Di tutto potevano avere bisogno gli italiani all’estero e PD Mondo, tranne che di una scissione che dividesse esattamente in due parti la delegazione, assegnando tre parlamentari al PD e tre al nuovo soggetto renziano Italia Viva.

Ad ognuna delle due formazioni, vanno due deputati ed un senatore. Nel PD restano Francesca La Marca e Angela Schirò ed il senatore Francesco Giacobbe. Ad Italia Viva passano Carè e Ungano assieme alla senatrice Laura Garavini. Lasciamo perdere per un momento le motivazioni addotte ed entriamo subito nel cuore del problema che si viene a creare. Già nelle elezioni politiche tenutesi il 4 marzo del 2018, il PD pur restando primo partito all’estero, esce ridimensionato rispetto alle elezioni del 2013. In quell’appuntamento infatti, gli italiani all’estero che votarono PD, portarono in parlamento 5 deputati diventati subito 6 con l’adesione di Sacconi eletto nelle liste del M5S e passato poi al PD e 4 senatori. Trasformati in percentuali, il PD alla camera ebbe il 42% degli eletti all’estero, diventati poi il50% mentre al senato si aggiudico il 66,66% dei senatori eletti nella circoscrizione estera. Una bella differenza rispetto al 2018, quando il PD perse due deputati ed due senatori, che in maggioranza andarono al MAIE. Evidentemente la lezione non è bastata, il fatto che la presenza di liste come quella di LEU e quella della Lorenzin hanno contribuito a determinare le perdite del PD, che dall’America Latina esce senza rappresentanza alla Camera, cosa che aveva sempre avuta. Prima di andare avanti, credo sia bene rilevare il fatto che gli eletti all’estero, per la specificità del loro ruolo, dovrebbero occuparsi delle problematiche degli emigrati, dovrebbe in qualche modo prescindere dalle logiche strettamente partitiche, per portare la voce e le necessità degli emigrati al parlamento. In una parola, gli eletti all’estero dovrebbero prima di tutto fare squadra e ritagliarsi lo spazio politico che spetta di diritto al loro elettorato. Non ha senso ad esempio ascoltare la dichiarazione di chi alla sua terza legislatura lascia il PD con motivazioni che mi permetto di definire discutibili. Ad esempio: “lascio il PD perché ritengo che una nuova casa – non contro mas al fianco del PD – possa essere più utile agli italiani nel mondo.”; oppure: “le scelte che ha assunto negli ultimi mesi rispetto alle collettività che io rappresento mi hanno portato a compiere questo passo.” Si riferisce al fatto che Merlo del MAIE sia stato riconfermato sottosegretario agli estero con delega agli italiani nel mondo. Non è certo la sola ad essersi opposto a questa scelta scellerata, sulla quale ha certamente insistito il M5S perché Merlo portava in dote due voti al senato che potevano risultare determinanti, cosa che poi non è stato. Certo, Merlo nella suo camaleontico modo di fare politica, ha giocato bene e con spregiudicatezza le sue carte. Ma questo che significa? Forse che non c’è stato tutto un movimento che ha fatto pressioni sul PD perché ciò non si verificasse? Forse le associazioni e parecchie sezioni del PD all’estero, specialmente quelle operanti in America Latina,non hanno avanzato la loro protesta in tempo utile perché il PD si opponesse a tale eventualità? Il fatto che alla fine l’ha spuntata Merlo, non giustifica una scissione che Renzi programmava da tempo a prescindere dalla sorte di Merlo. Forse che la scissione rafforza la rappresentanza degli italiani all’estero? In politica non è mai successo che uno più uno faccia due, come non è mai successo che due debolezze unendosi fanno una forza. L’unico risultato che spesso si ottiene è quello di prodotte una debolezza ancora maggiore. Ora, al punto in cui siamo, non è più il caso di perdere in recriminazioni giuste ma anche inutili. Ora quello che occorre è innanzi tutto dedicare maggiore attenzione alla struttura del PD all’estero, iniziare subito un lavoro di ricucitura e di potenziamento, intensificare le iniziative politiche, battere gli altri sul tempo, anticipare la demagogia di Merlo, dare nel PD maggiore peso a questo settore dell’elettorato, creando un gruppo di lavoro a Roma che si occupi del problema ed irradiare l’attività all’estero tra i circoli, con nuove alleanze con il mondo associativo, con un lavoro continuo e costante che dia la chiara consapevolezza che il PD c’è ed intende affrontare con metodo e serietà le problematiche degli italiani nel mondo che oggi contano un elettorato di circa sei milioni di persone. Un segnale forte, ad esempio potrebbe venire dal fatto di evitare che nel taglio dei parlamentari, sacrosanto principio per diminuire il costo della politica, rientrino anche gli eletti all’estero, che già rispetto al livello di rappresentanza previsto dalla Costituzione italiana e rispetto al rapporto popolazione eletto per gli eletti in Italia, sono sottodimensionati. Questo può essere un segnale importante, come un segnale può essere il ripristinare la consulta degli italiani nel mondo del PD, inaugurata diversi anni fa, che si è riunita una sola volta. Questi segnali oggi si aspettano gli emigrati e non divisioni, segnali significativi e politica che miri ad unire e non a dividere. Credo che in questi casi, per evitare ogni velleità scissionisti che non giovano certo al partito ma tuttalpiù giovano alle velleità narcisistiche di qualcuno, bisogna potenziare e sviluppare le cose che ci uniscono, accantonando quelle che ci dividono, che possono certo essere oggetto di dibattito e di confronto interno, ma che non debbono essere scuse per giustificare una scissione. Salvatore Augello