Si è svolto venerdì scorso a Roma un importante seminario sull’ immigrazione e l’emigrazione, organizzato dal FAIM (Forum delle Associazioni Italiane nel Mondo), un consesso che raggruppa oltre 100 organizzazioni rappresentative dell’emigrazione italiana in decine di paesi europei ed extra-europei

e che in Italia sono impegnate anche sul versante immigrazione.

Il seminario ha fornito importanti elementi conoscitivi sulla dimensione migratoria globale e sulla nuova emigrazione italiana che si configura ormai come la terza grande migrazione dal nostro paese, ricominciata con l’inizio della crisi economica del 2007-2008 e che ha dimensioni analoghe a quella del dopoguerra.

Alcune sintesi delle altre relazioni presentate (che possono essere lette QUI). In questa occasione presentiamo quella di P. Lorenzo Prencipe, Presidente dello CSER (Centro Studi Emigrazione Roma) dei Padri Scalabriniani, che fornisce un quadro complessivo e preciso delle persone in movimento sul pianeta, per origine e meta dei flussi ed individua una serie di orientamenti possibili per la gestione di un fenomeno che è destinato a proseguire e ad ampliarsi nei prossimi anni, coinvolgendo, come avviene già anche per molti paesi europei e l’Italia, anche milioni di residenti nei paesi sviluppati.

Flussi migratori recenti e tutele possibili

Seminario Faim, Roma, 28 Giugno 2019

Relazione di p. Lorenzo Prencipe- Presidente CSER (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.)

 

Alcuni punti fermi per situarci nel mondo delle migrazioni:

 

NEL MONDO: una piccola parte

Al 1° gennaio 2018 c’erano 258 milioni di migranti internazionali nel mondo (di cui 125 milioni, il 48,4%, donne), vale a dire il 3,4% della popolazione mondiale1 e cioè una piccolissima parte della popolazione di 7 miliardi e 750 milioni, perché rimanere nel proprio paese di nascita è la regola per la maggioranza delle persone.

E se aumentiamo la percentuale a 4% per includere anche i migranti irregolari e se arriviamo a 5% includendovi anche quelli che, dopo aver emigrato, hanno fatto ritorno nel loro paese di origine, possiamo comunque concludere che il 95% della popolazione mondiale non ha mai emigrato al di fuori del proprio paese tanto è vero che tra i migranti sono molto più numerosi quelli che si spostano all’interno del proprio paese (circa 740 milioni erano i migranti interni nel 20092).

Oltre il 60 per cento dei migranti internazionali vive in Asia (79,6 milioni) ed Europa (77,9 milioni). Nel Nord America se ne contano 57,7 milioni, in Africa 24,7, in America Latina e Caraibi 9,5 milioni, in Oceania 8,4 milioni.

Quasi la metà (49%) di questi emigranti vive in appena 11 Paesi tra cui troviamo: Stati Uniti 49,8 milioni, Arabia Saudita 12,2, Russia 11,7, Germania 9,2, Emirati Arabi 8,3, Canada 7,9, Australia 7, Gran Bretagna 6. L’Italia con 5,1 milioni d’immigrati è al non posto e precede la Francia con 4,6 milioni e la Spagna con 4,4 milioni di persone3.

Sui 258 milioni di migranti internazionali, 106 milioni sono nati in Asia (dove l’India è il primo paese esportatore di migranti con 17 milioni). L’Europa è la seconda area esportatrice di migranti internazionali (61 milioni tra cui troviamo i 5,1 milioni di italiani nel mondo), seguita da America Latina e Caraibi (38 milioni, tra cui 13 milioni di Messicani) e dall’Africa (36 milioni).

La rotta più seguita per i flussi migratori è quella che va dal Messico agli Stati Uniti (12,7 milioni di persone nel 2017: dall’inizio del 2019 quasi 500mila migranti sono stati fermati in Messico nel tentativo di attraversare il confine statunitense; nel 2018 i migranti morti al confine tra Usa e Messico sono stati 283.), seguita a distanza da quella che va dall’India all’Arabia Saudita (3,3 milioni). È rilevante, dovuta alla guerra di questi anni, l’esodo dei 3,3 milioni di siriani che vivono in Turchia: una presenza che era pari a zero nel 2000. 3,3 milioni di migranti seguono il corridoio Russia-Ucraina e altri 3,3 il cammino inverso dall’Ucraina in Russia.

