Un articolo apparso sul “Corriere della Sera” denuncia il ‘tradimento’ degli italiani all’estero

“Gli italiani all’estero non sono più di moda”: lo ha scritto in un suo editoriale apparso sul principale giornale italiano, “Il Corriere della Sera”, il giornalista Gian Antonio Stella. La frase, sicuramente provocatoria, apre un articolo dal titolo ancora più esplicito: “Italiani all’estero ‘traditi’ “ !

Un articolo scritto, si badi bene, non solo da uno dei maggiori esperti e conoscitori della storia della nostra emigrazione all’estero (uno dei pochi, ahinoi, giornalisti italiani che possono scrivere con cognizione di causa del fenomeno), ma anche da uno dei massimi fustigatori degli sprechi e delle ruberie di certa classe politica italiana. Gian Antonio Stella è infatti famosissimo in Italia per essere (insieme al collega Sergio Rizzo) uno degli autori della “Casta”, il best seller che ha venduto diversi milioni di copie facendo le pulci alle nostre istituzioni democratiche, raccontandone e dettagliandone con dati precisi costi e privilegi. Meno copie, purtroppo, ha venduto un altro suo bellissimo libro: “Quando gli albanesi eravamo noi”, storia sintetica ma chiara e obiettiva della ‘diaspora’ dei 28 milioni di italiani che nel corso di oltre un secolo di storia unitaria sono stati costretti a lasciare il nostro Paese. Cosa c’entrano gli italiani all’estero con la casta; gli sprechi dell’amministrazione pubblica italiana con la diaspora degli italiani nel mondo? Un nesso c’è, e nell’editoriale di Stella emerge in maniera polemica ma netta. I governi italiani hanno sempre avuto paura di tagliare davvero costi e privilegi di un’amministrazione pubblica che potrebbe ‘dimagrire’ riducendo strutture obsolete o sussidi superflui; penso ad esempio alle “provincie”, una unità amministrativa intermedia tra i Comuni e le Regioni che oggi costituisce un inutile costo alle casse dello Stato ma che nessun governo fino ad adesso ha avuto il coraggio di tagliare. E gli esempi potrebbero continuare, spaziando in lungo e in largo tra le pieghe dei sussidi statali o delle spese dei singoli enti locali (Comuni, Provincie, Regioni). In Italia (e non solo in Italia) non è facile eliminare nei fatti e non a parole le spese inutili e gli sprechi che si annidano nei bilanci di tali amministrazioni. Dove si taglia invece, a man bassa e senza pietà? Su tutti (tutti !) i capitoli di bilancio destinati agli italiani che vivono all’estero, alla faccia del ‘debito storico’ del nostro Paese con questi nostri connazionali o della ‘risorsa straordinaria’ da essi rappresentati in tutti gli angoli del mondo. “Debito storico”, “risorsa straordinaria”: si tratta ormai di vecchi slogan, di frasi fatte e non più di moda, appunto, come recita l’articolo apparso qualche settimana fa sul “Corriere”. Perché questo accade? Secondo la riflessione sviluppata dall’articolo di Gian Antonio Stella semplicemente per un cinico interesse di natura politica: gli italiani all’estero non votano nelle elezioni amministrative (comunali, provinciali e regionali) e quindi non possono reagire ai tagli a loro imposti. Sì, qualcuno obietterà, c’è sempre il tanto invocato voto all’estero, ottenuto dopo anni di conquiste e oggi rappresentato dai diciotto membri del Parlamento eletti dagli oltre quattro milioni di italiani nel mondo. Un voto lontano però (si voterà solo nel 2013) che ampi settori della maggioranza che sostiene il governo (e qualche esponente dell’opposizione) vorrebbero eliminare quanto prima, o quantomeno modificare a tal punto da renderlo impermeabile alle rivendicazioni degli italiani e dei loro discendenti che vivono fuori dai confini nazionali. Purtroppo la scelleratezza di chi ha messo in lista all’estero personaggi impresentabili in Italia, un meccanismo di voto troppo esposto ai brogli e le interferenze della delinquenza organizzata (anche su chi aveva il compito di vigilare sulla correttezza del voto) hanno contribuito a minare alla base tale diritto, esponendolo al ludibrio dell’opinione pubblica italiana. Lo stesso sta succedendo con il diritto alla cittadinanza italiana ‘ius sanguinis’ da parte degli italo-discendenti, infangato da personaggi che nulla hanno a che vedere con l’onore e la legalità. La migliore difesa – a volte - è l’attacco; questo adagio popolare va utilizzato anche in questo caso. Per difendere i diritti conquistati quando (almeno apparentemente) noi italiani all’estero eravamo “di moda” dobbiamo proporre soluzioni credibili che possano migliorare il sistema del voto all’estero; al tempo stesso dobbiamo esigere dalla magistratura e dalla nostra rete diplomatico-consolare il massimo di rigore verso quanti si sono prestati, in Italia e fuori, ad azioni e fatti che hanno colpito al cuore un diritto quasi sacrale, ossia il riconoscimento della cittadinanza grazie al “sangue” dei nostri coraggiosi antenati. (Fabio Porta)