“Un Bilancio di guerra” è stata definito quello per il 2021 e per il triennio 2021-‘23, all’esame della Camera. E tutti comprendiamo le ragioni di una definizione così drastica. La legge di bilancio, tuttavia, non è solo un documento di spesa, ma anche la sintesi delle scelte di fondo che è necessario fare in un determinato momento.

E tra le situazioni aperte vi è certamente quella degli oltre sei milioni che risiedono all’estero. Per questo, pur con delle autolimitazioni, ho deciso di avanzare per loro conto alcune essenziali richieste. Mi sono mossa prima di tutto su un terreno per me preferenziale: la promozione della lingua e della cultura italiana all’estero. Intanto, prendendo atto con enorme soddisfazione che il Fondo per la promozione dotato quattro anni fa dal governo Gentiloni di 150 milioni di euro, in scadenza quest’anno, è stato rinnovato anche per i prossimi anni. Poiché sono stata – lo dico senza vanteria – la parlamentare che più si è impegnata per il suo rinnovo, ottenendolo formalmente l’anno scorso, ma con una dotazione inadeguata, credo di potere esprimere una grande soddisfazione nel vedere che le cose sono andate a buon fine. Si tratterà, ora, di seguirne la ripartizione e l’applicazione pratica, cosa che farò con lo stesso scrupolo. Sempre sul sentiero culturale e formativo, ho insistito inoltre su un altro mio impegno, quello di riaccorpare presso il MAECI il contingente di personale fuori ruolo che opera per la formazione delle graduatorie e la destinazione del personale scolastico all’estero, in modo da evitare gli inaccettabili ritardi degli ultimi tempi. In più, poiché non è ancora certa l’integrale copertura del capitolo sui corsi di lingua e cultura organizzati dagli enti gestori, ho chiesto di non abbassare il livello consolidato del finanziamento degli ultimi anni. Sul versante sociale, che è l’altra mia scelta di fondo, poiché non sappiamo ancora con precisione quali conseguenze produrrà la pandemia per le persone, dopo l’integrazione di due milioni che ho ottenuto con il Decreto Rilancio, ho chiesto l’aumento di altri 2,5 milioni della voce assistenza per gli italiani all’estero. Ho chiesto, inoltre, l’estensione del reddito di cittadinanza anche a chi rientra dall’estero e oggi non ne può usufruire. Non ho abbandonato, poi, nonostante l’onere finanziario delle richieste, la complessa partita fiscale che da tempo pesa sulle spalle di noi che viviamo all’estero, presentando emendamenti per il ripristino dell’esenzione IMU per i pensionati, per la totale esenzione dalla TARI, pur ridotta dei due terzi per i pensionati, per l’eliminazione del canone RAI per chi, come gli emigrati, non usufruisce del servizio, e per l’aumento degli standard dei centri abitati nei quali si possono ottenere le agevolazioni fiscali previste per il Mezzogiorno. Durante questi mesi, abbiamo constatato quale enorme lavoro abbia fatto l’Unità di crisi per far rientrare decine di migliaia di connazionali e come sia prezioso il lavoro di questa struttura. Per questo ho chiesto che sia elevata la dotazione finanziaria di questa Unità. Ho sottoscritto, infine, i numerosi emendamenti dei colleghi del gruppo PD finalizzati a rafforzare i servizi consolari e la dotazione di personale delle strutture all’estero. Tanto dovevo per dovere di informazione e per trasparenza sul lavoro che svolgo in Parlamento”.

SCHIRÒ (PD): IL REDDITO DI CITTADINANZA DEVE ESSERE CONCESSO ANCHE AGLI EMIGRATI RIMPATRIATI

In un periodo in cui sono molti gli italiani emigrati all’estero costretti a rientrare in Italia per motivi che vanno dalla crisi sanitaria alle difficoltà socio-economiche sopraggiunte in molti Paesi di emigrazione, io ritengo opportuno, necessario e umanamente doveroso che lo Stato italiano eroghi il Reddito di cittadinanza anche ai nostri connazionali che rimpatriano. A tal fine ho presentato, tra numerosi altri, un emendamento alla legge di Bilancio. Come è noto la legge istitutiva del Reddito di cittadinanza, così come è formulata, non consente ai giovani italiani emigrati all’estero e iscritti all’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero) in cerca di lavoro di poter richiedere il Reddito di cittadinanza nei casi in cui dovessero decidere di rientrare in Italia (non potendo far valere i due anni di residenza continuativa immediatamente prima della presentazione della domanda). Lo stesso dicasi degli anziani emigrati soprattutto in Paesi dell’America Latina i quali rientrano in Italia per motivi economici o umanitari (vedere Venezuela) e volessero richiedere la Pensione di cittadinanza: anch’essi non potrebbero far valere i due anni continuativi di residenza prima della domanda. Con il mio emendamento, se fosse approvato, verrebbe modificata la legge ed eliminato il requisito dei due anni di residenza in Italia immediatamente prima della presentazione della domanda (mentre verrebbe mantenuto il requisito di una residenza complessiva di 10 anni così come previsto dalla legge attualmente in vigore) per dare ai nostri connazionali residenti all’estero, giovani e anziani i quali decidono di rientrare in Italia, la possibilità di richiedere, se disoccupati o in difficoltà economica, il reddito o la pensione di cittadinanza.