ECONOMIA ITALIANA - MEZZOGIORNO - IL SUD PERDERA' 5 MILIONI DI PERSONE E QUASI IL 40% DEL PIL SOLO INCREMENTO TASSO OCCUPAZIONE IN PARTICOLARE FEMMINILE SPEZZERA' CIRCOLO VIZIOSO

I nuovi temi di un’antica questione, quella meridionale sono stati oggi al centro dell'attenzione

alla Camera dei Deputati nel corso della presentazione del Rapporto Svimez dal titolo “Il Mezzogiorno nella nuova geografia europea delle diseguaglianze”. Argomenti quali, il doppio divario Sud/Nord, Italia/Europa, la rottura dell’equilibrio demografico, la società del Mezzogiorno e i diritti di cittadinanza, le trasformazioni del sistema produttivo, la debolezza delle politiche pubbliche, il ruolo del Sud in una strategia di sviluppo sostenibile,che impongono un cambio di prospettiva nell’analisi della stagnazione italiana. Nell’ultimo ventennio, la politica economica nazionale ha disinvestito dal Mezzogiorno, ha svilito anziché valorizzare le sue interdipendenze con il Centro-Nord. Il progressivo disimpegno della leva nazionale delle politiche di riequilibrio territoriale ha prodotto conseguenze negative per l’intero Paese. I dati - afferma Svimez - rivelano: il pronunciato processo di convergenza sperimentato dall’Europa dell’Est, l’allontanamento dei paesi dell’Europa del Sud, Italia inclusa, dai livelli medi di tenore di vita europei; la crescita tendenziale del reddito pro capite nell’Europa del Nord. Ma il Nord Italia non è più tra le locomotive d’Europa, alcune regioni dei nuovi Stati membri dell’Est superano per PIL molte regioni ricche italiane, avvantaggiate dalle asimmetrie nei regini fiscali, nel costo del lavoro, e in altri fattori che determinano ampi differenziali regionali di competitività. La stagnazione è aggravata, inoltre, da dinamiche demografiche avverse che riguardano tutto il Paese e segnatamente il Mezzogiorno. Per effetto della rottura dell’equilibrio demografico (bassa natalità, emigrazione di giovani, invecchiamento della popolazione), il Sud perderà 5 milioni di persone e, a condizioni date, quasi il 40% del Pil. Solo un incremento del tasso d’occupazione, soprattutto femminile, può spezzare questo circolo vizioso. Per la SVIMEZ bisogna tornare a una visione unitaria della stagnazione italiana, smarcandosi dalla lettura dell’aumento delle disuguaglianze esclusivamente legata al confine immutabile tra Nord e Sud. Per questo motivo vanno valorizzate le complementarietà che legano il sistema produttivo e sociale delle due parti del Paese. Dunque, le richieste di regionalismo differenziato vanno valutate nel contesto di un’attuazione organica, completa, equilibrata, del nuovo Titolo V. In quest’ottica il confronto sulla valorizzazione delle autonomie e la riduzione delle disuguaglianze va depurato dalle scorie rivendicazioniste provenienti da Nord e da Sud e riportato sui temi nazionali della qualità delle politiche di offerta dei servizi pubblici e su quelle necessarie per la ripresa della crescita. Le eventuali concessioni di autonomia rafforzata devono essere motivate dall’interesse nazionale, non da quello particolare delle singole regioni richiedenti. La SVIMEZ stigmatizza l’uso strumentale del concetto di residuo fiscale, misura della redistribuzione riferibile agli individui, non ai territori. In buona sostanza, la SVIMEZ è favorevole alla costruzione di un fronte unitario intorno ad un Sì convinto ai principi del federalismo cooperativo nell’interesse del Paese per rendere sostenibili le richieste di autonomia. La vera sfida è un’attuazione ordinata del federalismo fiscale per privare anche le classi dirigenti meridionali degli alibi dell’attuale centralismo avaro, utile per rivendicare più risorse e per nascondere le inefficienze. Una sfida che si basi sulla definizione dei costi standard e dei LEP (livelli essenziali delle prestazioni), al fine di assicurare pari diritti di cittadinanza e un Fondo perequativo per colmare il deficit infrastrutturale. La riapertura del