In tale contesto, nonostante il battage mediatico, non è sbagliato sostenere l’irrilevanza numerica della rotta del Mediterraneo rispetto agli altri corridoi migratori e mettere così in evidenza l’immane strumentalizzazione politica di questi ultimi anni in Italia e in Europa. In realtà, fatta eccezione per l’anno 2015 quando c’è stato il picco dei rifugiati siriani (1 milione di persone arrivate in Europa via Mediterraneo, negli anni successivi ne troviamo 373 mila nel 2016, 185 mila nel 2017, 141 mila nel 2018… fino ai 34mila contabilizzati al 24 giugno 2019 dall’UNHCR (17mila in Grecia, 12 mila in Spagna, 2.447 in Italia e 1000 a Malta).

Nonostante la difficoltà di prevedere con precisione l’aumento dei migranti internazionali nei prossimi anni, gli analisti concordano nel ritenere che la tendenza all’aumento continuerà anche in rapporto alla costante crescita della popolazione mondiale.

In questi ultimi anni abbiamo visto soprattutto un forte aumento degli spostamenti umani, sia interni che transfrontalieri, dovuti a conflitti civili e transnazionali oltre ad atti terroristi. I dati parlano di più di 68,5 milioni di migranti forzati (erano “solo” 43 milioni 10 anni fa): di questi 40 milioni sono sfollati all’interno dei propri paesi nel mondo, 25,4 milioni di rifugiati e 3,1 milioni di richiedenti asilo4.

Vale la pena ricordare che se la maggioranza dei migranti internazionali vive in paesi ad alto reddito (165 milioni su 258, cioè il 64%), invece nei paesi a basso e medio reddito sono accolti circa 22 milioni di migranti forzati, vale a dire l’85% (9 su 10) di tutti e rifugiati e richiedenti asilo del mondo. La Turchia ne ospita la maggior parte (3,7 milioni), seguita da Giordania (2,9 milioni), Palestina (2,2), Pakistan e Uganda con 1,4 milioni ciascuno, Germania (1,3) e Libano (1) che però è paese che ha più rifugiati sul suo territorio rispetto alla popolazione locale. Circa la metà della popolazione dei rifugiati del 2018 è sotto i 18 anni.

 

NELL’UNIONE EUROPEA: comunitari e non

Troviamo l’emigrazione dei cittadini europei e dei membri delle loro famiglie che si spostano in un altro Stato membro per rimanerci per un periodo superiore a 3 mesi nel quadro della “libertà di circolazione” (16,9 mln) e l’emigrazione dei cittadini non europei, provenienti dai cosiddetti Paesi terzi che entrano nell’UE per rimanerci per ragioni familiari, di lavoro, di studio o per ragioni umanitarie (21,6 mln). In tutto sono 38,5 milioni i cittadini stranieri residenti nell’Unione Europea.

Delle 591mila richieste d’asilo, Siriani, Afgani e Irakeni erano circa il 30% del numero totale di “primo richiedenti asilo” nel 2018 nei paesi UE. Più di 80% delle richieste d’asilo sono state introdotte in 6 Stati membri: Germania 162mila, Francia 110mila, Grecia 65, Spagna 53, Italia 49.200 e UK 37mila. I 28 Stati membri dell’Unione europea (UE) hanno accordato una protezione a circa 333.400 richiedenti asilo nel 2018, una cifra in diminuzione del 40% in confronto al 2017 (533.000) 5. IN ITALIA (6,3 milioni di stranieri in tutto, il 10,4 della popolazione totale)

Al 1° gennaio 2018, 5.144.440 sono gli immigrati (o meglio stranieri) regolarmente residenti sul territorio (8,5% della popolazione totale residente): di cui 3,7milioni di non comunitari (i “veri stranieri”) e 167 mila rifugiati statutari. Il 52% degli immigrati sono donne.

Agli stranieri regolari residenti vanno aggiunti gli stranieri regolari ma non residenti, che hanno cioè un regolare permesso di soggiorno ma non sono iscritti all’anagrafe di nessun comune italiano: circa 450 mila persone6.Bisogna inoltre aggiungere i richiedenti asilo presenti in Italia che, considerato il numero di persone presenti nei diversi centri di accoglienza, sono circa 170 mila7: dato abbastanza credibile se consideriamo che secondo il Ministero dell’Interno ci sono state in Italia 130 mila domande di asilo nel 2017 e 53 mila nel 2018.

