ROMA – Fra i vari approfondimenti del Rapporto Italiani nel mondo 2019 della Migrantes troviamo uno studio sull’emigrazione di ritorno. Un settore che non ha mai avuto l’attenzione che invece meriterebbe:

basterebbe infatti guardare ad alcune statistiche per capirne l’importanza. Le serie storiche dell’Istat ci dicono che, nel periodo 1876-1941, quindi all’alba della Seconda guerra mondiale, erano partiti dall’Italia 18.584.945 persone e ne rientrarono 4.408.552. In questi ultimi anni poi le partenze hanno ricominciato ad essere superiori agli arrivi: Italia terra di esodo, Italia terra d’approdo. In questo senso il Rapporto Italiani nel mondo 2019 prende spunto dal lavoro di Francesco Cesare, sebbene ormai datato 1971, nel quale veniva analizzata la vicenda migratoria di rientro dagli Stati Uniti di 240 persone, originarie di regioni quali Liguria, Veneto, Toscana, Lazio e Molise. L’importanza della ricerca di Cesare è da individuarsi soprattutto nella classificazione che condusse alla individuazione di quattro tipi di migrante di ritorno: ritorno di fallimento, ritorno di conservazione, ritorno di pensionamento e ritorno di investimento. La prima categoria descriveva quegli emigranti che non avevano saputo far fronte alle difficoltà dell’esperienza migratoria; il secondo profilo invece apparterrebbe a chi intendeva temporanea l’esperienza di emigrato, giusto il periodo necessario ad accumulare risorse per un buon investimento in Italia che consisteva spesso nell’acquisto della terra. L’assenza di una mobilità sociale si lega soprattutto all’assenza di una partecipazione e di un coinvolgimento politico, poiché spesso l’idea di restare poco in territorio straniero è connessa ad un disinteresse verso le questioni sociali della nazione in cui si emigra. Questi due tipi di emigrato pertanto non sviluppano competenze nuove. La terza categoria di rientrati era quella definita di pensionamento: sono gli emigrati che hanno vissuto oltre vent’anni negli Usa per tutto o quasi il loro tempo lavorativo. Le motivazioni del rientro sono spesso legate a motivi di salute o alla più semplice volontà di trascorrere in patria il riposo dopo una vita di fatiche. A questo si associa spesso l’assenza di legami familiari forti in Usa. L’ultimo tipo di emigrazione che Cesare descrisse era quello di investimento e di innovazione, che risulta essere il profilo più interessante poiché tiene insieme molte delle caratteristiche di un’emigrazione propositiva e di successo. Questa mobilità sociale è legata quindi a un apprendimento della lingua e a un livello di emancipazione soddisfacente. Essi costituiscono il profilo numericamente inferiore ma più importante, poiché sono coloro che hanno sfruttato l’esperienza migratoria non solo per accumulare capitali ma per comprendere modelli culturali diversi. Lo studio sull’argomento all’interno del Rapporto della Migrantes 2019 analizza poi alcuni racconti di migranti di ritorno nell’area dell’Appennino italiano che prende il nome di Frignano, un’ampia porzione di montagna modenese, che lega l’Emilia alla Toscana. Da queste montagne si è migrato da tempi remoti, scendendo verso le valli emiliane e ancor più toscane, con la Maremma al primo posto. Ci si dirigeva in Corsica e, dopo il 1861, in Sardegna e poi in Europa e in America. Nel 1909, dall’altra parte dell’Atlantico, nel momento in cui si è consolidata la filiera che lega Frignano e Midwest, a Cherry, nell’Illinois, una miniera di carbone va in fiamme, crollando e uccidendo oltre 200 persone. Tra queste sono più di 30 gli originari di Fanano, Pavullo, Montecreto ed altre zone dell’Appennino modenese a perire. Il lavoro dell’emigrato e le tragedie che lo colpiscono divengono il fulcro su cui spesso si costruisce la memoria, che torna a casa ancor prima delle persone. Molti dei racconti seguono una linea simile. Sono famiglie che hanno deciso di ricongiungersi negli Usa e altrettanto spesso hanno deciso di ritrovarsi nel Frignano. C’è una lettura entusiasta della civiltà che li ha ospitati e c’è anche la scarsa consapevolezza che l’emigrante di ritorno, volente o nolente, fa parte di quella circolarità, dentro la quale a un certo punto si inseriscono altri attori: i nuovi migranti. Dallo studio del Rapporto si evidenzia come dalle tante vite narrate si comprenda in modo incontrovertibile che l’emigrazione di ritorno è una fase fondamentale nella storia delle mobilità umane e come tale necessita di essere studiata e compresa in modo maggiore. Questo sarà possibile solo se riusciremo a collocare in maniera corretta i flussi di rientro ed il loro portato nelle ampi analisi dei fenomeni migratori, sia in una chiave di lettura storica che riferendoci all’attualità. (Maria Stella Rombolà/Inform)