È una strana maggioranza, quella che governa l’Italia. Passa al Senato il cosiddetto “processo breve”, legge che farà arenare migliaia di procedimenti giudiziari in corso e che ha pesanti vizi di costituzionalità. Credo sia evidente a tutti che non riusciremo, nonostante la nostra forte opposizione, a fermare le leggi ad personam del centrodestra.

 Riformare la giustizia per ridurre i tempi di attesa nei processi è un’esigenza sentita da tutte le forze politiche: la soluzione adottata, però, non farà celebrare dei processi e questo risultato non garantisce i cittadini, non migliora l’efficienza del nostro sistema giudiziario e non rende più “rapida” la giustizia. Si tratta dell’ennesima accelerazione, dopo alcune speranze di possibile dialogo subito tramontati. Riguarda anche la norma sul “legittimo impedimento” – l'obbligo per il giudice di riconoscere l'impossibilità a partecipare alle udienze di un eventuale processo per tutti i soggetti che stiano esercitando la funzione di governo – che inizierà il suo iter alla Camera dei Deputati. Nel frattempo, però, una seria discussione sulla condizione delle carceri in Italia, come quella proposta alla Camera la scorsa settimana dalle mozioni Franceschini e Bernardini, è stata derubricata dietro il proposito del Ministro Alfano di costruire nuove galere. Ecco le contraddizioni quotidiane che affollano, purtroppo, la politica del nostro Governo. Le carceri italiane scoppiano: oltre 64.000 detenuti per meno di 44.000 posti di capienza, per un tasso di utilizzo di circa il 150%. La popolazione reclusa cresce di circa 800 unità al mese, tanto che si prevede che tra tre anni giungerà a sfondare le 100.000 persone, rendendo del tutto inefficace e insufficiente, se non vi saranno interventi di altra natura, il piano edilizio del Governo. Il 27% dei detenuti è tossicodipendente e il 37% straniero. Questi ultimi sono la prova di un paradosso: molti di loro dovrebbero essere espulsi ma la Bossi-Fini li costringe in carcere. Solo il 20% dei reclusi è sano, mentre il 41% è in condizioni di salute mediocri o scadenti, come provano, tra l’altro, i 71 suicidi avvenuti nel 2009, record negativo da decenni a questa parte. A queste emergenze l’esecutivo in carica risponde decidendo ci costruire più carceri o di ampliare quelle esistenti. Ma, oltre ad essere insufficienti, le nuove strutture previste dal Governo andrebbero ad assecondare, inseguendone la tendenza, l’aumento della popolazione reclusa. Una spirale fatta di oneri aggiuntivi per l’amministrazione carceraria, in termini di personale da assumere, di gestione quotidiana delle carceri, per non parlare dell’eventuale costo del lavoro dei detenuti. Inoltre, vi sarebbe un aggravio dei costi per la spesa sanitaria dei reclusi, capitolo a carico delle Regioni e dei propri contribuenti. Al contrario bisognerebbe favorire l’impiego delle misure alternative previste in taluni casi dalla legge, come la possibilità di scontare parte della pena fuori dalle mura del carcere, gli affidamenti in prova e i lavori esterni. Del resto, se tra il 2002 e il 2006 i beneficiari delle misure alternative sono stati circa 20.000 l’anno, dal 2007 sono tra i 5.000 e i 7.000. Ciò dimostra come in Italia il sistema delle misure alternative si sia ormai arenato, nonostante le statistiche spieghino che il detenuto che sconta la pena con una misura alternativa ha un tasso di recidiva molto basso (circa il 28%), mentre chi sconta la pena in carcere torna a delinquere con una percentuale del 68%. Ad oggi, soltanto un detenuto su quattro lavora, e di questi appena il 15% lo fa fuori dal carcere. Purtroppo, però, all’aumento delle misure alternative per i condannati si preferisce non condannare eventuali colpevoli, come dimostra il “processo breve”.

On. Marco FEDI Segretario III Commissione Affari Esteri e Comunitari Camera dei Deputati