Gli interventi dei rappresentanti della Faim Rino Giuliani, Pietro Lunetto, Enrico Pugliese, Matteo Sanfilippo e di Padre Lorenzo Prencipe (Cser) ROMA – Si è tenuto oggi a Roma, presso il Centro Congressi Frentani, il seminario dal titolo “Europa: tutelare le nuovi migrazioni,

quali responsabilità”, organizzato dal Forum delle Associazioni Italiane nel Mondo (Faim). L’evento è stato accolto con soddisfazione dal Segretario Generale del Cgie, Michele Schiavone, che ha fatto pervenire ai partecipanti il suo indirizzo di saluto. “Da quindici anni la storia migratoria italiana – scrive Schiavone - ha ripreso a inseguire i tornanti della diaspora dell’inizio e della metà del secolo scorso raggiungendo cifre da esodo di massa, contrastanti con il ruolo di potenza riconosciutole tra i Paesi più avanzati; tuttavia sembra non far più notizia la sostanziosa percentuale dei sei milioni di italiani all’estero, mentre i riflettori sono specularmente proiettati sugli artifici della politica immigratoria di questi ultimi mesi. Il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero – prosegue Schiavone - plaude alla vostra continua iniziativa tesa a proporre soluzioni pratiche e di stimolo, nella ricerca di strumenti per governare i fenomeni migratori. Seguiamo con interesse il vostro lavoro nel mondo e vi sollecitiamo a valorizzare gli sforzi prodotti dal ‘core business sociale’ delle vostre associazioni ringraziandovi per il supporto che offrite da sempre al Cgie”. L’incontro è stato introdotto da Pietro Lunetto, del Comitato di coordinamento Faim, che ha ricordato il seminario tenutosi nel 2017 di cui l’attuale incontro è un seguito ideale per costruire un’analisi quanto più condivisa. “Il prossimo appuntamento in autunno – ha affermato Lunetto - servirà a mettere insieme ulteriori proposte sui fenomeni migratori. Questo seminario arriva in un momento in cui il tema della migrazione è nella cronaca quotidiana. Leggendo i dati tuttavia sembra non essere l’invasione il vero problema quanto piuttosto l’evasione: ossia la costante e annuale partenza degli italiani verso l’estero. Ormai da oltre dieci anni i flussi migratori italiani verso l’estero non si fermano.. Tra le quattro libertà fondamentali dell’Unione europea – ha ricordato Lunetto - c’è la tutela per i lavoratori mobili: oggi tutto questo appare a rischio”. Lunetto ha poi espresso preoccupazione per il fatto che l’emigrazione italiana interessi addirittura quelle zone del nord storicamente benestanti e industrializzate. “Ad emigrare – ha aggiunto - sono per lo più quelle persone che non trovano lavoro o che sono state espulse dal ciclo produttivo per motivi anagrafici. A questo si aggiunga il precariato: l’anno scorso il 60% dei nuovi contratti in Italia aveva una durata di tre mesi”.

Enrico Pugliese (RPPS-CNR), Presidente del Comitato scientifico Faim, ha ricordato come dall’ultimo incontro fossero emersi dei punti fermi. “Tra questi punti c’è la consapevolezza di una ripresa significativa dell’emigrazione italiana nell’ultimo decennio; c’è poi la riflessione sulla reale composizione di questa migrazione, che va distinta da quelle rappresentazioni mitiche che ruotano attorno alle figure di questi giovani talenti e dei cosiddetti cervelli in fuga: solo un terzo dei nostri migranti è rappresentato da giovani ad alto livello di istruzione che vanno a fare esperienza all’estero, mentre per la maggior parte dei casi si tratta di un flusso migratorio di tipo tradizionale con persone mediamente istruite che emigrano per necessità economiche”, ha spiegato Pugliese interrogandosi quindi sul futuro. “C’è nel complesso una strisciante riduzione in diversi Paesi dei benefici legati al welfare per gli stranieri e c’è dunque un quadro meno amichevole nei confronti di lavoratori e cittadini mobili nell’Unione europea. Le incertezze sono state sicuramente inasprite da politiche come la Brexit”, ha aggiunto Pugliese ricordando un altro problema come quello dello spopolamento di alcune zone dell’Italia. Infine una riflessione ha riguardato il saldo migratorio in entrata e in uscita. “Abbiamo una diminuzione di chi arriva in Italia per lavoro e un aumento di chi arriva per ragioni di asilo e per ricongiungimenti familiari; in uscita invece abbiamo solo un quarto rappresentato da stranieri che hanno temporaneamente risieduto da noi, mentre la maggioranza di chi espatria è di nazionalità italiana”, ha puntualizzato Pugliese.

