« ERA GIUNTA L'ORA DI RESISTERE; ERA GIUNTA L'ORA DI ESSERE UOMINI: DI MORIRE DA UOMINI PER VIVERE DA UOMINI. » (Piero Calamandrei. )

Secondo diverse fonti il numero di partigiani, partendo dalle poche migliaia dell'autunno del 1943, raggiunse alla fine della guerra una consistenza di circa 300.000 uomini. Molti studiosi pongono però dei dubbi sul reale numero di partigiani attivi alla fine della guerra, riportando cifre ben più modeste relative agli uomini e alle donne impegnati direttamente nella lotta armata,

 sostenendo che tra i circa 300.000 che si definiranno partigiani dopo il 25 aprile molti siano semplicemente simpatizzanti della resistenza che, pur non partecipando direttamente alle azioni partigiane, avevano fornito (rischiando comunque la vita) supporto e rifugio e che in alcuni casi vennero conteggiati tra i partigiani anche ex fascisti ed ex repubblichini saliti sul carro del vincitore grazie a conoscenze, alla corruzione o alla delazione di altri sostenitori della dittatura fascista o sostenitori della Repubblica Sociale Italiana (secondo le loro indicazioni non necessariamente veritiere). Va ricordato poi che dopo il bando del febbraio 1944, che prevedeva la pena di morte per i renitenti alla leva e ai disertori, seguito nell'aprile dello stesso anno da un altro decreto che estendeva la pena di morte anche a chi aveva dato appoggio o rifugio alle brigate partigiane, e dopo diversi casi di arruolamenti forzati da parte di soldati della RSI, molti giovani preferirono cercare rifugio tra le formazioni partigiane rispetto al partire per una guerra che non condividevano (e che molti ritenevano ormai persa) o al rischiare di essere catturati e giustiziati in città insieme ai propri familiari colpevoli di aver dato loro rifugio, pur non condividendo sempre gli orientamenti politici che animavano chi aveva dato vita a queste formazioni. Alla lotta partigiana in Italia aderirono anche alcuni gruppi di disertori tedeschi[16] CLUEB, il cui numero è difficile da valutare in quanto, per evitare rappresaglie contro le loro famiglie residenti in Germania, usavano nomi fittizi e spesso venivano considerati dai loro reparti d'origine come dispersi e non disertori per una questione di propaganda. Un caso emblematico di adesione alla lotta partigiana è quello del capitano Rudolf Jacobs. In certe zone vi fu anche la presenza, notevole, di soldati sovietici passati dopo la fuga dai campi di prigionia, con i partigiani, casi eclatanti sono Fëdor_Andrianovič_Poletaev , Nikolaj Bujanov, Danijl Varfolomeevic Avdveev, il “Comandante Daniel” [17]tutti decorati con medaglia d'oro al valor militare.[18] Il numero dei partigiani sovietici è stimabile con cifra di 5000/5500 , di cui oltre 700 in piemonte.

DECINE DI MIGLIAIA DI CADUTI: IL TRIBUTO DI SANGUE DEI PARTIGIANI

Si calcola che i caduti per la Resistenza italiana (in combattimento o uccisi a seguito della cattura) siano stati complessivamente circa 44.700; altri 21.200 rimasero mutilati ed invalidi; tra partigiani e soldati regolari italiani caddero combattendo almeno in 40.000 (10.260 della sola Divisione Acqui impegnata a Cefalonia e a Corfù); Le donne partigiane combattenti furono 35 mila, mentre 70 mila fecero parte dei Gruppi di difesa della donna; 4.653 di loro furono arrestate e torturate. 2.750 furono deportate in Germania, 2.812 fucilate o impiccate; 1.070 caddero in combattimento; 15 vennero decorate con la medaglia d'oro al valor militare. Dei circa 40.000 civili deportati, per la maggior parte per motivi politici o razziali, ne torneranno solo 4.000. Gli ebrei deportati nei lager furono più di 10.000; dei 2.000 deportati dal ghetto di Roma il 16 ottobre 1943 tornarono vivi solo in quindici. Tra i soldati italiani che dopo l'Armistizio di Cassibile dell'8 settembre decisero di combattere contro i nazifascisti sul territorio nazionale continuando a portare la divisa morirono in 45.000 (esercito 34.000, marina 9.000 e aviazione 2.000), ma molti dopo l'armistizio parteciparono alla nascita delle prime formazioni partigiane (che spesso erano comandate da ex ufficiali). Furono invece 40.000 i soldati che morirono nei lager nazisti, su un totale di circa 650.000 che fu deportato in Germania e Polonia dopo l'8 settembre e che, per la maggior parte (il 90% dei soldati e il 70% di ufficiali), rifiutarono le periodiche richieste di entrare nei reparti della RSI in cambio della liberazione. Si stima che in Italia nel periodo intercorso tra l'8 settembre 1943 e l'aprile 1945 le forze tedesche (sia la Wehrmacht che le SS) e le forze della Repubblica Sociale Italiana compirono più di 400 stragi (uccisioni con un minimo di 8 vittime), per un totale di circa 15.000 caduti tra partigiani, simpatizzanti per la resistenza, ebrei e cittadini comuni.

LA TRANSIZIONE TRA LA FINE DELLE GUERRA E L'ELEZIONE DEL NUOVO PARLAMENTO

Con l'avanzare del territorio liberato il potere fu preso dai partiti riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale CLN, che coordinavano la resistenza, una coalizione di 6 partiti uniti nella Resistenza: azionisti, comunisti, democristiani, demolaburisti[23] Il Partito Comunista Italiano fu ricostituito da Palmiro Togliatti avendo ben presente il modello dell’URSS e l' esperienza della Terza Internazionale, mentre il Partito Socialista Italiano venne ricostituito da Pietro Nenni. Alcide De Gasperi costituì la Democrazia Cristiana, di fatto una continuazione del Partito Popolare Italiano. Esso rappresentava un equilibrio nella politica italiana, un partito tra conservazione e progresso. Il 4 giugno 1942 Ferruccio Parri costituisce il Partito d'Azione; durante la riunione costitutiva ne fissa i seguenti sette punti:

1) costituzione di una repubblica parlamentare regolata dalla divisione dei tre poteri:

2) decentramento politico-amministrativo con la creazione delle regioni

3) nazionalizzazione dei grandi gruppi industriali

4) riforma agraria

5) realizzazione della libertà sindacale

6) separazione tra Stato e Chiesa

7) costituzione di una federazione europea di stati democratici. Il Comitato esprimeva i governi e attraverso il Comando unificato coordinava la Resistenza. I governi che guidarono l'Italia nel trapasso furono i governi di Ivanoe Bonomi, presidente del Consiglio dal 18 giugno 1944 al 26 aprile 1945 e Ferruccio Parri, presidente dal 21 giugno 1945 al 4 dicembre 1945 preposti dal Comitato di Liberazione Nazionale CLN. Nell'Italia liberata questi governi ottennero progressivamente il controllo dell'apparato civile e militare dello stato, in aggiunta al controllo delle forze della Resistenza di cui ab origine disponevano, avevano quindi poteri assai vasti, quasi dittatoriali. A latere di queste forze politiche vi erano i monarchici, maggiormente presenti nelle aree meridionali della penisola e tra le forze armate italiane cobelligeranti a fianco delle truppe alleate. Tuttavia nel trapasso tra la guerra, il referendum costituzionale e la nascita della repubblica vi furono dei momenti complessi, nei quali essi furono spesso scavalcati dalle singole componenti che li esprimevano.