Approvata la relazione all’unanimità con 17 astensioni (area Giachetti-Ascani) Nella grande sala del Nazareno abbiamo seguito la prima Direzione dell’era Zingaretti. Innanzi tutto, il clima. Né entusiastico (ma perché avrebbe dovuto esserlo?) né depresso (idem come sopra).

Preoccupato per una situazione generale orrenda per il Paese, lievemente fiducioso scorgendo i piccoli segnali di ripresa. Spirito unitario senza annullare le differenze, come dimostra il voto una unanime a favore della relazione di Nicola Zingaretti con 17 astensioni dell’area Giachetti-Ascani. Nessun segno di “fuoco amico”. Lui, il nuovo segretario, ha parlato con calma su cosa si deve fare per risalire la china, malgrado il poco tempo a disposizione. Partiamo però dalla fine, dalla replica di Zingaretti.”Alla mezzanotte del 26 maggio il mondo e l’Europa guarderanno dove sarà arrivata la nostra colonnina. Il nostro simbolo sarà quello del Pd con un riferimento al gruppo Socialisti e democratici e la scritta ‘Siamo europei'”. Ecco come il Pd si presenterà alle Europee, elezioni decisive nelle quali “non va disperso un voto”, grazie a “liste aperte” che esprimano “il meglio dell’europeismo italiano”. Massima attenzione dunque alla qualità delle candidature più che alle alchimie partitiche. Tanto è ormai chiarito che la lista europea del Pd sarà aperta ma sarà del Pd, data l’indisponibilità dei soggetti contattati come +Europa. Carlo Calenda, presente alla relazione, soddisfatto per il richiamo a “Siamo europei” nel logo. Polemiche, zero. Se volete sapere di Renzi (che non c’era), non è stato mai citato. Allusioni sotto traccia qualcuna (Sandra Zampa, per esempio), ma non era aria. Anna Ascani ha svolto un intervento teso a rassicurare che “non esiste alcun fuoco amico: io sono in minoranza ma mi sento vincolata alle decisioni”, pur ovviamente rimarcando i distinguo sul giudizio del voto in Basilicata (“quando dico che il Pd ha perso non dico che ha perso il segretario, ho perso anch’io”). Un intervento preciso che ha dato il senso di un certo mutamento di clima, più pervaso dalla consapevolezza di doversi avviare su “una strada lunga” (Zingaretti) che da spiriti di rivalse retrospettive. Un lungo dibattito, anche complesso, persino approfondito su singole questioni (Damiano sul salario minimo, per esempio, Cuperlo con una serissima analisi sul conflitto politico europeo, Provenzano sulla Sicilia e il Sud dimenticato, Dal Moro, Benamati e Sereni sulle alleanze). Finalizzato soprattutto al da farsi. A come passare dal ruolo di pura, e necessaria, opposizione a quello di alternativa ai gialloverdi (a Lega e Cinquestelle, non solo a Salvini: la sottolineatura di Ascani è stata ripresa dal segretario), riuscendo – ha detto quest’ultimo – a costruire “la percezione che c’è un’altra strada”. Strada “lunga”, davanti al Pd. L’idea resta quella di “un campo che ripropone all’Italia un nuovo possibile bipolarismo: da una parte un centrosinistra con dentro un Pd da rafforzare e su cui scommettere, e dall’altro la destra”. C’è qualche possibilità in più. L’unità del Pd. I nuovi soggetti. la voglia di partecipazione di tanta gente. E attenzione: “il possibile sfarinamento del Movimento Cinque Stelle”. In questo quadro, il tema delle alleanze. Large, larghissime nelle battaglie elettorali locali (nei prossimi mesi saranno migliaia i comuni chiamati al voto): tutti d’accordo su questo, specie, com’è naturale, i dirigenti periferici. Questa idea del “campo largo” di cui parla Zingaretti pare ormai diventato il terreno di una discussione comune seppure non vi sia né potrebbe ancora esserci il massimo della chiarezza, stante la fluidità della situazione nella parte progressista dello schieramento politico dove infatti si affacciano nuovi soggetti, “buoni” già per le amministrative. Ha detto il leader del Pd: “C’è Pizzarotti e Italia in comune, liste civiche spesso legate a sindaci e ex sindaci che comunque sono stati argine allo sfondamento del centrodestra e di M5s, c’è +Europa, Democrazia solidale, un piccolo movimento legato all’associazionismo cattolico, c’è Articolo 1, c’è il Partito socialista. C’è una inaspettata reazione positiva che ogni giorno si esprime nel paese in tanti modi: la manifestazione di Milano, la manifestazione dei giovani, l’assemblea degli imprenditori, la risposta al congresso di Verona. Valutiamo se fare una grande assemblea nazionale di tutte e tutti i candidati sindaci dei tremila comuni per far vedere a casa che c’è un paese che si muove in sintonia”. Questo “non è propedeutico” a nulla di politicistico sul piano nazionale. Nella relazione aveva sottolineato infatti che “non si tratta di riportare indietro le lancette dell’orologio con ricomposizioni”, riferendosi soprattutto ad Articolo 1 e ai fuoriusciti dal Pd. E’ un processo insomma da verificare, da innescare, da inventare. Per il quale Zingaretti immagina una “fase costituente” che non sarà il laboratorio per la nascita di un nuovo partito ma per una profonda riforma del Pd, al termine del quale è persino possibile un “rimescolamento di carte” delle posizioni interne. Forse, un Congresso “vero”, o una conferenza organizzativa, quando sarà. Iniziando però da subito, a partire dalla necessità di un importante rafforzamento territoriale (“ricostruire e reinventare una forma per stare sul territorio”), tornando a puntare a “un nuovo radicamento sociale”. Si partirà con una mobilitazione prevista per inizio aprile (il 5, 6 e 7): tre giornate dallo slogan “Per Amore dell’Italia”, in cui il Pd si aprirà al tesseramento nelle strade di tutte le città italiane, “una mobilitazione del Pd dentro la pancia del Paese”. Ecco, la Direzione con Zingaretti segretario è andata così. Per il segretario, buona la prima.