Sui problemi del fenomeno migratorio, sia nel presente che nel recente passato, in Italia regna un'ignoranza politica di fondo. Di ordine storico in primo luogo. Si tratta di una grave deformazione culturale e valoriale che porta a considerare l'Italia un Paese unicamente di immigrazione, che è vero, perché oggi è, almeno in parte, così, ma che ha dimenticato totalmente il suo passato, cioè la propria emigrazione.

Questo non è solo un problema culturale, diventa sempre più un fondamentale problema di analisi culturale e sociale che incide conseguentemente nell'approccio con l'immigrazione oggi in Italia. Se noi non iniziamo un processo di acculturazione e di conoscenza del fenomeno migratorio in Italia e nel mondo, subiremo un'altra sconfitta, anche qui, culturale e valoriale che determinerà conseguenze di carattere xenofobo e razzista. Alcuni segnali, secondo me, sono già evidenti. Questo è il più grave problema che l'Italia oggi ha di fronte. Istruttivo quanto è avvenuto in Parlamento, dove è stato approvato, attraverso tre voti di fiducia, un progetto di legge "terrificante": non sono parole mie, sono parole del Commissario del Consiglio d'Europa Hammarberg, che al riguardo ha compiuto, dopo un'indagine accurata, un'interessante analisi di quanto avviene nel nostro Paese, di quanto si sia persa la memoria storica dell'emigrazione italiana, di quanto si sia persa la memoria delle discriminazioni, delle battaglie, delle lotte, dei progressi e delle sconfitte e delle vittorie di cui è piena la storia dell'emigrazione italiana. Io sono convinto che questa storia, dentro una piú generale storia dei movimenti migratori nel corso dei secoli, andrebbe obbligatoriamente insegnata nelle scuole della Repubblica, a ogni livello, cominciando dalle scuole elementari, sino ai licei e alle Università. Qui è stato detto qualcosa sulla nuova immigrazione, sulla cittadinanza e sul flusso di migranti, soprattutto dal Sud-America in Europa e in Italia, sul recupero della cittadinanza. Accenno solo una parentesi. Se il fenomeno riguarda vecchi emigranti colpiti da una crisi economica gravissima nei Paesi del Sud-America, penso al Venezuela, penso all'Argentina, allora l'Italia ha un debito morale, di aiuto concreto e di intervento presso questi emigrati che sono stati la gloria e l'onore della nostra Italia: essi hanno contribuito a dare al nostro Paese la possibilità di sfamarsi e di proseguire, nel Dopoguerra, un cammino di progresso. Se, invece, si tratta di nuove generazioni, il processo è altamente drammatico e negativo: questo può essere utile al nostro Paese? Io non lo so, perché in un periodo di crisi economica è molto difficile e complesso capire cosa avverrà domani. Sicuramente il primo dato rilevante sarà l'ulteriore impoverimento delle aree dalle quali questa emigrazione proviene. Giovani che hanno studiato, che hanno una formazione culturale, linguistica, professionale, vengono ad arricchire un'Europa che non ne ha bisogno, ma vanno ad impoverire drammaticamente i loro Paesi. La lotta alla povertà in tante parti dell'america latina, è un problema che riguarda tutti noi: l'INCA, le forze sociali, i Sindacati,gli enti di formazione professionale, il grande volontariato di massa , l'insieme di tanti attori per un impegno straordinario e importante delle coscienze piú vive della nazione. Vengo all'Europa. Ho seguito con attenzione l'indagine. Alcune cose mi convincono, altre no. Vorrei sapere di più del campione utilizzato per la ricerca, intendo quantità, qualità e collocazione geografica. L'emigrazione italiana in Europa, secondo me, è suddivisa storicamente e socialmente in tre strati. Il primo è costituito dall'emigrazione politica, parlo di quella recente - perché nell'Ottocento, ci fu una grande emigrazione economica. Ricordo ad Aigues-Mortes per esempio o a Marsiglia o nelle zone del sud della Francia, di operai vittime della lotta tra poveri - operai francesi e italiani - che causò conseguenze drammatiche. Nel periodo dell'Anteguerra ci fu una rilevante emigrazione politica altamente acculturata, che è stata la ricchezza, anche democratica, di tanti Paesi del centro Europa. Penso al contributo di tanti nostri esiliati nella lotta di liberazione dal nazifascismo in Francia e in Belgio, per esempio. Nel Dopoguerra,invece, abbiamo assistito all'emigrazione di massa dall'Italia, soprattutto dal Sud, che ha impoverito drammaticamente il nostro meridione, ed è una delle conseguenze del mancato sviluppo del nostro meridione. Tra quelle masse c'era anche una nuova emigrazione politica, frutto della discriminazione in atto nel Dopoguerra italiano. Quell'emigrazione,in parte rimpatriata, costituisce, oggi, un pezzo significativo del grande movimento dei pensionati italiani ed europei. Vi é l'emigrato in attività che vive, opera e lavora nel contesto economico e sociale attuale: ne condivide i travagli, i drammi, le conquiste, le sconfitte, le vittorie. E vengo alla terza categoria. Oggi c'è la cosiddetta "nuova emigrazione". Una definizione che a me non piace, perché in realtà le imprese italiane hanno sempre operato nel mondo e hanno costruito dighe, strade, ponti, infrastrutture di ogni genere. Era l'emigrazione di un certo tipo, quella che noi oggi chiamiamo anche "emigrazione tecnologica". C'è invece quella costituita dai cittadini componenti la "nuova flessibilità di massa": sono migliaia e migliaia, soprattutto giovani, che vanno alla ricerca del "Villaggio Europa". QUI c'è molto da fare: l'Unità europea non è ancora definitivamente costruita, ma è una realtà politica, è una realtà sociale, con diritti e doveri. Parlo della Carta fondamentale, per esempio, che è l'ape regina della costruzione dell'Unità europea. Dentro quel processo, però, c'è la nuova mobilità, quella che viene chiamata "la nuova emigrazione", definizione per me totalmente sbagliata: è, al contrario, la flessibilità, generalmente nel precariato, del nuovo cittadino e della nuova cittadina europea. Questi i processi avvenuti e che stanno avvenendo. Dentro quella realtà il diritto assume sempre più forme a un livello più vasto, che non riguarda solo l'Italia, riguarda l'Europa nel suo insieme, le sue leggi, la loro armonizzazione in un contesto sociale e culturale di straordinaria difficoltà. A me sembra che tutti i modelli di processi integrativi finora conosciuti nel conteso europeo, pur se non sono falliti, presentano limiti e alcuni problemi: c'è il modello francese, quello "integrativo assimilatorio", porta a una perdita forte di coscienza e di cultura di origine che, secondo me, è un limite evidente; c'è quello comunitario-identitario, della comunità etnica come lobby, come momento forte di difesa degli interessi della propria comune identità, che è quello olandese, inglese, anglosassone. Io credo che ambedue i modelli non tengano conto della nuova realtà che è, secondo me, quella multi-culturale, multi-linguistica, della pari dignità delle tante diversità presenti in Europa su cui noi dobbiamo costruire il futuro. Anche l'Italia si sta misurando con questi temi, inevitabilmente in ritardo, perché il fenomeno dell'immigrazione è recente. Però và affrontato scorporandolo dall'attuale situazione economica. Affrontare il tema dell'immigrazione oggi, partendo dalla crisi, è un errore. La crisi passa, ma l'immigrato resta. Tutto mi porta a credere che nel 2050 in Italia risiederanno dai 10 ai 15 milioni di uomini e donne definiti stranieri, che dovranno in ogni modo essere chiamati ad assumere responsabilità da cittadini a pieno titolo in ogni contesto: civile,politico,sociale. A me ha impressionato quanto ha riferito Pittau circa l'indagine condotta. Alla domanda: "perché non rientri? C'è la crisi!" l'extracomunitario che vive in Italia da 5 anni ha risposto di non sapere dove andare, "questo è il mio Paese!". Il futuro è già dentro di noi. Nel 2050 la società italiana sarà estesamente multiculturale. Partendo da queste analisi noi oggi dobbiamo affrontare i problemi nella scuola, nella formazione professionale e nella formazione degli insegnanti. Ma "niente classi differenziali". Il problema non è se istituire o no le classi differenziate, bensì la formazione di docenti capaci di insegnare in una scuola multiculturale: questo è il problema grave di fondo che ha di fronte la scuola già oggi. Da questi assunti occorre partire per assicurare un minimo di prospettiva positiva a un Paese sempre più multiculturale e per proseguire sul cammino di un solidale convivenza. Utilizzo raramente il termine "solidarietà", preferisco sempre il termine convivenza, in una realtà via via più complessa, come sarà quella di domani. Le forze sociali (sindacati, patronati, imprenditori) e le forze politiche dovranno impegnarsi su questi temi di grande rilevanza sociale, politica e culturale. Quindi, se queste considerazioni rispecchiano la realtà, il problema del diritto politico è fondamentale. Il diritto al voto amministrativo, dopo 5 anni di permanenza in questo Paese, deve essere un diritto fondamentale su cui noi dobbiamo fare una grande battaglia politica e culturale. La partecipazione democratica degli immigrati alla vita delle città e dei Comuni determina una crescita culturale di tutti e contribuisce a intensificare i valori della convivenza. Noi più assicuriamo un processo d'integrazione e un processo di aggregazione partecipativa e politica, più il problema della sicurezza sarà meno grave di quello che oggi appare nella realtà del nostro Paese. Su queste grandi questioni nazionali ed internazionali, anche l'INCA - di cui sono stato per tanti anni un modesto collaboratore e alla quale mi sento ancora di appartenere - ha un ruolo forte da svolgere in Italia, in Europa e nel mondo.