di Agostino Spataro - Oggi a Mazara una grande manifestazione per la liberazione dei 18 marinai fermati a Bengasi, mentre a Roma tutto tace.

NEL 1979 ANDO' COSI' Oggi la Libia é vittima di una sorta di "congiura internazionale" mirata a dividerla,

per spartirsi le sue enormi risorse d'idrocarburi. La "guerra del pesce" é una storia vecchia. Per i pescatori di Mazara del Vallo il rischio resta immutato, anzi si é drammaticamente aggravato. Come si é visto nel corso dell'ultimo episodio del sequestro dei due pescherecci e del fermo degli uomini di equipaggio. La situazione non si sblocca. Siamo nelle mani di chi? Il “fronte” si sposta nella Sirte *

1... Nel frattempo, il fronte della “guerra” si era esteso alle acque della Libia, dove si diceva “i pesci muoiono di vecchiaia”. Era successo- come scrissi sul “Corriere della Sera”- che: “I pescherecci siciliani, sottoposti alla severa vigilanza delle motovedette tunisine, si sono spinti sempre più nelle acque libiche perché at¬tratti da zone molto ricche di pescato, non sempre adeguata¬mente sfruttate.” L’armata (di pesca) mazarese, la più grande d’Italia e del Mediterraneo, si spinse fin dentro le acque del golfo della Sirte dove, per altro, insisteva un vecchio contenzioso politico e militare a carattere internazionale. Gli armatori mazaresi, forse, pensarono di poter replicare in Libia il “modus vivendi” sperimentato in Tunisia. Così non fu. Il 1979 sarà un anno nero per la marineria mazarese. I libici procedettero, con metodi sbrigativi, a una serie di sequestri di pescherecci (uno o più di uno il mese), di arresti e relativi processi con condanne anche pesanti a carico dei capitani e degli equipaggi. Le famiglie dei pescatori trattenuti in Libia vennero a Roma, a manifestare davanti al Parlamento a chiedere l’immediato intervento del governo e delle forze politiche per far tornare a casa i loro congiunti. La destra neofascista profittò del clima di tensione e di polemiche per riproporre il suo vecchio, sciagurato ritornello dell’intervento delle Forze armate per liberare i prigionieri e dare una lezione al “pazzo di Tripoli”. Il contrario di quanto la situazione richiedeva. Anche perché non era escluso che i pescherecci avessero, effettivamente, oltrepassato i limiti delle acque che i libici consideravano nazionali. Più che per combattere la pesca abusiva, i libici reagirono con tanta severità poiché consideravano la presenza dei pescherecci mazaresi nel golfo della Sirte una violazione del loro “diritto” di sovranità, contestato sul piano internazionale. La qualcosa complicava enormemente le cose… Il problema era drammaticamente aperto. In Libia, oltre ai pescherecci sequestrati, restavano in carcere undici pescatori e due capi¬tani (condannati in primo grado), mentre dieci membri dell’equi-paggio dell’ultimo peschereccio sequestrato (il “Francesco I”) erano agli arresti domiciliari nei locali attigui la sede della no¬stra Ambasciata di Tripoli, in attesa di processo.

