(Salvatore Augello)Da tempo, da quando è entrato in crisi il così detto comunismo reale, non si sentiva più parlare di nazionalizzazioni. La nazionalizzazione, la messa in comune dei mezzi di produzione, erano gli assi portanti dell’economia sovietica, tanto combattuta dall’occidente e dagli Stati Uniti d’America. Ci fu anzi un periodo, durante il quale, si fece la corsa alle privatizzazioni, alle dismissioni patrimoniali degli stati. L’Amrica, poi, restava l’esempio dell’economia liberista e del capitalismo sfrenato, dove le imprese private si sostituivano, e lo ha fatto ancora oggi, al pubblico, colmandone le lacune e le mancanze. Le scuole, l’assistenza, le industrie e la gestione di materie strategiche come il petrolio, il patrimonio edilizio, tutto quanto costituisce l’economia di uno stato. L’Italia, dopo le nazionalizzazioni degli anni 60, quando si partì nazionalizzando le società che producevano energia elettrica, che vennero passate sotto l’ENEL, dopo l’IRI ed altri enti, nati appositamente per nazionalizzare, non si era più parlato di nazionalizzare. Cominciò, invece, a circolare la teoria: “meno stato e più mercato”. Questo porto alla privatizzazione delle ferrovie, della telecom, di altri settori di produzione, che a sentire i nostri governanti avrebbero dovuto rilanciare l’economia, canalizzando investimenti freschi nei vari settori. Il passato governo Berlusconi ed il suo ministro dell’economia Tremonti, portarono avanti le così dette cartolarizzazioni, dismettendo parecchie strutture demaniali, privatizzandone. Sulla stessa scia, il governo Prodi, continuò cercando di privatizzare l’ALITALIA, operazione poi completata, a quanto pare, da Berlusconi e portando avanti una politica di liberalizzazione, che avrebbe dovuto rilanciare l’economia, calmierando i pressi e razionalizzando la grande distribuzione, ma anche i servizi. Nel resto del mondo, compresa la Russia, continuavano con forza ad affermare “più mercato e meno stato”. Cominciò poi la grande crisi economica, che portò prima il petrolio alle stelle, che guardava con attenzione alla concentrazione del sistema bancario, che avrebbe dovuto costituire garanzia per il risparmiatore. Così non è stato, visto che è mancato il coinvolgimento delle imprese, visto che nel frattempo si accreditava un modello di vita, che non teneva conto della crisi economica strisciante, che stava per travolgere le famiglie. Per sostenere quel modello di vita, si cominciò a ricorrere sempre più alle banche, si cominciarono a stipulare mutui con tutte le banche, che invogliavano ad indebitarsi. La grande crisi, dovuta ad un cumulo di motivi, a partire dal prezzo del petrolio, al costo della guerra in Iraq scaricata sull’Europa, alle varie guerre, seguite o spacciate per missioni umanitarie, hanno messo in risi il sistema economico. Il crollo della borsa americana, dovuta al fallimento di grossi istituti finanziari, per effetto della globalizzazione, ha tirato dietro di se le borse di tutto il mondo, che solo in questi ultimi dieci giorni, ad esempio, hanno assommato perdite considerevole dell’ordine del 25 – 30%. Parte dall’America, il cambiamento di modello, da “meno stato più mercato”, si passa al modello “più stato meno mercato”, ossia si capovolgono i canoni dell’economia e si torna alla nazionalizzazione. Chi apre questa strada, è proprio l’America, che con la sua operazione da 750 miliardi di dollari, avvia il salvataggio delle banche, acquistando azioni di quelle più in pericolo, quindi avviando la nazionalizzazione del capitale. A ruota, segue l’Italia, che adotta provvedimenti che possono portare all’acquisto di azioni degli istituti bancari, da parte del Tesoro, anche se diritto di voto, ma sempre di nazionalizzazione si tratta. L’Europa sta discutendo sul da farsi, non riesce a trovare un comportamento unitario ed i vari stati, invece di dare vita ad un fondo comune di intervento, come sarebbe forse migliore, vanno avanti alla spicciolata, intervenendo ognuno per conto proprio alla immissione di capitali freschi sul mercato, a vario titolo e con motivazioni diverse. Insomma, per fare fronte a questa grande crisi, che non troverà certo sollievo, almeno fino a quando gli americani non sceglieranno il loro nuovo presidente, in odo che i mercati si troveranno davanti un governo che potrà assumere impegni e possibilmente cambiare radicalmente politica, abbandonando quella di aggressione portata avanti fino ad ora da Bush, la speculazione non si allontanerà dalle borse e non c’è provvedimento che tiene. La nazionalizzazione potrebbe non essere lo strumento migliore ed in ogni caso, a distanza di tanti anni, dopo lo scontro URSS – USA, Occidente – Oriente, comunismo - liberismo, capitalismo – proletariato, la storia pare stia dando ragione al vecchio Marx ed alla necessità che lo stato detenga nelle proprie mani gli strumenti dell’economia e dello sviluppo, anche attraverso le nazionalizzazioni. Intanto, Berlusconi, da quell’istrione che è, non perde occasione per mostrarsi in pubblico, per rassicurare, dice lui, la popolazione, andando anche al “Bagaglino”, dove durante l’intervallo dello spettacolo, si mostra a tutto il popolo presente, per dire in sintesi: niente paura, se io sono qui, vuol dire che tutto va bene, che tutto è sotto controllo, che il sistema bancario italiano è solido e nessun risparmiatore corre pericoli. Qualc’uno dovrebbe forse ricordare al Cavaliere, che solo unicredit ha perso più del 30% in questi giorni, che l’euro perde terreno nei confronti del dollaro, che le principali società quotate in borsa e non solo le banche, continuano a bruciare capitale a miliardi, togliendo liquidità alle aziende, accrescendo difficoltà per le famiglie indebitate e per i piccoli risparmiatori, che non hanno nessuna garanzia per il futuro e per la possibilità di uscire indenni da questa tempesta, salvando i loro risparmi di una vita.