Salvatore Augello intervista l'On. Francesca La Marca - Quella appena passata è stata una campagna elettorale molto difficile. Ciò nonostante, lei ha avuto una grande affermazione. Cosa si prova a tornare in Parlamento potendo contare sulla importante affermazione da Lei avuta?

Sul buon esito del mio risultato elettorale hanno sicuramente influito la serietà del mio impegno nella legislatura trascorsa, la lealtà con cui mi sono rapportata ai connazionali del Nord e Centro America, lo sforzo di costruire quotidianamente con loro una rete di dialogo e i risultati che come eletti all’estero siamo riusciti ad ottenere in particolare dagli ultimi due governi a guida PD, che hanno impresso una svolta alle politiche per gli italiani all’estero. Naturalmente provo soddisfazione a tornare in Parlamento con un mandato di fiducia rinnovato e rafforzato, ma so che i miei doveri verso gli elettori non sono finiti, semmai si sono accresciuti. Fin dal primo giorno della mia attività parlamentare ho detto che sarei stata il tramite tra la nostra gente e le istituzioni italiane e che le questioni che gli italiani, di cittadinanza e di origine, devono quotidianamente affrontare all’estero sarebbero state i contenuti della mia azione. Continuerò con convinzione su questa strada.

Considerando che la Sua rielezione sia un riconoscimento dell’impegno e del lavoro svolto nella legislazione passata, cosa pensa ora sia necessario per gli italiani all’estero?

Penso che prima di tutto sia necessario un riconoscimento storico e morale dell’emigrazione italiana per quello che ha rappresentato nei momenti difficili della nostra storia nazionale e per ciò che ancora oggi rappresenta per l’Italia. Per questo, ripresenterò immediatamente la mia proposta di legge, arrivata ad un passo dalla definitiva approvazione, sulla istituzione della Giornata nazionale degli italiani nel mondo che, oltre ad essere un riconoscimento doveroso, è l’occasione per accrescere in Italia la consapevolezza del valore della comunità italiana nel mondo. In secondo luogo, la classe dirigente del nostro Paese deve rendersi conto che gli italiani nel mondo sono in periodo di globalizzazione una leva straordinaria per un’efficace e diffusa internazionalizzazione del nostro sistema. Tutti esaltano il dato delle nostre esportazioni e del made in Italy, ma quanto di tutto questo si deve agli italiani all’estero? Allora non basta dirlo retoricamente, occorre che le loro rappresentanze, il mondo associativo e le reti di riferimento siano più direttamente coinvolte nelle politiche di internazionalizzazione del Paese. Se questi presupposti si consolideranno, sarà più facile far passare i singoli provvedimenti volti a raccogliere le esigenze più immediate.

Cosa pensa della struttura organizzativa del PD all’estero?

Si tratta non solo di un importante strumento di presenza e di iniziativa di un partito centrale nel sistema politico italiano, ma di un canale di partecipazione democratica che va al di là degli interessi di una singola formazione politica. Soprattutto dopo che le modifiche costituzionali hanno prescritto l’”effettività” del diritto di voto degli italiani all’estero e assicurato una specifica presenza nel Parlamento nazionale. Ci sono voluti decenni per realizzarla in condizioni difficili e diverse da paese a paese e sarebbe profondamente sbagliato se fosse abbandonata a sé stessa in nome di una modalità di azione politica fatta prevalentemente di messaggi e di frequentazioni mediatiche, importanti ma non esclusive. Quando si parla di controtendenza del voto estero rispetto ai risultati del PD in Italia, per esempio in occasione del referendum costituzionale e di queste ultime elezioni, qualcuno dovrebbe ricordare anche il peso che su questi esiti ha avuto una rete organizzativa di base, che rappresenta un unicum rispetto alle altre formazioni politiche.

Quali sono le tematiche che porterà avanti in Parlamento anche a completamento dell’opera da tempo iniziata?

Le ho chiaramente indicate nel mio programma elettorale e intendo onorarle, per quanto mi sarà possibile nelle concrete condizioni che si sono determinate a seguito del voto che ha premiato altre formazioni e coalizioni. Oltre alla Giornata nazionale degli italiani nel mondo, di cui ho detto, le mie priorità saranno la promozione della lingua e della cultura italiana, un vero passepartout per un Paese di alte tradizioni culturali come l’Italia, il miglioramento dei servizi consolari, da perseguire con maggiori risorse, più personale e una più incisiva applicazione delle tecnologie informatiche, la tutela dei diritti dei nostri pensionati all’estero e il riconoscimento della cittadinanza per le donne che l’hanno perduta a seguito di matrimonio con uno straniero e per chi è nato in Italia. Mi propongo, inoltre, di completare il lavoro che ho già avviato per il reciproco riconoscimento delle patenti di guida e per un più ampio riconoscimento dei titoli di studio e professionali. C’è poi un altro grande campo da affrontare, riguardante le nuove mobilità e le nuove migrazioni, con una particolare attenzione, per quanto riguarda la mia ripartizione, per le migliaia di ricercatori e giovani professionisti che cercano all’estero le condizioni per la loro realizzazione professionale e umana. In questo campo, il mio impegno sarà particolarmente intenso per lo sviluppo degli scambi scientifici e per il reciproco riconoscimento di alcuni titoli tecnico-scientifici.

Pensa che il PD abbia sbagliato qualche cosa in questa campagna elettorale all’estero e se sì che cosa?

Per la sincerità che mi contraddistingue, non posso nascondere un senso di isolamento dei candidati rispetto al retroterra organizzativo e politico del partito, che avrebbe dovuto essere più presente e incisivo in termini di indirizzo politico, di rivendicazione del molto che si è ottenuto con i governi a guida PD e di coordinamento dell’attività dei candidati. Ognuno, insomma, ha cercato di fare al meglio il suo lavoro, ma non sempre si è sentito il gioco di squadra. In secondo luogo, credo sia stato un errore abbandonare l’impostazione strategica che il partito ha sempre dato alla formazione delle liste all’estero, vale a dire quella di tenere insieme tutte le forza dei centrosinistra e di sinistra per evitare frammentazioni dannose. Nelle Americhe abbiamo perduto due senatori nonostante il risultato positivo della nostra lista e l’ottima performance dei nostri candidati. Si sarebbe potuto evitare lavorando con maggiore impegno e lucidità a unire le forze a sinistra, riconoscendo ad ognuna un suo spazio, per mettere insieme il potenziale complessivo che sarebbe risultato vincente.

Pensa sia opportuno una grande sintonia tra gli eletti all’estero per il bene degli emigrati?

Certamente dovremo fare ogni sforzo per cercare di far sentire una voce unitaria in un Parlamento che – lo ricordo – vedrà 18 eletti all’estero in una platea di poco meno di mille parlamentari. E’ bene però essere chiari. Questo potrà avvenire solo riducendo il tasso di personalismo e protagonismo che ha caratterizzato in passato alcuni eletti e superando l’esasperato e vuoto propagandismo di cui si sono fatti portatori altri rappresentanti dell’estero. Il metodo migliore, quindi, è quello di partire dalle cose da fare, per verificare la disponibilità di ognuno e, soprattutto, la coerenza delle azioni rispetto alle parole. Un ruolo importante nell’evidenziare i problemi e nel favorire il coordinamento dei parlamentari lo potrà avere proprio l’associazionismo, che ha legami sociali più diretti. L’USEF, che in questo ha un credito storico da far valere, sa bene come fare. Io, che mi riconosco nell’USEF per origini familiari e per vincolo associativo, sarò molto attenta e disponibile alle vostre indicazioni.