(di EUGENIO SCALFARI - repubblica.it) DOPO il suo intervento dell'altro ieri a Gubbio e quello di ieri a Chianciano dove Casini ha riunito i dirigenti dell'Udc, si fanno previsioni e perfino scommesse sugli obiettivi di Gianfranco Fini nel prossimo futuro. E se lo domanda anche, con qualche preoccupazione, Silvio Berlusconi. Vuole dargli una spallata approfittando d'un momento di oggettiva difficoltà che il premier sta attraversando?

Vuole uscire dal partito e fondarne un altro? Vuole prepararsi a prendere il posto di Napolitano quando il mandato del Capo dello Stato scadrà (nel 2013)? Vuole esser pronto a qualunque evenienza e a qualunque emergenza che potrebbe verificarsi nel quadro agitato e anomalo della politica italiana? Tutto considerato e mettendo in fila gli interventi che si susseguono da tempo, compreso quello di ieri in casa d'un partito d'opposizione, la conclusione logica è questa: Fini si prepara a succedere a Berlusconi quando il premier dovrà cedere il comando per ragioni di calendario. Nel 2013 avrà 77 anni ed avrà governato o comunque occupato la scena politica da diciotto. Dopo quanto è accaduto in questi mesi è esclusa una sua candidatura al Quirinale e neppure il lodo Alfano potrebbe impedire che i processi a suo carico vengano riaperti. A quel punto - ma in realtà almeno un anno prima - il problema della successione si porrà inevitabilmente e la rosa dei candidati vedrebbe Fini in "pole position". Gli altri sulla carta sono tre: Formigoni, Letta, Tremonti. Ma per valutare le rispettive "chance" occorre tener presente che il successore prescelto dovrà guidare il centrodestra alle elezioni politiche. Deve dunque essere in grado di sostituire un formidabile comunicatore dotato di capacità seduttive e ipnotiche senza pari. Chi può vantare un carisma che si avvicini a quello del Cavaliere? Basta porre la domanda per scartare tutti e tre i nomi dei "competitors", soprattutto Formigoni e Letta. Tremonti ha l'appoggio della Lega, ma la scelta del leader del Pdl non spetta alla Lega. Quindi Fini, verso il quale rifluirebbero agevolmente quasi tutti gli ex di Alleanza nazionale una volta sgombrato il campo da Berlusconi. Aggiungo un'altra considerazione. Qualora un'emergenza istituzionale dovesse prodursi all'improvviso (e la sentenza della Consulta sul lodo Alfano o altre questioni di analogo rilievo potrebbero determinarla anche a breve termine) la candidatura di Fini a sostituire l'attuale premier avrebbe forti probabilità di successo. Un governo Fini poggiato anche sul sostegno dell'Udc e su un'amichevole astensione del centrosinistra potrebbe essere la via d'uscita verso le riforme sempre auspicate ma mai portate in Parlamento, nonché su una normalizzazione della vita democratica dopo gli sconquassi del berlusconismo rampante. La conclusione dunque è questa: Fini si propone di essere il successore di Berlusconi alla guida d'un partito di destra democratica profondamente diverso dalla gestione "eversiva" e assolutistica del Cavaliere di Arcore. Successore, non delfino. Del resto con Berlusconi i delfini non sono previsti salvo Letta che più che un delfino sarebbe un perfetto luogotenente. * * * Ma c'è già ora un declino di Berlusconi nella percezione degli italiani? E' cominciato uno smottamento del consenso? L'insensata guerra contro le gerarchie cattoliche e contro i sentimenti morali dei cattolici ha prodotto crepe importanti? Il killeraggio contro gli avversari, le bravate crescenti del premier, il massimalismo leghista, la disistima internazionale che ormai si è diffusa non solo nella stampa estera ma anche nelle cancellerie europee e americane, hanno aperto falle significative nel consenso berlusconista? Qualche crepa è visibile. L'ultimo sondaggio Ipsos commissionato da Palazzo Chigi registra un calo di 4 punti collocando il consenso attorno ad uno stentato 50 per cento. Le intenzioni di voto vedono il Pdl attorno al 38 per cento. Il Foglio di ieri ha pubblicato in prima pagina dieci domande (la formula delle dieci domande ha ormai fatto strada) che sollevano altrettanti problemi non risolti dal governo e molto scomodi da risolvere. Ma il blocco è ancora sostanzialmente intatto. E tuttavia il declino è percepibile e il nervosismo del premier non fa che ingrandirlo. Chi ha visto la versione integrale del suo "show" nell'incontro italo-spagnolo avvenuto nell'isola di Maddalena è rimasto allibito, a cominciare da Zapatero che l'ha commentato ieri pubblicamente con parole che parlano da sole. E chi ha ascoltato il discorso di Fini a Gubbio ha percepito la differenza abissale che separa i due co - fondatori del Pdl. Del resto non è un caso se il neo - ambasciatore Usa a Roma ha cominciato le sue visite di presentazione