Lanfranco Fanti Europeista di mestiere con una passione ereditaria per la politica

DA HUFFPOST - Anadolu Agency via Getty Images Raramente le conclusioni dei Consigli europei sono letture interessanti, dense, empatiche.

Ma le 68 pagine che sanciscono l’accordo raggiunto dopo quattro giorni di ininterrotti negoziati tra i capi di Stato e di governo dei 27 paesi membri dell’Unione europea lo sono. E segnano un passaggio che probabilmente passerà alla storia, non solo per essere stato il Consiglio più lungo, ma per essere quello che apre a una nuova fase delle relazioni tra paesi europei e con le istituzioni europee. Oltre che a sancire l’indispensabilità dell’Unione europea come interlocutore e protagonista politico, economico e sociale. Ha prevalso l’interesse comune. E non bisogna vergognarsi se tale interesse è stato portato avanti con intelligenza, caparbia e volontà dall’asse franco-tedesco di Macron e di Angela Merkel. Questi quattro giorni di negoziato hanno dimostrato che la governance dell’Europa si è allargata, riconoscendo pari dignità tra governi a condizione che si porti avanti un interesse collettivo (la ripresa dalla crisi Covid, nuove risorse proprie, transizione ecologica e digitale) e non argomenti nazionali (controllo bilanci, recupero spese, accesso a fondi). Intorno a Francia e Germania si è costruito un asse governativo (i paesi del Sud Europa) e istituzionale (Consiglio e Commissione) che ha fatto muro alle pretese miopi, egoiste e nazionali dei paesi cosiddetti frugali (Austria, Olanda, Danimarca, Svezia e Finlandia). Per l’ Italia e per il governo Conte, essere riusciti non solo a portare a casa circa 210 miliardi di euro, di cui 82 a fondo perduto e 127 di prestiti, ma anche ad arginare l’assalto dei frugali capeggiati dal premier olandese Rutte che volevano quasi eliminare la parte sussidi ed imporre un rigido controllo e delle severe condizionalità all’utilizzo del Recovery Fund, rappresenta un successo che sicuramente avrà conseguenze politiche importanti tra i confini nazionali e che mette l’Italia al tavolo degli interlocutori chiave negli equilibri europei. Solidarietà alle famiglie delle vittime colpite dal Covid, protezione ai cittadini europei ed aiuti a superare la crisi, impegno per uno “sforzo senza precedenti… a sostegno della ripresa e della resilienza delle economie degli stati membri”. Concetti importanti che aprono poi alla descrizione minuziosa degli strumenti mirati e limitati nel tempo che l’Europa da oggi mette a disposizione dei 27 stati membri e soprattutto dei suoi cittadini. Una potenza di fuoco da 1800 miliardi di euro diviso in due parti integranti fra loro. La prima è composta dai 750 miliardi del Piano per la Ripresa “Next Generation EU”. Per finanziare il Piano, la Commissione sarà autorizzata a contrarre prestiti fino al 2026, per conto dell’Unione, sui mercati dei capitali. Gli importi ottenuti saranno trasferiti per finanziare i vari programmi. Il più sostanzioso dei quali rimane quello destinato alla ripresa e alla resilienza che offrirà sostegno finanziario per investimenti e riforme, anche nell’ottica della transizione verde e digitale e per la resilienza delle economie nazionali, assicurandone il collegamento con le priorità dell’UE. Il dispositivo, che sarà integrato nel semestre europeo, avrà una capacità di sovvenzionamento che potrà arrivare a 360 miliardi di € e sarà in grado di mettere a disposizione prestiti fino a un massimo di 312 miliardi di €. Gli altri programmi del Piano Next Generation sono quello di coesione “React EU” che scende a 47,5 miliardi (rispetto ai 55 proposti dalla Commissione) e che saranno assegnati in funzione della gravità delle conseguenze socioeconomiche della crisi, tra cui il livello di disoccupazione giovanile e la prosperità relativa degli Stati membri; il fondo che dovrebbe aiutare ad una transizione sostenibile viene ridotto a 10 miliardi (dai 40 iniziali) mentre viene dimezzato quello per gli aiuti allo sviluppo rurale agricoltura ( 7,5 ) e decimato Horizon Europe che avrà 5 miliardi invece dei 95 proposti. Ogni Stato membro dovrà presentare nei prossimi mesi un piano di spesa nazionale di riforme e investimenti che verrà valutato dalla Commissione europea per il periodo 2021-2023. Su proposta della Commissione, sarà il Consiglio ad approvare i piani nazionali a maggioranza qualificata. Per venire incontro ai paesi frugali e specialmente al premier olandese Rutte, è stata introdotta una clausola di controllo che prevede che se uno o più governi riterrà che in uno dei piani nazionali vi possono essere gravi scostamenti dal soddisfacente conseguimento dei pertinenti target intermedi e finali, il Consiglio europeo dovrà discuterne in maniera… “esaustiva” (Conte ed Amendola hanno fatto più di una notte bianca per evitare che al suo posto ci fosse “decisiva”) prima di autorizzare la Commissione a pagare. La seconda e più sostanziosa parte dell’ accordo di oggi è quello sul Quadro Finanziario multi annuale, il bilancio dell’ Unione europea di 1074,3 miliardi di euro che finanzierà i programmi e i fondi fino al 2027. La grande novità è l’impegno a introdurre nuove risorse proprie a partire da quella basata sui rifiuti di plastica non riciclati che si applicherà a decorrere dal 1° gennaio 2021. Il prossimo anno la Commissione presenterà proposte relative a un meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera e a un prelievo sul digitale, ai fini della loro introduzione al più tardi entro il 1° gennaio 2023 insieme a una proposta su un sistema di scambio di quote di emissioni riveduto, eventualmente estendendolo al trasporto aereo e marittimo. Rimane aperta la possibilità ma rimandata al prossimo quadro finanziario, di introdurre un’imposta sulle transazioni finanziarie. La palla ora passa al Parlamento europeo che dovrà dare il suo consenso. Ma credo che il Presidente Sassoli condivida con la Von der Leyen quanto siano valsi la pena questi quattro giorni di negoziato per dimostrare ancora di più e forse in maniera definitiva e incontestabile ai cittadini europei quanto sia importante l’Europa. Anche perché le campane confuse dei detrattori nazional-sovranisti non suoneranno per un po’. Ora viene il bello. Forte del buon risultato, il governo italiano e le forze politiche di maggioranza non devono perdere tempo ma presentare al più presto un piano di riforme e investimenti dettagliato, che aiuti i settori e le categorie economiche e sociali più colpite da questa crisi e che presenti un programma concreto non solo di rilancio dell’economia in linea con le direttrici europee della transizione ecologica e dello sviluppo digitale, ma soprattutto affronti le grandi emergenze sociali del nostro paese, lavoro, burocrazia e sud. Prima che certe campane ricomincino minacciosamente a suonare.