Votazione il 27 settembre prossimo sulla “limitazione della presenza dei cittadini stranieri”. In Svizzera vivono oramai 640'000 connazionali in pianta stabile, ogni giorno oltre 75'000 nostri frontalieri varcano i valichi di frontiera.

Il lungo respiro del messaggio nazionalista che da anni si sta propagando nel mondo non poteva risparmiare la Svizzera, isola felice nel cuore del continente europeo. Non meraviglia e non sorprende più di tanto la portata di questa visione conservatrice e del modo di pensare le categorie e la società, che per lunghi periodi hanno definito e caratterizzato le organizzazioni statuali, alcune delle quali resistono e si esplicitano in diversi paesi attraverso forme di governo autoritarie, teocratiche ed anche democratiche. Come non meraviglia l’ennesima iniziativa popolare svizzera sottoposta alla votazione il 27 settembre prossimo sulla ”limitazione della presenza dei cittadini stranieri”. Proprio quest’anno, a giugno, sono trascorsi cinquant’anni dall’iniziativa contro l’inforestieramento, espressamente rivolta in quegli anni contro gli italiani immigrati in Svizzera, proposta d’allora consigliere nazionale James Schwarzenbach, l’antesignano europeo del pensiero antistranieri: prima gli autoctoni.

INIZIATIVA CONTRO L’INFORESTIERAMENTO

È con questa realtà che, ovunque, bisogna confrontarsi ogni qualvolta quando le maglie delle diseguaglianze si allargano e i sistemi economici sono messi in discussione: la semplificazione dei problemi trova sempre sfogo e attuazione sui meno protetti, sulle minoranze, sui diversi visti come capri espiatori. È trascorso mezzo secolo durante il quale in Svizzera questo manifesto politico si è gradualmente manifestato apertamente, assumendo forme organizzate e con la partecipazione nel Governo dell’Unione Democratica di Centro è diventato argomento di disputa politica, che ha in parte contribuito alla revisione di alcuni articoli costituzionali e di norme legislative. È del febbraio del 2014 l’ultima modifica costituzionale tesa a cambiare il sistema della politica d’immigrazione e a fissare i tetti massimi per i permessi di residenza per stranieri e richiedenti d’asilo. Non passa un anno che, oramai, in questo paese non si voti una qualsiasi proposta d’iniziativa popolare per restringere i diritti dei cittadini stranieri. Il 27 settembre 2020 è la volta dell’ennesima iniziativa popolare denominata «Per un’immigrazione moderata (Iniziativa per la limitazione)».

FINE ACCORDO SULLA LIBERA CIRCOLAZIONE

In concreto la votazione chiede di porre fine all’Accordo sulla libera circolazione delle persone tra la Svizzera e l’Unione europea. La portata di questa iniziativa è chiara: l’idea di una chiusura del Paese e l’innalzamento di barriere geografiche, culturali e economiche. Il ”prima i nostri” in questo caso è foriero di incognite e gravito di un ritorno a un tempo archiviato nei musei della storia federale assieme ai faldoni della guerra di Melegnano. Il comitato promotore dell’iniziativa e i partiti che la sostengono, dicono che dall’introduzione della piena libertà di circolazione delle persone con l’UE si assiste a un’immigrazione di massa che incide in maniera eccessiva su ambiente, mercato del lavoro, assicurazioni sociali e infrastrutture. I promotori chiedono che la Svizzera gestisca autonomamente l’immigrazione e rinunci alla libera circolazione delle persone. Questi sostengono che in Svizzera l’immigrazione di massa porta a un aumento della disoccupazione e mette in pericolo il benessere, la libertà e la sicurezza dei cittadini svizzeri.

IL NO DI GOVERNO E PARLAMENTO

Il Consiglio federale e il Parlamento, i partiti progressisti respingono l’iniziativa poiché compromette l’accordo bilaterale con l’UE in vigore dal 2002, comprensivo di un pacchetto con 7 accordi bilaterali, approvati dal popolo svizzero nel 2000. Questi 7 accordi, tra l’altro, garantiscono all’economia elvetica l’accesso al mercato europeo e la libera circolazione delle persone, garantisce – a determinate condizioni – ai cittadini svizzeri di vivere, lavorare, studiare nell’UE; e viceversa ai cittadini dell’UE. Mettendo fine all’accordo sulla libera circolazione anche gli altri 6 accordi verrebbero annullati. Licenziare questi accordi vuol dire mettere a repentaglio la stabilità delle relazioni con il principale partner della Svizzera, minacciando così i posti di lavoro e la prosperità in un periodo già caratterizzato da grande incertezza sul piano economico. Secondo il Consiglio federale invece, la via bilaterale scelta dalla Svizzera è fatta su misura per rispondere alle esigenze del Paese e dei suoi cittadini. Gli accordi bilaterali garantiscono relazioni equilibrate con il principale partner commerciale; senza di essi si metterebbe a rischio la prosperità e il mondo del lavoro svizzero.

IN SVIZZERA VIVONO 640’000 CONNAZIONALI

Se l’iniziativa per la limitazione venisse accettata – e dunque se la Svizzera mettesse fine all’accordo della libera circolazione, il Consiglio federale disporrebbe di 12 mesi per negoziare in modo consensuale con l’UE la fine della libera circolazione. In caso di fallimento di questi negoziati, il Consiglio federale dovrebbe metter fine in modo unilaterale all’accordo nei 30 giorni successivi: interverrebbe allora la clausola che segnerebbe la fine di tutti i 7 accordi bilaterali. In Svizzera vivono oramai 640’000 connazionali in pianta stabile, ogni giorno oltre 75’000 nostri frontalieri varcano i valichi di frontiera e, quindi, sono direttamente interessati all’esito di questa iniziativa popolare. La loro integrazione nel sistema sociale, economico, formativo e produttivo nel Paese è l’impegno della rappresentanza istituzionale e associativa, sindacale e culturale italiana espressa attraverso i Com.It.Es. e il CGIE affinché tutti loro possano continuare a partecipare e concorrere allo sviluppo e alla prosperità di questo paese. (Michele Schiavone Segretario Generale Cgie)