IL RUOLO DEGLI “ITALICI” NELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE DEL SISTEMA ITALIA NEL MONDO

di Fabio Porta (foto accanto) -  La legislatura che volge al suo termine naturale è iniziata con una scelta importante per le politiche rivolte agli italiani nel mondo, una decisione non solo nominalistica

ma di sostanza e – aggiungerei – di prospettiva. Nell’assumere la presidenza del Comitato italiani nel mondo della Camera dei Deputati ho voluto coniugare questo tema con quello della “promozione del Sistema Paese”; ciò sia per ampliare gli orizzonti dei nostri lavori, non più limitati alla sola rappresentanza dei soli interessi delle nostre collettività, come anche per rendere esplicito il nesso strategico tra la presenza italiana all’estero e l’internazionalizzazione del nostro Paese. Io credo che su questo binomio si giocherà una partita decisiva relativamente al senso e al futuro della stessa rappresentanza parlamentare degli italiani nel mondo. A oltre dieci anni dall’ingresso in Parlamento dei diciotto eletti all’estero questa riflessione autocritica è d’obbligo, a maggior ragione oggi, quando siamo alla vigilia di una importante nuova consultazione elettorale. Il tema dell’italicità potrebbe forse essere anche la ‘cartina di tornasole’ di questo bilancio in prospettiva, proprio perché ci permette di alzare lo sguardo al di sopra del mondo (peraltro già grande) che rappresentiamo, abbracciando una sfida che se giocata fino in fondo potrà trasformarsi in un grandissimo ‘asset’ per la crescita e lo sviluppo dell’Italia nei prossimi decenni. Ma chi sono gli “italici” e cosa intendiamo con questo termine ? E’ Piero Bassetti, Presidente della Fondazione “Glocus” e in forza del suo curriculum grande conoscitore dell’Italia nel mondo, a spiegarci nel suo libro “Svegliatevi ITALICI !” l’essenza e la potenzialità di questo termine. Si tratta di una popolazione di almeno 250 milioni di persone nel mondo, tanti sarebbero gli italiani e i loro discendenti, ma anche gli amanti della nostra lingua e della nostra cultura, come chiunque per qualsiasi motivo ha un vincolo personale, professionale o semplicemente ideale con l’Italia. Un “Commonwealth” italiano, come lo definisce sempre Bassetti; un patrimonio unico e formidabile che solo l’Italia può vantare e che avrebbe bisogno di una alleanza strategica con il mondo della politica e delle istituzioni. Un patto strategico ed una prospettiva programmatica che solo la politica può garantire e che – permettetemi di evidenziarlo – solo il Partito Democratico con i suoi eletti all’estero possono perseguire. Un piano d’azione che passa anzitutto da alcune scelte precise in merito ad alcuni temi-chiave intorno ai quali abbiamo già orientato il nostro lavoro parlamentare di questi anni: promozione della lingua e della cultura italiana nel mondo; sostegno alla rete delle camere di commercio italiane all’estero; programmi e servizi per le vecchie e nuove mobilità e – ovviamente – servizi consolari all’altezza di una collettività sempre più estesa ma anche più esigente e preparata. La norma approvata in legge di bilancio 2017, che determina il trasferimento di un terzo di quanto incassato per le domande di cittadinanza ai consolati per migliorarne i servizi e azzerare le giacenze è una legge che potremmo definire “italica”, nel senso che rende evidente il nesso virtuoso che può esistere tra la presenza di grandi collettività di italo-discendenti all’estero e l’individuazione di risorse in grado di rafforzare la nostra rete-consolare. Una norma che fu approvata grazie alla nostra mobilitazione e all’impegno diretto di Matteo Renzi (allora Presidente del Consiglio) e che oggi abbiamo il dovere morale di applicare e anche di estendere al resto delle percezioni consolari (150 milioni di euro annui). Essere interpreti di questa “italicità”, di questo concetto molto più ampio della cittadinanza intesa in senso giuridico, è quindi una delle sfide che dobbiamo avere dinanzi per rafforzare il senso della nostra presenza. Ciò non vuole dire distrarsi o addirittura dimenticare i vecchi problemi, spesso ancora attualissimi e non risolti, ma affrontarli con uno sguardo lungimirante e – torno a sottolineare – complessivo e strategico sul ruolo delle nostre collettività e degli italici nel mondo. Investire con politiche intelligenti sulla presenza articolata e capillare della comunità italiana nel mondo, in maniera estesa e su tutte le tematiche che prima citavo, potrebbe voler dire costruire e rafforzare una rete imponente di relazioni sociali, culturali ed economiche in grado di tradursi in punti percentuali di PIL italiano. Con alcuni amici, soprattutto in Sudamerica, stiamo già lavorando su questi scenari, con studi sociologici e simulazioni statistiche economiche. Si tratta allora di andare al di là del vecchio recinto di questioni e di rivendicazioni sul quale abbiamo (giustamente) costruito il consenso conseguente alla conquista del voto all’estero. Proprio gli eletti all’estero, parlamentari a tutto tondo e quindi – a differenza di Comites e Cgie – non solo rappresentanti e legislatori di interessi particolari e limitati, dovrebbero comprendere e fare proprio il senso di questa sfida. Noi del Partito Democratico, ci tengo a ribadirlo, siamo gli unici in grado a dare spazio e prospettiva a questo progetto; gli italiani nel mondo devono saperlo e devono avere chiaro che anche per loro le prossime elezioni si giocheranno su questa tripartizione: da una parte il PD, con la sua storia e il suo impegno quotidiano e storicamente provato per le nostre collettività all’estero, e dall’altra il Movimento Cinque Stelle e l’accoppiata Berlusconi-Salvini, alla quale pochi giorni fa si è aggiunto il MAIE, partito degli italiani all’estero nato in Argentina e con mire espansionistiche in tutto il mondo. Gli italiani che vivono all’estero sanno bene cosa ha rappresentato per noi il governo Berlusconi e cosa non ha fatto il Movimento 5 Stelle in cinque anni di legislatura; riflettano bene prima di votare e ci aiutino a dare voce in maniera sempre più forte, coerente e con la competenza necessaria al futuro dell’Italia nel mondo ! Un motivo in più per ritrovare, dopo le primarie ed il congresso (dove, come è giusto che fosse, ci siamo confrontati su posizioni e candidati diversi) quella unità di intenti e di azione necessaria al partito in Italia e – per le specificità del nostro sistema elettorale e della circoscrizione estero – ancora più fondamentale e ineludibile per il PD nel mondo.