di Cesidio Celidonio - Nel SI massiccio degli italiani all’estero al taglio dei parlamentari colpisce ancora una volta la« indifferenza » verso la rappresentanza dei parlamentari da eleggere nella « circoscrizione estero ». Già nel 2016, nel voto sulla riforma Renzi che prevedeva l’abolizione del Senato, e quindi tagliava i 6 seggi senatoriali degli emigrati,

tra le nostre comunità il SI’ raccolse una percentuale del 65%. Ugualmente significativo è il dato sulla partecipazione : in Svizzera ormai sotto il 30%, nel resto del mondo tra il 20 e il 25%. Di fatto la conferma di un voto sempre più minoritario che si concentra nelle prime generazioni e in una parte delle nuove comunità emigrati. Mentre appare sempre più evidente che le seconde e successive generazioni si sentano del tutto estranee alle vicende elettorali e politiche italiane. Da questi risultati è scaturita una riflessione anche nel Laboratorio per la Sinistra in Svizzera, a cui ho dato un mio contributo di idee e di proposte che mi pare utile sintetizzare e condividere , magari per una valutazione comune con altri soggetti politici ed associativi della nostra comunità. Ritengo limitativo valutare il SI al taglio come manifestazione temporanea di disaffezione, come segnale di delusione per gli scarsi risultati ottenuti dai parlamentari eletti all’estero, come espressione di un elettorato poco informato. E’ necessaria una analisi approfondita e critica su chi siano i soggetti della platea elettorale e quale sia la forma più adeguata di partecipazione alle vicende del paese di origine. Da una parte bisogna prendere atto dei mutamenti profondi che stanno modificando la composizione e le esigenze delle nostre comunità, a partire dall’ evoluzione generazionale e dal fenomeno sempre più importante della nuova emigrazione. Dall’altro occorre riconoscere la debolezza e l’inadeguatezza dello stesso istituto della « circoscrizione estero »: un aggregato indefinito e indistinto, che è la risultante di quattro « ripartizioni continentali » che comprendono a loro volta territori sconfinati con caratteristiche di emigrazione e problematiche spesso distanti ed estranee tra di loro. Un aggregato che non può essere rappresentato né da 12 né da 18 parlamentari ! Se si condividono queste premesse non ci si può limitare a qualche aggiustamento tecnico del voto all’estero, ma è necessario immaginare, con coraggio e lungimiranza, uno scenario diverso da quello introdotto con la riforma costituzionale del 2000. La mia proposta, semplice e provocatoria, è quella di un radicale cambiamento : salvare e migliorare nelle sue modalità procedurali l’esercizio del voto all’estero per corrispondenza ( e nel futuro anche per via elettronica) , destinandolo però non più alla « riserva indiana » della circoscrizione estero, bensì ai collegi di origine degli elettori ! Un cambio di paradigma che avrebbe come primo effetto quello di restituire al parlamento intero la rappresentanza dei cittadini italiani nel mondo. Sono convinto che su questa base non verrebbe ridotto, ma al contrario rafforzato il potere contrattuale degli italiani all’estero, anche sulle questioni più « di categoria » che riguardano ancora le nostre prime generazioni, ma soprattutto quelle che riguardano i « nuovi emigrati » che vivono l’emigrazione come una esperienza non definitiva e conservano legami e concreti interessi in Italia. Come secondo effetto si eliminerebbe la bagarre sul voto di preferenza tra le nostre comunità, che in alcune campagne elettorali ha fortemente inquinato la vita politica ed associativa della nostra emigrazione, producendo ripetutamente scandali e brogli. Questa proposta va inquadrata in una più ampia revisione che non smantelli, anzi aggiorni e valorizzi alcuni organismi rappresentativi degli italiani all’estero. Ad esempio sono del parere che vada avviata una riforma del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (CGIE) affinché possa meglio adempiere alla funzione di rappresentanza degli interessi delle comunità italiane nel mondo, anche nelle loro specificità territoriali, e funga da organo di raccordo con le istituzioni nazionali (Ministeri, Parlamento,Regioni). In questo senso diventa importante mettere mano al ruolo del CGIE in particolare per ciò che concerne le sue competenze, ma anche la sua composizione, partendo da una riduzione del peso delle componenti nominate in Italia. Lo so : far maturare e istruire, a livello giuridico e politico, una proposta organica e radicale, che comporterebbe per altro un intervento sulla riforma costituzionale del 2000, richiede tempi lunghi e passaggi complessi. Per questo, almeno in vista del prossimo voto all’estero, si può lavorare a un « Piano B » con proposte che richiedono un passaggio legislativo ordinario. Da una parte l’inversione dell’opzione, facendo votare chi si iscrive preventivamente alle liste elettorali. Non mi pare proprio una riduzione del diritto di voto, ma richiederebbe semplicemente un preavviso da parte di chi vuole partecipare alla partita elettorale, così come in Italia chi vuole votare deve recarsi e registrarsi al seggio. L’effetto sarebbe quello di distinguere, nella moltitudine degli iscritti all’AIRE, quanti si sentono interessati alla partita elettorale da quanti, pur con passaporto italiano, non vogliono più « essere disturbati ». Non comprendo su questo tema la posizione di totale contrarietà espressa dai alcuni Segretari del PD in Europa. Dall’altra andrebbe rivista la normativa sulla cittadinanza, i cui effetti determinerebbero anche una diversa composizione della platea elettorale . Trovo paradossale e profondamente ingiusto che da una parte –in base ad una interpretazione estensiva dello Jus sanguinis– si continuino ad elargire, fuori dall’Italia, passaporti facili a chi può vantare lontani antenati italiani e dall’altra si continui a negare lo Jus soli (o lo Jus culturae) nel nostro Paese a migliaia di cittadini, figli di immigrati, nati cresciuti e scolarizzati in Italia. Cesidio Celidonio Laboratorio per la Sinistra-Svizzera