(Salvatore Augello) - Certo, è presto per dare un resoconto completo sulle elezioni europee, perché manca ancora la lista degli eletti con un raffronto rispetto al 2004, quando si eleggevano 78 deputati, oggi ne eleggiamo 72. Ciò nonostante, abbiamo elementi sufficienti per fare una prima valutazione degli scenari politici che si aprono dopo il voto.

Intanto, è da sottolineare che il partito griffato che porta l’effigie e la firma del cavaliere, non ha avuto il risultato che si aspettava, restando fermo a poco più del 35%. Questa personalizzazione spinta dell’immagine di un partito che si vuole si identifichi quasi totalmente con la figura del suo leader, non ha dato i frutti sperati. Ma perché il cavaliere ha voluto ingannare il popolo italiano, mettendosi capo lista in tutte le cinque circoscrizioni in cui viene divisa l’Italia in occasione delle europee? A nostro avviso diverse sono le motivazioni, ma ci limiteremo a sottolinearne solo alcune. La prima motivazione ci sembra quella che il cavaliere, dotato di smisurata presunzione, era convinto di calamitare il voto su se stesso, che ritiene di essere “il più amato degli italiani”. Collegata alla prima, la seconda motivazione, che ha certamente scopi puramente interni. Una avanzata sul suo nome del PDL, andando al 40 o addirittura al 45% come aveva pronosticato, citando sondaggi noti solo a lui, sarebbe stato un messaggio forte allo stesso PDL ed a tutti quelli che, anche se non sembra, si pongono il problema del dopo Berlusconi. Un messaggio che equivaleva a dire, stati calmi perché dopo di me ci sono solamente io; ma un messaggio rivolto pure alla lega, che avrebbe potuto avanzare appetiti alle prossime regionali. Appetiti che già avanza, se il cavaliere si era visto costretto a promettere la presidenza del Veneto alla lega, promessa poi rimangiata, come è nelle migliori tradizioni del personaggio. Altra motivazione era quella di determinare il tracollo del PD e di Franceschini, cosa che avrebbe innescato, secondo il suo pensiero, una sorta di notte dei lunghi coltelli nel gruppo dirigente di questo partito. Ultima motivazione che vogliamo sottoporre all’attenzione dei lettori, ci sembra quella, che spostando l’attenzione sulla sua persona, dell’opinione pubblica e del dibattito politico, avrebbe facilmente potuto evitare, cosa che è puntualmente avvenuta, di rispondere dei problemi del Paese, delle cose non fatte, del contorsionismo messo in atto per non rispondere alla giustizia dei presunti reati di cui è accusato, a partire dal processo Mils. Un disegno molto riuscito in parte, perché la campagna elettorale si è aggrovigliata attorno ai problemi del cavaliere, quasi tutti di natura personale, come le veline, le minorenni, le feste alla certosa, la richiesta di divorzio della moglie, salvo tra un problema e l’altro a fare delle puntate per mettersi in esposizione, nella vetrina delle zone terremotate dell’Abruzzo, o a Porta a Porta, per sciorinare la sua difesa e l’attacco al “complotto” che gli viene mosso dalla stampa comunista internazionale ed interna, dalle televisioni in mano alla sinistra, dalla magistratura definita eversiva e così via. Parecchie però, sono le delusioni con cui oggi il cavaliere ed il PDL debbono fare i conti: l’arretramento rispetto alle politiche, l’avanzata della lega, che avrà gioco più facile a tenere in ostaggio il governo, l’inevitabile chiarimento che prima o poi si potrebbe aprire all’interno del PDL, per parlare di leadership. Il PD, invece, non sta certo meglio. Certo si è scongiurata una sconfitta che si preannunciava pesante, si attesta sopra il 26 %, mostrando segni palesi di vitalità, di capacità di competere, di giustezza di un progetto politico, che però deve andare avanti, deve affrontare gravi problemi interni a partire dall’identità, deve smetterla di inseguire Berlusconi sul suo terreno, deve rafforzare la propria proposta politica e, prima di tutto, deve tronare trala gente, per sentire, per capire, per impostare il proprio progetto politico che deve prendere coropo in mezzo alla gente e nella realtà italiana. In una parola, deve diventare Partito con l “P” maiuscola e non “alleanza elettorale”, cosa a cui lascia in questo momento pensare. Tornare alla base, quindi, nelle sezioni, nei circoli, nelle fabbriche, non certo per una nuova battaglia di classe, ma per capire meglio la società che sta venendo fuori dalla crisi economica in atto, per aggiornare la propria visioni di partito di massa, che si deve semp0re più rivolgere alla nuova classe operaia che viene crescendo, fatta non solo di operai delle fabbriche, ma di quadri, di piccolo ceto medio, di piccole e medie imprese, di giovani che praticano oggi una crescente disaffezione dalla politica. Il 26% preso alle europee, può sicuramente essere un ottimo punto di partenza per la ricostruzione del progetto politico di nome “PD”, ma guai a sbagliare, guai a non cominciare a fare opposizione rigida, accompagnata da proposte concrete per la soluzione dei problemi del Paese e specialmente delle classi più deboli. Il PD deve avere la capacità di diventare punto di riferimento dei bisogni, della protesta, del processo di rinnovamento della società. L’alternativa, si chiama Di Pietro, che ha occupato gli spazi lasciati liberi dal PD, pescando a piene mani nell’elettorato di quest’ultimo.