da Fini anziché dal premier. L'opinione di tutti gli stranieri che capita di incontrare da qualche mese a questa parte è unanime: "Non ci stupisce più il vostro premier, ma ci stupiscono gli italiani che ancora sopportano di esser rappresentati da un simile personaggio". La sua debolezza oggettiva si riduce ad una sola parola: ricattabile. Abbiamo un premier ricattabile e ricattato. Quindi debolissimo. E alle sue spalle un partito che vive e vince in virtù del suo carisma personale. Il carisma, come tutti sanno, è un fenomeno di massima fragilità: se s'infrange, tutta la costruzione che su di esso si appoggia crolla. L'insieme di questi elementi porta alla conclusione che il declino è in corso anche se il carisma regge ancora. Per quanto? * * * Queste riflessioni su Fini e su Berlusconi ci portano a considerare la situazione del Partito democratico, quello che nella percezione sia degli avversari sia dei suoi ex sostenitori e sia infine di molti osservatori viene definito un partito fantasma o il partito che non c'è; comunque un relitto che nessuno riuscirà a portare in salvo proprio nel momento in cui il paese avrebbe maggior bisogno d'un partito d'opposizione capace di attirare su di sé il disagio che sia pur lentamente si diffonde e che acquisterebbe peso e velocità dalla presenza di una valida alternativa. Su questa delicata ma essenziale questione faccio le seguenti considerazioni (come persona informata dei fatti). 1. Conosco bene i tre candidati alla segreteria del Pd e in particolare i due maggiormente favoriti, Dario Franceschini e Pier Luigi Bersani. Sono due persone perbene. Nessuno dei due ha scheletri nell'armadio. Si battono con vigore come deve accadere in una sfida politica e come non accadde né nelle primarie che insediarono Prodi alla leadership del centrosinistra sia in quelle che insediarono Veltroni alla guida del Pd. Questa volta sta accadendo, su questioni di visione politica, senza alcun colpo sotto la cintura. Non è quello che i simpatizzanti e gli iscritti al partito volevano? 2. Chiunque dei due vincerà, il compito di costruire un partito riformista in un paese dove il riformismo ha sempre avuto vita stentata non sarà agevole anche se - ne sono convinto - ciascuno di loro ce la metterà tutta. 3. La condizione necessaria affinché questa costruzione avvenga e sia solida non sta nel programma e tantomeno nelle ragioni che hanno condotto forze culturali e politiche con storie diverse a dar vita ad un partito comune. Sia le ragioni che presiedettero alla nascita del Pd sia la sua visione d'una società "riformata" furono elencate, illustrate e unanimemente approvate nell'assemblea del Lingotto che insediò Veltroni alla guida del Pd. Si può aggiornare il programma, ma le linee di fondo di quella visione del bene comune c'è già stata ed è tuttora pienamente valida. 4. In realtà la condizione necessaria affinché la nave di questo partito esca dalla darsena e riprenda orgogliosamente il mare dipende soltanto da chi sente profondamente la necessità d'un partito seriamente riformista, capace di dar voce a tutte le speranze, le attese e i bisogni del centrosinistra italiano, da un socialismo liberale ad un laicismo che possa esser sostenuto con vigore sia da laici non credenti sia da cattolici di discendenza degasperiana; infine dai grandi valori della libertà e dell'eguaglianza che non possono mai esser disgiunti e che vanno vissuti e applicati nel quadro d'una solidarietà sentita come impegno civile. Se almeno due milioni di elettori esprimessero quest'impegno nelle votazioni alle primarie del prossimo 25 ottobre, credo che il varo della nave democratica segnerebbe la riscossa che molti hanno nel cuore senza sapere in che modo tradurla in atto. L'atto decisivo è quello: un varo effettuato sulle braccia e sulle spalle di qualche milione di persone. Sabato prossimo si svolgerà a Roma in piazza del Popolo una manifestazione popolare in difesa della libera stampa. Noi che della libera stampa facciamo parte sappiamo quale importanza abbia quest'appuntamento. Non si identifica con i partiti perché non è una visione di parte ma con la difesa d'un delicatissimo diritto costituzionale che l'attuale governo ha leso e continua a ledere pervicacemente con continue intimidazioni e prevaricazioni che tra poco verranno allo scoperto anche nella Rai. Ci auguriamo che quella piazza sia gremita e faccia sentire la sua presenza e la sua voce. Il rinascimento della democrazia italiana è affidato agli italiani, agli uomini e alle donne di buona volontà, a chi non teme di impegnarsi in battaglie civili che ci riscattino dall'ipnosi in cui il paese sembra precipitato. Nessun dorma: non è questa la condizione necessaria per riprendere il cammino?