Ammonta a 423 miliardi di euro il fatturato dell’economia italiana andato in fumo nel 2020 a causa della pandemia da Covid-19. A subire i contraccolpi più pesanti sono stati i titolari delle palestre e delle piscine al coperto, dei centri per lo sport, delle aziende per il tempo libero e il gioco legale,

delle agenzie e delle società che organizzano eventi e matrimoni, dei teatri e dei cinema, dei noleggiatori e autotrasportatori non legati alla catena alimentare e, ovviamente, i titolari e i gestori di alberghi, B&B, bar e ristoranti. Decine di migliaia di imprese che hanno subito un calo di fatturato nel 2020 pari a 124,6 miliardi di euro. Solo il settore che organizza eventi e matrimoni, che impegna 83 mila aziende e genera un indotto di 1 milione di lavoratori, ha subito una riduzione del fatturato di 35 miliardi di euro. Adesso tutta la filiera è ferma perché molti matrimoni sono stati spostati nel 2022 e molti eventi si svolgono da remoto. Hanno visto ridursi il proprio fatturato i bar e i ristoranti di 21,3 miliardi di euro; le attività artistiche, i cinema, i teatri, le palestre, le piscine e le sale giochi di 18,3 miliardi di euro e a seguire gli altri settori con perdite molto significative. Il blocco delle cerimonie ha colpito, oltre a tanti artigiani, anche liberi professionisti e lavoratori stagionali: stilisti, truccatori, parrucchieri, chef, camerieri, fioristi, fotografi, videomaker, musicisti, animatori, attrezzisti, migliaia di imprese e lavoratori che speravano di ripartire nel 2021 e che, invece, stanno vivendo un 2021 più brutto dell’anno precedente. La stessa via crucis l’hanno percorsa, e la stanno ancora percorrendo, i lavoratori e i professionisti dello spettacolo: un mondo fatto da più di 250 mila operatori, fermi da più di un anno o colpiti particolarmente dal lockdown. Un mondo del quale – nonostante tante belle parole – non sembra importare niente a nessuno. Forse perché gli operatori sono visti soltanto come “artisti che ci fanno divertire ed emozionare “, parafrasando le frasi di qualche mese fa dell’ex premier. Dimenticandosi che di questo mondo fanno parte non solo attori, registi e cantanti, ma anche tante altre figure professionali e molti tecnici, insomma una moltitudine di individui che producono, così come altre categorie. Di fronte all’enormità di questi dati l’insofferenza, la rabbia e le proteste di piazza sono legittime (ovviamente se si manifestano pacificamente) e in qualche modo anche comprensibili. È vero i ristori ci sono stati, ma questi non potevano né possono coprire i mancati guadagni, né tanto meno i costi fissi. Il governo Draghi, consapevole dell’insufficienza di questi interventi, si accinge a definire il Documento di economia e finanze, all’interno del quale è previsto uno scostamento di bilancio di altri 40 miliardi di euro da destinare al sostegno delle imprese per aiutarle a resistere e a ripartire. La soluzione comunque è legata all’evoluzione del piano nazionale di vaccinazione, vale a dire alla prospettiva di un rapido ritorno alla normalità. Commercianti, artigiani, albergatori, ristoratori, artisti, tecnici e professionisti degli spettacoli, gestori di piscine e di stabilimenti balneari riuniti nei movimenti “io apro“ e “fateci ripartire “ invocano (con manifestazioni di piazza autorizzate, e non) una data certa per la ripartenza. Eppure il caso eclatante della Sardegna dovrebbe insegnare qualcosa. La Regione in poche settimane è passata da zona bianca a zona rossa. Dispiace dire che, in una situazione in cui cresce l’esasperazione e la rabbia di chi è stato messo in ginocchio dalla pandemia e non vede ancora la luce alla fine del tunnel, occorre cautela, che se non calano i contagi e i morti e non si alleggerisce la pressione sulle terapie intensive e non si vaccinato gli anziani e i soggetti fragili è difficile stabilire una data precisa per fare ripartire le attività economiche e sportive e fare riaprire teatri e cinema. Quello che si può e si deve fare – a mio giudizio – è rivedere i protocolli e programmare le riaperture, sia di quelle attività che dispongono di spazi all’aperto, che di quelle attività che hanno spazi interni adeguati a garantire il distanziamento sociale e – contestualmente – mettere in campo controlli adeguati e a tappeto, come quelli messi in atto in occasione del primo lockdown. Misure di questo tipo -accompagnate da ristori adeguati, da interventi sui costi di gestione e da sostegni economici finalizzati alla ripartenza – potrebbero contribuire ad allentare la tensione, ad abbassare l’esasperazione e a debellare un clima di diffidenza e di sfiducia nei confronti dello Stato che sembra essersi ulteriormente aggravato. Salvatore Bonura