Quando negli anni 60 si pensava al fenomeno associativo, i nostri Padri fondatori forse non prevedevano la grave crisi che ormai da tempo affligge le nostre associazioni. Questa nostra “strana tendenza umana” di creazione di gruppi più o meno omogenei

e funzionali che hanno coltivato fin dal nascere interessi comuni tra i rispettivi componenti. Difatti, nei nostri Statuti assurgono a primaria importanza la tutela delle formazioni sociali, le regioni di appartenenza, lo sviluppo della personalità umana, le culture in tutte le forme e la promozione sociale libera di aggregarsi in forme diverse. Chi decide liberamente di aderire a un’associazione, intende logicamente soddisfare l’esigenza di stare insieme ad altri soggetti con comuni passioni e nel contempo, mettere a disposizione degli altri esperienze e buona volontà. Allora ecco che la democraticità interna deve rappresentare e integrare un perno imprescindibile ed ineludibile del funzionamento di qualsiasi associazione. È democratica un’associazione che consente a tutti i propri componenti di partecipare, di accedere agli organi esecutivi non per ragioni di reciproco compiacimento (talvolta stupidamente ed insensatamente adulatorio) ma per la capacità di reggere il timone con giustizia e competenza. Soltanto chi si pone lealmente, con spirito di servizio e voglia di crescita personale, a disposizione della collettività o dell’associazione di appartenenza può far emergere gli scopi per cui l’associazione è nata e per cui la si fa vivere! Porsi lealmente a disposizione della collettività di appartenenza significa accettare regole e pareri degli associati. Ne consegue che i direttivi eletti e che si sono misurati con gli altri soci, meritano il consenso della base. Fin qui il paradigma di quello che è un’associazione è perfetto o, meglio dire, sarebbe normale. La specificazione è dovuta alla luce della considerazione secondo cui ormai abitualmente, negli ultimi tempi, la nostra “categoria del normale” si è confusa, paradossalmente e palesemente in contraddizioni che non ci appaiono tanto normali. Allora, quali sono le cause della crisi dell’associazionismo? Semplice la risposta. Attualmente, e purtroppo, molte associazioni, fra cui anche alcune delle nostre e appartenenti alla F.A.S.i. sono in crisi per “deficit interno” di cui purtroppo si soffre già da alcuni anni. Spesso, infatti, nell’ambito delle variegate dinamiche dei nostri sodalizi, spuntano qua e là provvedimenti di varia ispirazione e natura, anche personale, che colpiscono anche chi bonariamente fa parte attiva dell’organizzazione; forse per antipatia o forse anche per timore di dissensi interni, che si priva anche chi vuol far bene. Questo difetto di democraticità interna penalizza e non poco tutti “gli ipotetici” soci. L’esclusione della discussione e del confronto, (quando c’è), incarna quella funzione che riveste il ruolo di “garanzia dell’unione di intenti” e di tutela delle soggettività di tutti i comunemente detti soci. Ne risulta così il disinteresse di parecchi, che non arrivando ad abbandonare la speranza di un futuro migliore, galleggiano in quel limbo di inattività, sostenendo erroneamente di far parte di un’associazione che non c’è o che lentamente si sta spegnendo. Mentre alcuni (i furbacchioni), col risultato del sacrificio degli altri, (assurda e intollerabile), della meritocrazia pontificano, parlano del bene e del male, come di persone meritevoli che si continuano ad interessarsi dell’- associazione e di soci che non ci sono se non sulla carta. Naturalmente, e in alcuni casi, solo tre o quattro si caricano sulle spalle il fardello che dovrebbe essere sostenuto da tutti i soci (responsabili) e che alla fine, può succedere, si accaparrano meriti non propri e che faticosamente altri hanno sostenuto! Il rimedio per salvare le associazioni in crisi esiste e si chiama informazione e democraticità . In fondo è proprio quella cui i nostri Padri fondatori, con lungimiranza ed idealismo, pensavano quando ebbero la felice idea di nobilitare il fenomeno associativo. (di Mario Ridolfo)