Cento meno cinque. Fa una certa impressione pensare che Pietro Ingrao sia nato mentre era appena scoppiata la guerra mondiale, la prima, nel 1915 appunto. Martedì prossimo il vecchio leader della sinistra comunista compirà novantacinque anni, la sera dopo verrà festeggiato all’Auditorium di Roma: “Da bambino mi chiamavano Pietrucciu, in stretto dialetto di Lenola, il mio paese natio sulle colline sopra Fondi”.

 Pietrucciu non ha ancora preso il caffè, è di cattivo umore: “diciamo pure che è incazzato con noi, dice che lo schiavizziamo”, spiega Silvia che tutte le mattine gli fa da segretaria. Ma una volta fatta colazione, Ingrao si rilassa, si siede in poltrona e cominciamo una chiacchierata che parte da Lenin, passa per Stalin e finisce con Berlusconi.

A proposito di Berlusconi, per chi voterà domenica Ingrao?

 “Voterò per Emma Bonino naturalmente”

Darà anche un voto di lista?

“Stavolta penso che voterò per il partito di Nichi Vendola, per due ragioni. La prima è che ha fatto una bella politica in Puglia, la seconda perché è gay”

Già che siamo nell’attualità, lei cosa pensa di Berlusconi?

 “Penso che è un reazionario di bassa lega. Quindi se non viene liberato il campo dalla sua presenza non vedo facili riscosse. L’impiccio è pesante ma il soggetto che può fare pulizia è ancora tutto da costruire”.

Moriremo berlusconiani, allora?

“Nella mia lunga vita ho vissuto tempi in cui l’Europa era dominata da nazisti in forme impensabili e inaudite, penso ad Auschwitz, eppure da quegli anni cupi e bui è nato quell’evento straordinario che fu la Resistenza. La storia insegna che non ci sono partite chiuse e Berlusconi è assai più debole dei reazionari che sconfiggemmo nel secolo scorso”.

Ma lei vede in campo un avversario in grado di batterlo?

“Sinceramente no, almeno dal mio punto di vista. Io sarò pure antico ma penso ancora che ci vorrebbe un soggetto di classe, l’analisi di Marx per me è ancora valida, il punto chiave è sempre lo stesso: la questione di classe”.

Ma nella sinistra italiana non ne parla quasi più nessuno, lei vede D’Alema o Bersani concentrati sulla questione di classe?

“Ma loro sono dei centristi. Proprio per questo qualche anno fa mi iscrissi a Rifondazione, speravo nella ricostruzione di un soggetto di classe. Purtroppo vedo che la sinistra più di sinistra fa una grande fatica, tutti spezzettati e dunque deboli”.

Continuiamo nella nostra retromarcia, sono sedici anni che Berlusconi è in campo e spesso al governo: come spiega questo fenomeno?

“Lo spiego con la nostra sconfitta, con la fine dell’Urss e del comunismo mondiale e anche del Pci. Di tutto quello che si chiama Movimento operaio e che ha segnato la vita del secolo scorso. Crollato quel mondo, direi quell’argine, tutto è stato possibile. Anche l’emersione di un personaggio come Berlusconi”.

Come definirebbe il suo secolo di vita?

“Il secolo di Hitler, una cosa di quelle dimensioni e violenza non si era mai vista né prima né dopo. Ma anche il secolo di milioni di persone che sono state spinte a scendere in campo e a vincere prove straordinarie. La Resistenza, l’ingresso dei sovietici a Berlino, la bandiera rossa sulla cima del Reichstag. Ecco, per uno come me che era rosso e comunista lo splendore di quell’immagine, di quella vittoria è stata l’emozione più intensa della mia vita. Anche perché si è mischiata col suicidio di quel cane ringhioso che si chiamava Hitler”.

Lei si considera ancora comunista?

“Certo, il mio colore è sempre il rosso”.

Però nella sua vita diverse volte ha criticato aspramente il comunismo realizzato, l’Unione Sovietica?

“Soprattutto dopo il rapporto segreto di Krusciov, quello del ’56 sui crimini si Stalin. Lì ho capito gli errori e gli orrori dello stalinismo, che ha umiliato ed offeso la libertà dei sovietici. Ma ricordo benissimo che molti trai i dirigenti del PCI e tra i militanti non erano affatto convinti della verità di quelle rivelazioni, a cominciare da Palmiro Togliatti. Invece avremmo dovuto essere molto più critici ed audaci nell’innovazione politica. Devo dire che in questo senso si distinsero Giorgio Amendola e Giancarlo Pajetta, i più duri contro Stalin. Peccato però che nel dibattito interno al PCI, sulla questione della libertà di dissenso, fossero i più stalinisti…”

C’è una cosa di cui si è pentito?

“Una su tante: la prima pagina dell’Unità, di cui ero direttore, dedicata alla morte di Stalin nel ’53. Una pagina terribilmente agiografica”

Riccardo Barenghi La Stampa