3... Il governo italiano, lo stesso Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, avevano svolto alcuni passi sulle massime autorità libi¬che per ottenere il rilascio dei natanti e il rientro a casa degli equi¬paggi trattenuti o in carcere. Questo tipo d’intervento, che solitamente funzionava con le auto¬rità tunisine in cambio di una multa esosa, con i libici non diede alcun risultato. Prima di concedere un' eventuale grazia, bisognava attendere l’esito dei processi. Questa era la risposta dei libici. Come scrissero i quotidiani siciliani, l’ultima speranza per un pronto rientro era appesa al viaggio di alcuni parlamentari (Agostino Spataro e Giuseppe Pernice, ex sindaco di Mazara del Pci e Michele Achilli del Psi) in partenza, a fine agosto del 1979, per Tripoli per partecipare alle celebrazioni del X anniversario della rivoluzione. Le famiglie dei pescatori, che erano venute a prote¬stare a Roma senza esito, rivolsero le loro speranze al nostro viaggio. I media enfatizzarono la nostra missione, per altro meramente rap¬presentativa, scrivendo che avendo noi “buone entrature” col re¬gime, potevamo, in occasione di questa felice ricorrenza, convin¬cere Gheddafi a fare un atto di clemenza. “L’Ora” di Palermo scrisse che: “Due deputati comunisti Spataro e Pernice andranno a Tripoli anche per parlare dei pescatori siciliani che si trovano attualmente detenuti nelle carceri libiche. L’ambasciatore del paese africano a Roma ha assicurato i due deputati comunisti circa la possibilità di un incontro con i pescatori detenuti”. Nei giorni successivi (12/9), il “Giornale di Sicilia” si mostrò più fiducioso circa l’intenzione del leader libico di “liberare i 23 pescatori mazaresi detenuti, ma considera necessario legare tale passo ad un ulteriore sviluppo dei rapporti di cooperazione e di amicizia italo-libici… Questo il succo di alcune dichiarazioni rilasciate dallo stesso Gheddafi e da altissimi esponenti libici nel corso di un ricevimento tenuto a Tripoli in occasione della celebrazione del decimo anniversario della rivoluzione, alla presenza dell’ambasciatore ita¬liano conte Aldo Marotta e di tre esponenti politici Giuseppe Pernice ed Agostino Spataro del Pci e Michele Achilli del Psi”. [3]

4... Per i giornali (anche loro adusi ai flessibili comportamenti dei tunisini) la liberazione dei due capitani e dei 21 pescatori mazaresi era cosa fatta e imminente. Giunti a Tripoli, presto ci accorgemmo che le cose non erano così facili. I nostri interlocutori, ai diversi livelli di responsabilità, insistettero sulla necessità della conclusione dell’azione giudiziaria in corso. “Anche Pertini- sostennero- deve attendere la sentenza prima di concedere la grazia a un condannato” Rifiutarono anche la nostra richiesta di potere incontrare in carcere i due capitani e gli undici pescatori detenuti. Incontrammo i dieci pescatori più fortunati, posti agli arresti domiciliari presso l’ambasciata italiana. Fu con loro che più volte parlammo e apprendemmo delle dure condizioni di vita nelle carceri libiche. Ricordo uno di loro, che stava preparando gli spaghetti nei locali della dipendenza dell’ambasciata, il quale mi confidò:“Veda, qui siamo con una branda e una cucina da campo, ma mi sento in paradiso a confronto con il carcere libico, anche se vi sono stato per pochi giorni. Questo è il paradiso, quel carcere è l’inferno! Guai a chi vi capita! Ti gettano in un gabbione sotterraneo, umido e affollato – ci puoi trovare anche 20/25 detenuti e buttano la chiave. Vengono ad aprire due volte al giorno con una scodella di zuppa rancida…Signuri scansatinni!”

