by Fabio Porta (foto accanto) - Il 18 gennaio di 101 anni fa lo storico manifesto di Luigi Sturzo, fondatore del Partito Popolare. Il mio articolo sull'ultimo numero di "Comunità Italiana"

LIBERI E FORTI Cento anni fa l’appello di Luigi Sturzo imprimeva una svolta storica alla politica italiana

“A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà”: con queste parole iniziava l’appello che la commissione provvisoria del Partito Popolare italiano, guidata dal sacerdote di Caltagirone Luigi Sturzo, rivolgeva agli italiani all’indomani della fine della seconda guerra mondiale. Un manifesto dirompente, in primo luogo perché fino ad allora ai cattolici era stato proibito l’impegno diretto in politica; nel 1868 una disposizione papale, il cosiddetto “non expedit”, aveva infatti vietato ai cattolici la partecipazione alle elezioni del Regno d’Italia e di conseguenza alla politica nazionale. Sturzo, che aveva già preso parte attiva alla politica locale della città di Caltagirone, rompe questo tabù; dopo pochi mesi Papa Benedetto XV avrebbe revocato la disposizione emanata quasi cinquanta anni prima dal suo predecessore. Ma la forza di quell’appello non risiede soltanto nella rottura di quel divieto; l’appello segna infatti l’inizio di un nuovo movimento politico e culturale che segnerà per decenni la storia politica italiana: il popolarismo. Fino a quel momento l’unico partito “popolare” era il Partito Socialista, nato a Genova nel 1892. Dell’Appello colpisce innanzi tutto la brevità: in due sole pagine riesce ad articolare in modo coerente uno sfondo valoriale preciso, una visione antropologica e politica di riferimento, una lettura della società e dei suoi problemi che conduce a identificare misure pratiche da inserire in un programma politico. Colpisce ancora di più se lo si colloca nel suo contesto storico, ben precedente alle riflessioni del Concilio sulla coscienza, sulla libertà religiosa o sulla legittima autonomia delle realtà temporali e quindi sulla laicità; e in una fase in cui il magistero sociale della Chiesa consisteva di un’unica enciclica, la Rerum novarum. Partendo da una serie di intuizioni che la riflessione impiegherà decenni a elaborare, quali i principi della dottrina sociale (dignità della persona, bene comune, sussidiarietà, solidarietà), l’Appello connette piani diversi: è questa capacità che oggi deve risultare di stimolo, ben più degli specifici contenuti. Non è una operazione di élite, in quanto sa cogliere in modo autentico l’anima popolare: non trascura chi è ai margini e soprattutto non esacerba le tensioni, ma si pone nella logica di una mediazione capace di risolvere i conflitti sociali di cui ha piena consapevolezza. È proprio questa attenzione a costruire ponti e tessere relazioni che gli conferisce autorevolezza. Convince perché sa entrare in contatto, non si impone come fa invece la propaganda. Da questo punto di vista si differenzia radicalmente da molte altre proposte, anche dei giorni nostri, che in modi diversi si richiamano a una ispirazione popolare, ma per marcare differenze identitarie, frammentando la società anziché unirla in un soggetto collettivo. Un testo attualissimo, quindi, proprio oggi che la politica sembra lontana anni luce dai valori e dalle intuizioni che erano alla base di quell’appello. A Luigi Sturzo, quindi, la politica italiana deve molto. A sessanta anni dalla sua morte, avvenuta nell’agosto del 1959, il Presidente della Repubblica Mattarella ha voluto ricordare con queste parole il prete di Caltagirone: “Ricorrono sessant’anni dalla morte di Luigi Sturzo. La sua azione politica, il suo pensiero, i suoi scritti, che ancora costituiscono materia di studio e di riflessione, mostrano con evidenza come egli sia stato uno dei protagonisti della storia democratica italiana. Don Sturzo cominciò dalle basi della società, dalla difesa della dignità dei contadini nel mondo agrario di inizio novecento, dalla presenza nel consiglio comunale di Caltagirone, dalla necessità di dare basi popolari alla democrazia, rifuggendo da ipoteche oligarchiche ed elitarie. La sua idea di laicità dell’impegno pubblico ha precorso i tempi. La sua visione democratica era inscindibilmente legata a una concreta giustizia sociale”. (Fabio Porta)