C’ERA UNA VOLTA IL MADE IN ITALY

Le nuove frontiere e le sfide del Post-Made in Italy secondo il sociologo Riccardo Giumelli “Tutto ha inizio con un caffè”: è così che si apre il libro-ricerca sul “Post-Made in Italy” del giovane sociologo italiano Riccardo Giumelli.

Non si trattava di un caffè qualsiasi ma del “caffè Verona”, in bella mostra a New York sul bancone di Starbucks, la più grande catena al mondo di caffè (recentemente, e non senza qualche polemica, sbarcata anche in Italia). Giumelli, uno dei maggiori esperti di “italicità” e di presenza italiana nel mondo, fa partire proprio da quell’incontro casuale una avvincente e approfondita riflessione, ricca di dati e riferimenti statistici ma mai noiosa e pedante, sull’evoluzione del concetto di “Made in Italy” nel mondo e sulle nuove sfide che si pongono al Sistema-Italia nella società globalizzata. Con il coraggio e la competenza che gli derivano dalla giovane età unita ad una grande conoscenza dell’Italia nel mondo (due fattori rari nel mondo della ricerca italiano), Giumelli ci conduce con il suo libro verso un vero e proprio “cambio di paradigma”: “il Made in Italy non è una realtà solida e chiara come può apparire dal senso comune”. In un mondo sempre più globalizzato e interconnesso, si sta affermando infatti “un trend sempre più diffuso: quello dei prodotti ibridi, delle catene globali valoriali, delle nuove configurazioni tra territorio, comunicazione, prodotto e marca”. Il Made in Italy, in questo senso, non è più semplicemente tutto quello che è prodotto in Italia. Ne sappiamo qualcosa noi, italiani nel mondo, i primi protagonisti di quel processo straordinario di ibridazione che ha consentito al Made in Italy non soltanto di espandersi all’estero ma anche di mescolarsi con produzioni locali chiaramente riconducibili all’Italia e al nostro inconfondibile “Italian Way of life”. La grande presenza degli italiani nel mondo, secondo Giumelli, ha infatti contribuito “alla costruzione di un capitale relazionale unico al mondo, dalle caratteristiche difficilmente riproducibili o similmente riconoscibili”. Da questo capitale sono nati prodotti e marchi italianissimi anche se nati all’estero; in Brasile basti pensare al panettone Bauducco o alla mortadella Ceratti, per fare solo due chiari esempi di italicità applicata al ricchissimo mondo dell’eno-gastronomia. Prodotti che solo qualche governante italiano a digiuno di storia dell’emigrazione italiana nel mondo ha potuto confondere con il cosiddetto “italian sounding”, cioè a quel fenomeno legato alla contraffazione e alla frode di prodotti autenticamente italiani. “L’equazione italian sounding uguale frode – secondo Giumelli – non ci convince del tutto”, e noi siamo d’accordo con lui, proprio perché conosciamo la ricchezza di un Made in Italy che spesso all’estero è diventato “Made by Italians” o “by italics”. Il “Post-Made in Italy” diventa così una sfida per tutti noi, per tutti coloro che non hanno paura della contaminazione e dell’incontro fecondo tra culture e popoli, con buona pace dei sovranisti e degli innalzatori di muri che dimenticano (o non sanno) che la storia del mondo deve proprio ai “melting-pot” sociali e culturali tutti i suoi processi evolutivi e le sue principali scoperte: “L’ibrido – ci ricorda Giumelli -disorienta per natura finchè non troviamo nuovi strumenti di tipizzazione e classificazione in grado di riorientare le aspettative e rendere l’organizzazione sociale più ordinata”. In altre parole: il nuovo “Made in Italy” deve cogliere la sfida e le opportunità che si sono moltiplicate nel mondo grazie ad una eterogenea e creativa presenza italiana, evitando il facile rischio di ridursi ad una semplicistica e sterile difesa dei marchi in senso unicamente protezionistico. Dall’ibridazione del “Post-Made in Italy” può anzi scaturire l’apertura di nuovi mercati insieme ad una nuova e sinergica strategia di penetrazione e rafforzamento del “Sistema Italia”, che oggi non può essere ridotto anacronisticamente a tutto ciò che è creato e prodotto nel nostro Paese. Una sfida difficile ma ambiziosa, come quelle affrontate nel corso di oltre un secolo dai milioni di italiani che oggi rappresentano il vero punto di forza del “Made in Italy” nel mondo. (Fabio Porta)