Padre Lorenzo Prencipe (CSER) ha invitato a riflettere su dati e cifre legati ai flussi migratori nel mondo. “Nel 2018 l’Onu ha fissato in 258 milioni i cosiddetti migranti internazionali, inserendo in questa categoria anche le persone nate all’estero ossia oltre il 3% della popolazione mondiale; il 95% della popolazione mondiale invece non è mai emigrata dal proprio Paese. E’ inesatto sostenere che l’Europa si faccia carico di tutte le emigrazioni, considerando che è la stessa Europa ad essere la seconda area esportatrice di migranti subito dopo l’India e l’Asia in generale. La rotta migratoria più frequentata è quella tra il Messico e gli Stati Uniti, non quella del Mediterraneo; al secondo posto c’è quella tra l’India e l’Arabia Saudita”, ha spiegato Prencipe sottolineando come, stando a questi dati, nel Mediterraneo la situazione sia assolutamente gestibile. Si è quindi passati nello specifico ad analizzare i dati prettamente italiani. “Dal 1975 abbiamo assistito a una costante discesa dei flussi migratori italiani fino alla metà degli anni Novanta: si è passati dai 100 mila espatri all’anno del 1975 ai 34 mila del 1995. Nel decennio 1996-2006 la cifra si è assesta sui 40 mila espatri annui. Dal 2008, con la grande crisi economica mondiale, il numero ha ripreso gradualmente a salire: 100 mila unità nel 2015 e nel 2018 il boom dei 120 mila espatri”, ha affermato Prencipe invitando a un’attenta riflessione su alcuni principi generali come il diritto di poter restare nel proprio Paese e di poter emigrare in condizioni di legalità; al contempo il contrasto ai trafficanti e non alle vittime di questo stesso traffico; infine la libertà di poter far ritorno nel Paese d’origine.

Matteo Sanfilippo, del Comitato scientifico Faim e docente all’Università della Tuscia, ha ripercorso l’evoluzione storica dell’associazionismo. “Di solito parliamo delle associazioni italiane come se fosse un qualcosa di recente. In realtà i meccanismi di associazionismo sono vecchissimi: nascono, dal punto di vista statutario, addirittura nel Trecento come associazioni religiose o dei mestieri, ossia quelle che oggi chiameremmo società di mutuo soccorso. Nel Cinquecento c’è stato un ulteriore passo in avanti con la nascita all’estero dei cosiddetti ‘ospedali degli italiani’: dapprima a Madrid poi a Praga e a Ginevra. I consiglieri di questi organismi rappresentavano le diverse città del nord, del centro e del sud Italia, a testimonianza tra l’altro che già nel Cinquecento si parlava italiano come lingua comune e ci si comprendeva”, ha rilevato Sanfilippo. “Nell’Ottocento nasce il concetto di nazionalismo italiano e si vuole superare il regionalismo per un’idea di Italia unita: una spinta ancor più evidente arriva con il Fascismo. Arrivando ai tempi a noi più recenti troviamo le associazioni, come le conosciamo oggi, e i patronati che svolgono un ruolo importante offrendo servizi”, ha aggiunto Sanfilippo.

Rino Giuliani, portavoce del Faim, ha riepilogato gli obiettivi del seminario, esprimendo soddisfazione per averli raggiunti in quanto a riflessioni sulle relazioni tra mondo dell’associazionismo e migrazione italiana nel mondo. “Oggi bisogna più che mai discutere in maniera non ideologica ma concreta e pratica. Per quanto riguarda il Faim possiamo dire di essere un soggetto sufficientemente attivo, rispetto ad altre realtà che ruotano attorno all’emigrazione italiana: riusciamo ad essere propositivi svolgendo positivamente il nostro ruolo sussidiario”, ha affermato Giuliani tornando poi sulle già menzionate condizioni che portano gli italiani ad espatriare. “C’è uno stretto legame tra le condizioni economiche e le migrazioni. Possiamo quindi considerare come una percentuale minore la parte riguardante i cosiddetti cervelli in fuga o quella di coloro che vanno a fare esperienze di studio o di lavoro specializzato rispetto alla maggioranza di chi parte alla ricerca di un qualunque lavoro. Possiamo ritenere l’emigrazione odierna non così diversa da quella del passato: forse sarebbe più utile vederne le analogie piuttosto che le differenze. Si può distinguere tra migrazioni povere, ossia proletarie e più tradizionali, e migrazioni fluide, come vengono spesso definite quelle forme di mobilità più attuali. In ogni caso è bene evitare gli stereotipi perché la realtà è molto più complessa: bisogna soltanto capire che l’ora dei cambiamenti è adesso e non si può più rimandare”, ha aggiunto Giuliani rilanciando la necessità di un protagonismo di tipo orizzontale da parte dell’associazionismo nel gestire al meglio il rapporto tra gli emigrati e l’Italia. Seguiranno ulteriori approfondimenti. (Simone Sperduto/Inform)