Infine, ci sono anche gli immigrati irregolari il cui numero stimato al 1° gennaio 2018 è di circa 533 mila, il 9-10% degli stranieri regolari8. Cifra notevole e destinata ad aumentare per effetto dei Decreti Salvini in materia di sicurezza e immigrazione che abolendo la protezione umanitaria, ridurranno la percentuale di richiedenti asilo che ottengono una protezione, e condanneranno gli altri all’irregolarità9.

 

L’ossessione dei migranti arrivati via mare o meglio delle ONG che li salvano

Dall’estate 2017 l’Italia ha adottato con la Libia (accordi dell’ex Ministro dell’Interno Minniti) il modello utilizzato nel 2016 dall’Unione Europea con la Turchia: dare soldi e altre forme di sostegno in cambio del blocco delle partenze. Nel 2018 (decreti del Ministro dell’Interno Slavini) questo modello è stato ulteriormente rafforzato producendo il risultato seguente. Tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2018 sono sbarcate in Italia 23.371 persone, quasi centomila in meno rispetto al 201710.

Tra i paesi di provenienza il più rappresentato è la Tunisia (cinquemila persone, 23% del totale) seguito da Eritrea (3,3 mila persone, 15%), Iraq (8%), Sudan e Pakistan (7%). Seguono Nigeria, Algeria e Costa d’Avorio. Il 72% delle persone arrivate sulle coste italiane è di sesso maschile, le donne sono il 10%, i minori il 18% – in buona parte minori non accompagnati.

1.311 persone sono morte tentando di attraversare il Mediterraneo centrale nel 2018. Erano state 2.872 nel 2017, ma con molte più partenze. E nel 2019 (al 24 giugno) sono arrivate via Mediterraneo

2.447 persone, di cui 20% di minori e 10% di donne. La stima dei morti in mare è attualmente di 581.

Non bisogna comunque dimenticare che, la via marittima (la più mediatica) non l’unica né la più importante via d’arrivo in Italia. Secondo i dati ISTAT relativi a tutto il 201811, i cittadini stranieri regolarmente residenti sono 5 milioni 234mila e rappresentano l’8,7% della popolazione totale.

Aumentano sia le immigrazioni regolari, pari a 349mila (302mila stranieri e 47mila italiani che rientrano), sia le emigrazioni, 160mila, di cui 40mila stranieri e 120mila italiani.

Dei 302 mila stranieri arrivati in Italia nel 2018, 262.770 sono non comunitari ed hanno ricevuto i seguenti permessi di soggiorno: lavoro 12.200, famiglia 113.549, studio 18.323, asilo 101.065 e residenza elettiva per religione o salute 17.633.

Sono in aumento anche le migrazioni interne: nel 2018 i trasferimenti di residenza intercomunali sono stimati in circa 1 milione e 359mila, di questi i movimenti interregionali (tra Comuni di regioni diverse) sono stimati in oltre 330mila e i restanti trasferimenti, all’interno delle regioni, hanno un volume di circa 1 milione 28mila unità. Sono le regioni del Nord, e in particolar modo quelle del Nord-est, ad acquisire flussi netti positivi di arrivi dal Mezzogiorno dove i saldi migratori sono sempre negativi e la perdita di popolazione dell’intera area è pari a oltre 65mila individui.

 

LA NUOVA EMIGRAZIONE ITALIANA12

A partire dagli anni 1990 riprende l’emigrazione italiana verso l’Europa occidentale (UK-F-D-CH) e verso gli Stati Uniti di turisti o studenti che si inseriscono successivamente nel mercato del lavoro, spesso in maniera informale13 che di ricercatori, professori universitari, stilisti, grafici… in genere giovani14. Dopo il 2011, migranti meno giovani accompagnano i più giovani nei nuovi percorsi migratori: si tratta essenzialmente di persone che hanno perso il lavoro durante la crisi economica iniziata nel 2008 e di pensionati che a causa del costo di vita italiano, preferiscono altri paesi più attrattivi per l’entità delle loro pensioni15. In quest’ultimo periodo, riprende anche l’emigrazione di italiani disposti a svolgere i lavori più diversi (anche se precari, ma meglio pagati che in Italia) nella ristorazione, alberghi, negozi, edilizia, alimentando le nicchie economiche tradizionali dell’emigrazione italiana16.

