sociali rischiano di aggiungersi agli altri venti milioni che sono già divenuti disoccupati. Una bomba ad orologeria in termini di disoccupazione che potrebbe portare a triplicare il numero dei disoccupati creati dalla crisi economico-finanziaria del 2008 - 2011. Un rischio enorme dal quale potremmo rischiare di non risollevarci e per questa ragione noi stiamo insistendo così tanto sul fatto che gli ammortizzatori sociali devono essere pronti ed estesi a tutti, anche ai lavoratori ed alle lavoratrici precari, in mobilità stagionali,ed autonomi e che SURE ha già cominciato ad affrontare. Per questo deve essere rifinanziato nel 2021 in maniera tale da coprire gli ammortizzatori sociali. Questione che dobbiamo risolvere entro la fine dell'anno, altrimenti - come dicevo - avremo una esplosione di disoccupazione." Però- ha affermato il Segretario Generale della CES/ETUC - dovremo anche ragionare sulla prospettiva e, quindi, vedere come il Recovery plan predisposto dalle istituzioni Europee - che speriamo venga approvato entro la fine dell'anno, con la rimozione del veto da parte di Ungheria e Polonia relativo allo "stato di diritto" una volta raggiunto l'accordo, sarà implementato a livello nazionale. Da questo punto di vista - ha proseguito Visentini - è importante che non solo i Paesi si affrettino a presentare i Piani nazionale - e purtroppo l'Italia è molto in ritardo - ma soprattutto inseriscano una "visione strategica" e siano in grado di disegnare una Recovery effettivamente rispettosa dell'ambiente, che introduca elementi di innovazione digitale all'interno dei vari piani strategici nazionali e, soprattutto, garantisca la creazione di un numero adeguato di posti di lavoro di qualità per andare incontro alle gravi difficoltà che oggi il mercato del lavoro europeo sta, purtroppo, fronteggiando e che verrà ulteriormente aggravato dalla transizione climatica e dalla transizione digitale. Occorre fare in modo- dichiara Visentini - che la dimensione sociale venga trasformata in uno dei pilastri fondamentali del piano di Recovery e l'unico modo per raggiungere questo risultato , è che le parti sociali, i veri attori dell'economia e del mercato del lavoro, vengano coinvolti adeguatamente dai Governi nella definizione dei Piani e che la dimensione della mobilità del lavoro e la parità di trattamento e della garanzia dei diritti e della protezione del mercato interno diventi elemento fondante del Piano di Recovery. Ciò, considerando che i soldi dell'investimento del Piano di Recovery possono essere anche utilizzati per riformare i sistemi di previdenza sociale, degli ammortizzatori sociali nei vari Paesi, ma questa volta in maniera progressista e non solo "austerity lead", come si è fatto, purtroppo, in passato con le cosiddette, famigerate, riforme strutturali. Un'ultima cosa, vorrei aggiungere - che oltre a questo ambito (misure di emergenza, SURE, ammortizzatori sociali da estendere ed anche la dimensione sociale al centro della strategia per la ripresa economica ) ci sono una serie di iniziative legislative che l'Unione Europea si sta accingendo ad adottare e che potrebbero apportare innovazioni importanti. Una è che si spera che la revisione del regolamento 883 sul coordinamento della sicurezza sociale si concluda durante i primi mesi dell'anno prossimo. Ma ci sono anche delle proposte di direttiva dell'Unione Europea in via di presentazione - alcune lo sono già state - che possono cambiare radicalmente in meglio il quadro giuridico generale per quanto riguarda i diritti sociali dell'Unione Europea. Una di queste è relativa ai salari minimi e la contrattazione collettiva: elemento fondamentale per affrontare il problema delle divergenze salariali che esistono nel nostro continente; un'altra è relativa all'armonizzazione dei sistemi dl reddito minimo che esistono nei nostri Paesi come strumenti di lotta alla povertà. Infine, una possibile iniziativa legislativa per cercare di garantire diritti omogenei ai lavoratori delle piattaforme digitali, ai lavoratori atipici. Un'iniziativa veramente importante che potrebbe portare grande vantaggio ai lavoratori in mobilità. Tutto questo è completato, poi, dal fatto che si sta riflettendo su come si debba normare il lavoro a distanza considerando che diventerà sempre piu' diffuso durante, ma anche dopo, la pandemia, per garantire che i diritti e le protezioni vengano assicurate anche a coloro che saranno obbligati a lavorare in forma virtuale. Tutti questi elementi confluiranno nel Piano d'azione per l'Implementazione del Pilastro europeo dei diritti sociali nel corso della Presidenza Portoghese, insieme alla Commissione, che lo ha posto al centro delle priorità per il prossimo semestre e che verrà, poi, ratificato dalle istituzioni europee, insieme alla parti sociali in un grande summit sociale da organizzare nel mese di maggio 2021 a Porto (in Portogallo. Sarà una grande occasione per cercare di rimettere al centro il tema dei diritti sociali nel nostro continente e presentare una vera e propria road map delle varie iniziative legislative che, a livello europeo e nazionale, dovranno essere portate a termine proprio per garantire parità di trattamento, parità di diritti e parità di protezione a tutti, e prima di tutti ai lavoratori migranti in mobilità. (02/12/2020- ITL/ITNET)