Prima di tornare al passato sarebbe doveroso aprire un dibattito “informato”. Il Parlamento non può essere unicamente il luogo in cui si convertono decreti – spesso con il voto di fiducia. Deve essere il luogo dell’approfondimento e della conoscenza e poi anche della decisione. La strada verso il nucleare è stata riaperta da provvedimenti che nulla avevano a che fare con l’approfondimento e la conoscenza sul tema.

Ecco perché l’accordo tra Berlusconi e Sarkozy, che prevede la messa in funzione entro il 2020 di quattro centrali nucleari in Italia, è semplicemente un’irragionevole accelerazione. Non sarebbe utile, per il Paese, rispondere ad alcune domande che ancora oggi è legittimo porsi prima di partire con un programma nucleare? L’accordo conviene solo alla Francia, che metterà esclusivamente il know-how per la costruzione degli impianti, ricevendo in cambio energia prodotta in Italia con soldi italiani. Quattro centrali costano ai contribuenti almeno 12 miliardi di euro (e non è neanche detto: l'ultima centrale in costruzione, in Finlandia, ha già visto una lievitazione dei costi del 50%). Sarebbe questo il modo di rispondere con immediatezza all'attuale crisi? Le centrali entrerebbero in funzione solo nel 2020 (salvo ritardi) e poi avrebbero una vita di circa 25 anni, e nei primi 5-10 anni non sarebbero neanche produttive a pieno regime. Nel frattempo, quale soluzione per il problema energetico? E, soprattutto, perché immobilizzare per anni denaro pubblico sul nucleare in costruzione piuttosto che spenderlo per le energie rinnovabili che entrano a regime in periodi brevissimi? L’Italia non possiede l'uranio che dovrebbe comprare dall'estero. Quale la convenienza rispetto al sole, al vento e alle altre fonti rinnovabili che abbiano anche in loco? Il nucleare non è conveniente economicamente: se si considera il processo produttivo dall'inizio alla fine, cioè dal reperimento dell'uranio allo smaltimento delle centrali e delle scorie, i suoi costi al Kwh raggiungono i 6,3 centesimi di euro (dati Department of Energy), un’enormità a confronto con quelli delle altre fonti. Tanto per fare un esempio, l’Enel italiana per due centrali atomiche da essa gestite sul suolo della Slovacchia spende 2.700 euro al Kw, quando quelle a gas ne costano in media 500, per non parlare degli impianti eolici o fotovoltaici. Del resto, ci sarà un motivo per cui gli Usa non costruiscono nuove centrali dal 1978 e la Germania le smantellerà tutte entro il 2020? Dove metteremo le centrali e dove le scorie? Il governo ci ha pensato seriamente oppure già ha dimenticato che ancora vanno completati i lavori di smantellamento delle vecchie centrali italiane e la collocazione delle loro scorie radioattive? I posti di lavoro che potrebbero creare le energie rinnovabili sono tantissimi (la Germania ne ha creati in un decennio circa un milione). Inoltre, trattandosi di energia pulita, spesso autoprodotta a livello domiciliare e aziendale, previene la dispersione da trasporto e migliora l'efficienza. Ecco perché, prima di regalare miliardi di euro pagati dalle tasse degli italiani a pochi grandi gruppi privati, sarebbe utile dare risposta a queste domande. On. Marco FEDI Segretario III Commissione Affari Esteri e Comunitari Camera dei Deputati