Partono le famiglie, ma anche persone sole, spesso donne: quasi la metà di tutte le partenze17.

Numericamente, se dal 1975 assistiamo ad una costante discesa che dai quasi 100 mila espatri l’anno arriva fino ai 34mila espatri l’anno del 1995, se il periodo 1996-2006 si attesta sui 40mila espatri in media per anno, dal 2007 ricomincia una lenta e graduale ripresa dell’emigrazione che supererà le 100mila unità l’anno nel 2015 e continuerà su questi numeri anche nel 2016 e 2017, raggiungendo le 120mila unità nel 201818.

Siamo dinanzi alla terza grande emigrazione italiana dopo quella tra la fine dell’800 e gli anni Venti del 900 e quella tra la Seconda guerra mondiale e gli anni 197019. Si calcola che fino al 2025 almeno 16.700 medici specialisti andranno in pensione e lasceranno il servizio sanitario nazionale. Oltre il 5% dei laureati italiani di secondo livello cerca lavoro all’estero. Nel 2017, 10.500 giovani tra i 25 e i 39 anni hanno trasferito la loro residenza all’estero. In media a 5 anni dal conseguimento del titolo di studio un laureato all’estero guadagna circa 2.200 euro netti al mese contro i 1.400 di chi resta in Italia. Per chi resta la differenza non è solo economica. Sono peggiori in generale le condizioni di lavoro in un sistema precario e spesso clientelare che impone ai giovani, lunghe trafile, ritmi pesanti, forti pressioni psicologiche a fronte di bassissime prospettive di crescita professionale20.

Più dell’85% dei laureati espatriati sceglie l’Europa. Il 22,8% nel Regno Unito, (la Brexit sembra non far troppa paura), l’11,6% in Svizzera fuori dall’UE, l’11,4% in Germania, il 9,4% in Francia, il 6% in Spagna e il 5% va in America e meno del 5% in Asia.

L’Italia è il terzo gruppo di europei che vive in un altro paese dopo romeni e polacchi. Nel 2006 gli italiani registrati all’estero erano oltre 3 milioni, nel 2018 oltre 5,1. Significa che in poco più di 10 anni sono partiti oltre 2 milioni di persone. Tra il 1° gennaio 2016 e il 1° gennaio 2018 i trasferimenti sono aumentati del 14%. Nel solo 2017 se ne sono andati in 285mila. Più della metà ha tra i 11 e 44 anni, in piena età lavorativa. Se ne vanno nuclei familiari e aumentano le partenze dai 50 anni in su.

Ad ogni modo è opportuno considerare che paragonando le banche dati italiane sull’emigrazione con quelle degli altri paesi europei troviamo che in queste ultime l’incidenza del numero di partenze è superiore a quelle delle statistiche italiane che potrebbero quindi essere moltiplicate per 2,5 o 3 senza per questo diventare irrealistiche21: per esempio, tra il 2011 e il 2015, l’ISTAT ha contabilizzato 60.700 partenze verso la Germania mentre le Statistisches Bundesamt, 274.285. Se questa situazione fosse generalizzata ci troveremmo in presenza di un fenomeno migratorio la cui consistenza è simile a quella della grande emigrazione del Secondo dopo Guerra22.

 

Quali tutele per i nuovi migranti, all’estero e in Italia

 

  • 1) Poiché “nessuno Stato è in grado di affrontare da solo le sfide e le opportunità dell’immigrazione globale”, anche se l’Italia si è sfilata dalla sua ratifica la società civile non dovrebbe abbandonare le iniziative e gli orientamenti definiti dal “Global compact per le migrazioni disciplinate, sicure e regolari23 (firmato da 164 paesi) a tutela dei migranti in un quadro di cooperazione internazionale, resistendo agli atti di sabotaggio dei sovranismi e nazionalismiPer tutelare tutti i soggetti delle migrazioni si tratta allora di: assicurare tanto la libertà di restare nel proprio paese (riducendo al minimo i fattori di espulsione) come quella di partire (vie legali, salvaguardia della vita umana in pericolo, contrasto ai trafficanti, procedure trasparenti ed efficaci per accoglienza e istallazione di migranti e rifugiati, accesso ai servizi di base), di restare nel paese di destinazione (procedure di assunzione e condizioni di lavoro dignitoso, riconoscimento di abilità, qualifiche e competenze, misure antidiscriminatorie di inclusione e coesione sociale per migranti e autoctoni) e di far ritorno nel paese di origine (sicurezza per il trasferimento di rimesse24, progetti di co-sviluppo e cooperazione verso i paesi di origine, agevolare i ritorni e il reinserimento nella società, portabilità delle prestazioni previdenziali e dei benefici acquisiti).

