Segna la data: 21 giugno. En-tro quel giorno Salvini vuole che il governo approvi l’auto-nomia differenziata per Vene-to, Lombardia, Emilia (e ora anche Piemonte e Liguria). Insomma che si crei una nuo-va Italia in cui i ricchi siano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.

Una nor-dica Italia primaria e una me-ridionale Italia secondaria che sancisca e rafforzi l’attua-le divisione chissà se col pas-saporto. In base a referen-dum che le sopradette regio-ni si sono fatti per conto pro-prio senza chiedere cosa ne pensasse il resto del Paese che pure ne subirà le conse-guenze. E storica decisione che si dovrebbe concludere con un contratto privato fra lo Stato e gli interessati e sul quale nessuno potrà sindaca-re. È questo uno dei punti irri-nunciabili posti dal vicepresi-dente del Consiglio per conti-nuare l’attuale alleanza di go-verno. Con un nuovo grosso potere contrattuale rispetto all’alleato Di Maio dopo la vittoria popolare alle elezioni europee che ha cambiato i rapporti di forze fra loro. Co-me dimostra l’intesa fin trop-po repentina sul controverso nuovo codice degli appalti per le opere pubbliche. E mentre una ipotesi remota è che ora Salvini deluda il suo Nord rinviando l’autonomia per non perdere il crescente con-senso al Sud in vista di nuove possibili elezioni. Che per il Sud ciò che potreb-be avvenire non sia indifferen-te, lo si è spiegato a iosa. Per-ché il Veneto e le altre non si limitano a voler gestire da sé una serie di materie finora in condominio con lo Stato, a co-minciare da quelle delicatissi-me di scuola e sanità. Fosse solo questa prima disunità, si potrebbe discutere. Ma preten-dono di trattenere le loro tasse per finanziarsi perché a loro dire i propri bisogni sono mag-giori perché i ricchi ne hanno di più, non il contrario. Come se le tasse non si pagassero più allo Stato in corrispettivo di ciò che lo Stato dà loro. E con una sottrazione al contrario di Ro-bin Hood, togliere ai poveri per dare ai ricchi. Privato a mano lesta di una buona parte delle sue entrate, lo Stato non potrebbe più ba-dare come prima alle altre re-gioni. A cominciare da quelle del Sud, per le quali già ora la spesa pubblica è inferiore ri-spetto a quelle del Centro Nord: un cittadino meridionale vale meno di uno settentriona-le. Sud per il quale questa spe-sa pubblica non raggiunge neanche il 34 per cento, la per-centuale della sua popolazio-ne. Ciò che gli sottrae ogni an-no 61 miliardi con i quali si po-trebbero fare tante cose. Con-dannando il Sud a un livello di servizi che significa meno ospedali, meno scuole, meno asili, meno treni, meno lavoro, meno qualità della vita. E tutto ancora peggio se ulteriori sol-di fossero trattenuti al Nord. Sarebbe l’atto finale di un fe-deralismo che finora ha porta-to al Sud solo più tasse locali per sopravvivere. E un livello di servizi sempre e ovunque sotto il minimo garantito dalla Costituzione. Bisognava pri-ma stabilire i cosiddetti «fabbisogni standard», appun-to il minimo di dignità e di civiltà. Ciò che non si è mai fatto in 18 anni, forse perché se si fosse fatto si sarebbe ca-pito il trattamento riservato al Sud. E magari avrebbero do-vuto riequilibrare a suo favo-re. In mancanza, si è andati avanti con quella «spesa stori-ca» che ha sempre privilegiato il Nord, si spende di più per chi lo si è sempre fatto. In 18 anni di federalismo non c’è mai stata neanche la «perequazione infrastruttura-le»: strade, autostrade, porti, aeroporti. Non solo per ade-guarli agli altri per la prima volta in 158 anni di unità. Ma per fare del Sud una grande area collegata in modo tale da diventare anche una grande area economica, culturale, sociale con una sua forza e una sua capacità di contare di più. Ma il Sud doveva rimanere diviso e isolato, e così assisti-to, per rinfacciarglielo. Un Sud da trattare con un reddito di cittadinanza per i bisognosi (pur giustificato) invece che con investimenti per eliminare il bisogno. Lo ha detto giorni fa anche il governatore della Banca d’Italia, uno che più neutro non si può. Ma non sarebbe l’ultimo degli effetti collaterali del vigente federalismo truccato e ora del federalismo rafforzato. Si rim-provera il Sud per l’uso dei fondi europei, che avrebbero dovuto farne un Bengodi. Omettendo che questi fondi europei non si aggiungono mai alla spesa statale come dovrebbero, ma la sostituisco-no. Talché una scuola si fa al Nord con i soldi statali (quindi anche delle tasse del Sud) e al Sud con quelli europei, e chis-sà se non ci fossero. Ma i fon-di europei devono essere cofi-nanziati da uno Stato che ora potrebbe non avere più le ri-sorse per farlo. Ultime notizie: il governatore Zaia chiede anche per il suo Veneto le Zes (zone economiche speciali) adottate per risarcire il Sud. Anche per tutto questo, 21 giugno a parte, 193 mila gio-vani laureati sono andati via dal Sud negli ultimi anni. Solo una avanguardia. La valigia come simbolo di un destino. Da la gazzetta del mezzogiorno