1. Sul versante italiano il problema è ampiamente noto e dibattuto: l’invecchiamento della popolazione, la denatalità e lo spopolamento di ampie aree del paese, segnatamente quelle rurali e i piccoli centri, comporta ricadute negative sul sistema economico

e complessivamente sullo welfare, soprattutto al sistema pensionistico. Pensare a breve termine di ovviare al problema in modo tutto interno, ossia intervenendo sulla famiglia, allo scopo di favorire la natalità oppure agevolarla intervenendo sul posto di lavoro e negli altri spazi sociali a favore di chi ha dei bimbi, se può aiutare non può certo risolvere il problema. Certamente, a prescindere dal ruolo nuovo e diverso che si ritaglia la donna nella società occidentale, a causa dei forti limiti che incontra la finanza pubblica cui sarà difficile ovviare in tempi brevi. D’altro canto la soluzione più ovvia che si profila all’orizzonte, ossia il ricambio reso possibile dai flussi migratori che gradualmente investono il nostro paese della cui ineluttabilità non tutti sono convinti, suscita un vivace dibattito nell’opinione pubblica italiana con la maggior parte di quest’ultima orientata in senso non troppo favorevole. In questo quadro l’ingresso di discendenti di italiani o di italici se non costituisce la panacea di questi mali tuttavia può rappresentare un contributo significativo a risolvere il problema della sostenibilità economica e sociale del paese e sottrarsi da alcuni distinguo giacché si tratta di soggetti già abbastanza avanti in fatto di collocazione all’interno del sistema italiano e occidentale.

  1. Il secondo problema abbraccia il tema i giovani italiani espatriati in questi ultimi anni, su cui pesa anche la scarsa attrattività del sistema del nostro paese per come si presenta al momento attuale in termini di opportunità, di salari, meritocrazia, ecc. Pensare che soprattutto i più qualificati rientrino solo grazie a qualche incentivo o più o meno buone intenzioni di cambiamento non appare sufficiente agli occhi di chi è intento a realizzare altrove i propri progetti di vita. O mutano le condizioni, dalla meritocrazia ai livelli salariali, oppure nel mondo globalizzato occorrerà accettare che rimanga o si trasferisca in Italia solo chi può trovare spazio nelle eccellenze che nei diversi campi pure offre il nostro paese (musica, arte, gastronomia, moda, sport, ecc.). Per il resto è meglio lasciare libertà di movimento ai giovani che intendono misurarsi col mondo più ampio, tenendo conto che qualora si ricreassero condizioni favorevoli nella terra di origine chi ha preso la strada dell’espatrio potrebbe tornare forte di una formazione di livello internazionale. E ciò a prescindere che non si deve perdere di vista che si agisce in un sistema europeo che è interesse di tutti mantenere interconnesso anche con scambi e ricambi di popolazione giovanile. Un discorso analogo va fatto per le intelligenze e le professionalità più ordinarie, pensando per esempio all’allarme ha destato di recente il gran numero di giovani medici che abbandonano l’Italia.
  2. Trattando nello specifico il tema dell’ingresso nel nostro paese delle generazioni di discendenti degli antichi emigranti – soprattutto nelle aree di crisi dell’America del Centro e del Sud o più in generale con uno sviluppo inferiore al nostro – oppure di giovani non di discendenza diretta dall’Italia, ma che si possono definire “italici” per cultura, conoscenze linguistiche e predisposizione a vivere nel nostro paese, i principali problemi potrebbero essere del tipo seguente:
  3. a) inadeguata o nulla conoscenza della lingua e cultura italiana;
  4. b) conseguente interesse all’acquisizione della cittadinanza italiana al solo scopo di trasferirsi in paesi europei di lingua spagnola o portoghese, o addirittura in America del Nord o in altri paesi UE, aspetto questo che frustrerebbe eventuali politiche d’inserimento nel nostro paese;
  5. c) ostacoli di natura regolamentare e burocratica soprattutto da parte delle amministrazioni locali italiane che, approfittando talvolta della scarsa familiarità col sistema amministrativo del nostro paese da parte dei richiedenti visti e permessi, spesso ritardano o addirittura negano i diritti;
  6. d) diseguale attrazione del sistema socioeconomico del paese, con maggiore attrattività del centro nord rispetto al mezzogiorno e le isole, aspetto questo che condizionerebbe un’eventuale azione delle reti migratorie tradizionali e dei canali associativi che intendessero promuovere questi spostamenti;

 CHE COSA FARE?

 1. Convincere l’opinione pubblica italiana che è necessario attuare una profonda azione di recupero della solidarietà nazionale e familiare tra i due tipi di Italia che, nel giro di due secoli, si sono formate rispettivamente nel paese di origine e all’estero e, sulla base di questa, ragionare circa l’ipotetico interesse del paese ad allargare le frontiere ai giovani sia per rafforzare i propri fondamenti economici sia per garantire la tenuta dello welfare e del sistema pensionistico agli stessi residenti.