 

  • 2) A livello di UE: intraprendere azioni perché diventi possibile una cessione di sovranità nazionale in materia di immigrazione ed asilo per creare una vera politica comune di gestione delle questioni che superano i confini nazionali a cominciare dal superamento del regolamento di Dublino verso una reale condivisione di benefici ed
  • Rilanciare la riforma del Regolamento di Dublino, già approvata dal Parlamento europeo, il 16 novembre del 2017, che prevede che le domande non vengano più esaminate nel primo Paese d’ingresso: i richiedenti asilo andrebbero distribuiti obbligatoriamente in tutti i Paesi dell’Unione, in proporzione a popolazione, PIL, grado di sviluppo economico, legami familiari dei richiedenti asilo con uno specifico Paese.

 3) A livello Italia: ripensare vie legali d’immigrazione rafforzando, da un lato, i “corridoi umanitari” e, d’altro lato, sperimentare permessi di ricerca lavoro della durata di un anno che diano allo straniero che entra in Italia la possibilità di trovare un’occupazione nei settori, come l’assistenza familiare, nei quali c’è innegabile bisogno di lavoratori. È dal 2014 che i “decreti flussi” sono aperti quasi solo al lavoro subordinato stagionale. Anche quello del 2019, che concede 30.850 ingressi, si rivolge in prevalenza al lavoro stagionale, con l’aggiunta di permessi di studio e poco altro;

  • ripristinare il sistema di accoglienza praticamente smantellato dai Decreti sicurezza e immigrazione con l’abolizione della protezione umanitaria, la modifica radicale del sistema di accoglienza SPRAR, il Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati, che diventa “Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e minori stranieri non accompagnati” escludendo e mettendo per strada, in condizione di irregolarità palese, i richiedenti asilo che non finiranno nei CAS – Centri di Accoglienza Straordinaria, più volte criticati perché concentrano le persone in grandi strutture con forte impatto sul territorio, con scarse misure di promozione dell’integrazione, minor controllo sull’utilizzo dei fondi e tutele sempre più precarie;
  • riproporre la riforma della legge sulla cittadinanza per i bambini stranieri (ius soli/ius culturae), che non significa, come ha affermato Salvini, dare la cittadinanza «al primo che passa», ma bensì che il bimbo nasca in una famiglia già integrata, con almeno un genitore provvisto di permesso di lungo soggiorno e che segua la scolarizzazione nelle scuole italiane;
  • incentivare il ritorno in Italia dei giovani emigrati all’estero oltre che con i bonus fiscali25 e le borse di rientro26, soprattutto con un rinnovato adeguamento e monitoraggio tra sistema educativo- formativo e mondo dell’impresa e l’inserimento in un rinnovato mercato del lavoro le cui regole di accesso e di permanenza siano improntate alla trasparenza, aperto a tutti, italiano o straniero, capace di creare occupazione stabile, favorevole all’impresa giovanile e attrattivo per gli investimenti in innovazione tecnologica;
  • infine, sostenere una regolarizzazione, soprattutto dei cosiddetti ‘overstayers’, persone entrate nel nostro Paese con un permesso turistico e che poi hanno trovato un lavoro. Tante badanti, ucraine o moldave o sudamericane, sono in queste condizioni. Gli attuali sistemi di ingresso comportano che ogni tot anni venga svuotato il bacino di immigrati in situazione irregolare, e l’ottava e ultima sanatoria venne approvata dal governo Monti nel 2012. Tale provvedimento di emersione avrebbe un effetto positivo sulla percezione sociale di sicurezza, andrebbe incontro alle difficoltà contrattuali di molte piccole imprese e sarebbe un evidente vantaggio per le casse dell’Inps.