divario Centro-Nord Mezzogiorno riguarda anche i consumi, soprattutto della PA. Crollati, dunque, gli investimenti pubblici Il PIL del 2018 al Sud è cresciuto di +0,6%, rispetto a +1% del 2017. Ristagnano soprattutto i consumi +0,2%), ancora al di sotto di -9 punti percentuali nei confronti del 2018, rispetto al Centro-Nord, dove crescono del 0.7%, recuperando e superando i livelli pre crisi. Debole il contributo dei consumi privati delle famiglie con quelli alimentari che calano del -0,5%, in conseguenza alla caduta dei redditi e dell’occupazione. Ma soprattutto la spesa per consumi finali della PA ha segnato -0,6% nel 2018. Gli investimenti restano la componente più dinamica della domanda interna (+3,1% nel 2018 nel Mezzogiorno, a fronte di +3,5% del Centro-Nord). In particolare, crescono gli investimenti in costruzioni (+5,3%), mentre si sono fermati quelli in macchinari e attrezzature +0,1% contro +4,8% del Centro-Nord). Alla ripresa degli investimenti privati fa da contraltare il crollo degli investimenti pubblici: nel 2018, stima la SVIMEZ, la spesa in conto capitale è scesa al Sud da 10,4 a 10,3 miliardi, nello stesso periodo al Centro-Nord è salita da 22,2 a 24,3 miliardi. Le previsioni macroeconomiche della SVIMEZ stimano il Pil italiano a +0,9% nel 2018, + 0,2% nel 2019 e +0,6% nel 2020. In particolare, il Centro-Nord sarebbe al +0,9% nel 2018, al +0,3% nel 2019, al +0,7% nel 2020. Una crescita, come si può vedere, molto modesta anche nelle aree più sviluppate del Paese. Al Sud nel 2018 l’aumento sarebbe del +0,6%, calerebbe a -0,2% nel 2019 e risalirebbe leggermente a +0,2% nel 2020. L’occupazione italiana, a sua volta, segnerebbe +0,9% quest’anno, +0,07% il prossimo e +0,30 nel 2020. Al Centro-Nord sarebbe +0,9% nel 2018, +0,13% nel 2019, +0,35% nel 2020. Al Sud +0,7% quest’anno, scenderebbe a -0,14 il prossimo per risalire a +0,14% nel 2020. Male l’agricoltura al Sud, bene il terziario, l’industria stenta Il valore aggiunto dell’agricoltura è calato nel 2018 al Sud di -2,7%, nel Centro-Nord è aumentato di +3,3%. Il valore aggiunto dell’industria in senso stretto è aumentato di +1,4% nel 2018 al Sud, in calo rispetto al 2017 (+2,7%). Nel Centro Nord è cresciuto di +1,9%. Il valore aggiunto del terziario al Sud nel 2018 è aumentato di +0,5%, meno che al Centro-Nord (+0,7%). Le diverse velocità delle Regioni Nel 2018 Abruzzo, Puglia e Sardegna sono state le regioni che hanno registrato il più alto tasso di crescita, rispettivamente +1,7%, +1,3% e +1,2%. Nel Molise e in Basilicata il PIL è cresciuto del +1%. In Sicilia ha segnato +0,5%. Campania a crescita zero nel 2018. Calabria unica regione meridionale che ha visto una flessione del PIL di -0,3%. Il divario territoriale nei servizi pubblici, a partire dalla sanità e dalla scuola Al Sud sono scarsi i servizi a cittadini e imprese. La spesa pro capite delle Amministrazioni pubbliche è pari nel 2017 a 11.309 nel Mezzogiorno e a 14.168 nel Centro-Nord. Un divario che è cresciuto negli anni Duemila. Lo svantaggio meridionale è molto marcato per la spesa relativa a formazione e ricerca e sviluppo e cultura. Continua l’emigrazione ospedaliera verso le regioni del Centro-Nord: circa il 10% dei ricoverati per interventi chirurgici acuti si sposta dal Sud verso altre regioni. Grave il ritardo nei servizi per l’infanzia. La spesa in istruzione in Italia si riduce con una flessione del 15% a livello nazionale, di cui il 19% nel Mezzogiorno e il 13% nel Centro-Nord. Le differenze Nord/Sud riguardano soprattutto l’offerta di scuole per l’infanzia e la formazione universitaria. Nel Mezzogiorno solo poco più di 3 diplomati e 4 laureati su 10 sono occupati da uno a tre anni dopo aver conseguito il titolo. Prosegue l’abbandono scolastico, nel 2018 gli early leavers meridionali erano il 18,8% a fronte dell’11,7% delle regioni del Centro-Nord. Per di più al Sud il 56% delle scuole ha bisogno di manutenzione urgente. (04/11/2019 -ITL/ITNET)