  1. Chiedere alla classe politica di trasformare questo progetto in proposta politica lungimirante tesa a risolvere problemi strutturali del nostro paese e della nostra economia. In particolare occorre sottolineare che il problema non va inserito nel dibattito sui flussi migratori dalle aree mediterranee che oggi attraversa l’Italia bensì in un contesto e in un’azione di recupero di frange di popolazione giovanile che in tutti i sensi va considerata italiana e che in questa logica vanno visti anche gli eventuali rientri di giovani di più recente emigrazione.
  • Svolgere presso le nostre comunità all’estero, soprattutto in America Latina (e oggi particolarmente in Venezuela), un’azione di promozione di questo progetto, facendo leva sui tradizionali canali dell’associazionismo e sulle nuove aggregazioni createsi attraverso i social.
  1. Poiché l’obiettivo è l’inserimento in Italia che i giovani che in qualche modo lo desiderano occorrerà risolvere a monte i problemi che potrebbero frustrarlo spingendo gli interessati a trasferirsi in altri paesi, cosa che va pure bene, ma non dimenticando che l’obiettivo è la penisola italiana. Perciò occorre prescindere dal tema della cittadinanza che, una volta ottenuta, lascia e deve lasciare liberi di risiedere ovunque sia concesso a tutti i cittadini italiani. Perciò occorre concentrare il discorso su due aspetti fondamentali:
  2. La concessione di visti e permessi che oggi, legandosi alla condizione di extraeuropeo, diventano strumenti che ritardano e in prospettiva vanno in controtendenza rispetto a una politica che si volesse attuare in questo senso.
  3. La necessità di preparare in tutti gli aspetti utili il potenziale giovane da inserire in Italia già nella terra di origine. In questo senso attività di formazione linguistica e culturale, oltre che professionale, che oggi spesso vanno in direzioni generiche e casuali, andrebbero finalizzate a un obiettivo di questo tipo.
  4. La prospettiva non può essere quella di sottrarre posti di lavoro ai residenti, che politicamente metterebbe in difficoltà chi la sostiene, anche se gli addetti ai lavori sanno che non ha un grande fondamento. L’obiettivo è avvalersi di nuovi e altri giovani, ossia nuove forze che possibilmente presentino iniziative e capacità non del tutto esistenti nel paese. Dopo di ché s’inseriranno nella dinamica della domanda e dell’offerta di lavoro a monte della quale s’impongono scelte imprenditoriali.
  5. L’ultima preoccupazione riguarda la loro sistemazione logistica in Italia, in altri termini l’accoglienza. Per quanto se ne sa i giovani candidati a rientrare in questo progetto provengono dalla classe media dei rispettivi paesi e generalmente dispongono di qualche reddito frutto del risparmio delle rispettive famiglie e considerati un investimento da utilizzare in Italia. La gran parte di essi dispone di agganci sul territorio di origine, vecchi parenti e famiglie amiche in qualche modo disposte a fare la propria parte. Sicuramente non alimentano le schiere di migranti meno fortunati che pur di rimanere nel paese di accoglienza si adattano a tutte le combinazioni logistiche. In tutti i casi vanno mobilitate le associazioni che si occupano degli italiani all’estero e con esse le famiglie di origine. Un periodo di permanenza alla ricerca di una sistemazione va messa nel conto. Come pure va preventivato un periodo di formazione culturale, linguistica e di conoscenza del sistema. Per alcuni si potrebbe trattare di completare gli studi. In tutti i casi il riferimento, o quella che oggi viene definita sponsorizzazione, deve basarsi non solo su chi può garantire il sostegno materiale ma anche più in generale chi può garantire l’accoglienza a tacere di chi dimostra di possedere i mezzi per sostenersi da solo. Su tutto deve far da premio l’ampiezza dei criteri di concessione di visti e permessi, l rapidità delle pratiche e i tempi certi della loro definizione.

 

In generale questo progetto va considerato non come rivolto a sottrarre egoisticamente o opportunisticamente forze giovani a paesi emergenti (o che hanno difficoltà a emergere), ma a prescindere che esso si indirizza a qualsiasi area in cui vi siano italiani o italici che vorrebbero sperimentare le possibilità che offre il nostro paese, esso si colloca nella logica migliore dei flussi migratori. E soprattutto nel senso che, come dimostrano tutti gli studi in materia, la circolazione giova ad aumentare la ricchezza complessiva del pianeta e il ricambio conferisce dinamismo ai paesi che la lasciano più libera, come dimostra il caso degli Stati uniti che hanno la maggiore proporzione di popolazione nata all’estero e quello specifico della Silicon Valley, primo polo mondiale della rivoluzione informatica, dove più della metà sono stranieri.