5... L’argomento del rispetto dell’azione giudiziaria aveva un fondamento, ma, forse, non era insormontabile. Dai colloqui con i dirigenti libici (Shahati, Hamdi, ecc), l’’impressione che traemmo fu quella che stessero “usando” i 23 detenuti siciliani come punto di forza per esercitare pressioni sul governo italiano al fine di chiudere alcune questioni del contenzioso bilaterale. Tuttavia, il problema era stato posto, oltre che da noi, anche dai rappresentanti di altri partiti, dal governo, dal parlamento, dalla regione siciliana. I libici non avrebbero potuto far finta di nulla. Una conferma di tale, ampia convergenza si ebbe nel corso del di¬battito alla Camera sulle interpellanze e interrogazioni presentate da tutti i gruppi parlamentari. Illustrai in Aula l’interpellanza del gruppo comunista (200010) a firma di Pio La Torre, Giuseppe Pernice e Agostino Spataro. “È opportuno chiarire dinnanzi al Parlamento e al Paese, agli occhi delle famiglie dei 23 pescatori mazaresi detenuti in Libia, che da diversi giorni sostano davanti il portone del Palazzo di Montecitorio, che la concessione, speriamo immediata, del provvedi¬mento di grazia non eliminerà le tensioni e i pericoli di nuovi inci¬denti con la Libia, la Tunisia e Malta. La questione di fondo, quella della sicurezza e della continuità delle attività della flotta peschereccia di Mazara del Vallo, la più importante d’Italia, resta drammaticamente aperta e irrisolta…Sotto questo profilo, l’azione dei Governi è stata carente e intempestiva e comunque inadeguata rispetto all’urgenza e alla gravità delle diverse questioni… Non si registrano risultati apprezzabili nemmeno sull’andamento dei lavori della commissione mista italo libica sulla pesca, insediata in occasione della visita in Italia del ministro degli esteri, Triki, che dovrebbe, fra l’altro, affrontare il problema della costituzione delle società miste per come richiesto, da tempo, dal governo libico...” Sul fronte degli accordi di pesca le trattative con i paesi rivieraschi (Tunisia, Algeria, Marocco e Malta) erano bloccate, mentre con la Libia non erano nemmeno iniziate. “Questa situazione di stallo chiama in causa, direttamente, la responsabilità della CEE e del governo italiano il quale, in assenza di una vera politica della pesca, ha consentito il saccheggio dei nostri fondali senza preoccuparsi di assicurare alla nostra flotta peschereccia quegli spazi che, solo attraverso nuovi accordi di cooperazione con i Paesi frontalieri, si possono ottenere”. Il Mediterraneo, questo grande e generoso mare, punto d’incontro di grandi civiltà, sede feconda, da tempi immemorabili, d’importanti traffici e commerci, diventa sempre più piccolo e avaro di ri¬sorse…Ogni Stato che vi si affaccia tende ad estendere il limite delle acque territoriali, il mare è sempre più una ricchezza con¬tesa…” “La strada che bisogna percorrere, con urgenza e coerenza, è quella di ricercare nuovi accordi di pesca con i paesi frontalieri, basati sulle società miste e improntati a spirito di leale cooperazione, in cui possano convergere strutture, tecnologie ed esperienze italiane e ricchi fondali, mercati e capitali degli altri Stati contraenti…” [4] Nonostante le manifestazioni popolari a Mazara, i viaggi della speranza delle famiglie a Roma, il rilascio che pareva nell’aria stentava a…scendere in terra. I pescatori restavano in Libia, detenuti in attesa di processo. Per quanto riguarda il Pci, continuammo a sollecitare un atto di clemenza (intervennero anche Pajetta e Berlinguer) sia presso l’ambasciata libica a Roma sia presso le autorità politiche e di governo a Tripoli. Dopo qualche mese, i pescatori furono rilasciati. Restarono in car¬cere soltanto i due capitani.

6... Durante questi mesi concitati, ebbi diversi incontri con l’ambasciatore Ammar el Tagazzi. In uno dei quali, tenutosi ai primi di novembre 1980, si parlò del rilascio dei due capitani e, più in generale, di nuove ipotesi di cooperazione italo libica nel campo della pesca. All’incontro fu dato un carattere di ufficialità e fu emesso un comunicato conclusivo congiunto che sarà pubblicato da vari quotidiani, tra cui “l’Ora” di cui riporto alcuni brani: “Le ipotesi di cooperazione italo libica nel settore della pesca e i problemi connessi al rilascio dei due capitani mazaresi tuttora trattenuti in Libia sono stati al centro di un colloquio tra l’on. Agostino Spataro, membro del Comitato direttivo del gruppo parlamentare comunista e della commissione esteri della Camera, e il signor Ammar el Tagazzi, segretario del comitato popolare libico di Roma (leggi ambasciata). …Come aveva fatto qualche mese addietro, sempre su richiesta del deputato del Pci, per la liberazione dei 21 pescatori, il rappresentante libico ha assicurato il suo impegno per favorire il rilascio dei due capitani dopo che saranno esperite le procedure giudiziarie. Il signor Tagazzi ha espresso la fiducia che presto i due uomini potranno tornare in patria…” [5] Dopo qualche tempo, anche i due capitani rientrarono a casa, ma il problema dei rapporti di pesca con la Libia rimaneva aperto, insoluto…