SICUREZZA SOCIALE - POVERTA', DISUGUAGLIANZA,INCLUSIONE- DAL CNEL:"ESTREMO RITARDO ITALIA ( REI SOLO 2017). FINANZIARE POLITICHE SOCIALI CON FONDI NAZIONALI A GARANZIA PRESTAZIONI... SOSTEGNO FAMIGLIE E GIOVANI

"Il contrasto alla povertà, il superamento delle disuguaglianze e le politiche per l’inclusione richiedono interventi molteplici il cui pilastro centrale sono le politiche sociali, da finanziare adeguatamente con la dotazione dei fondi nazionali a garanzia delle prestazioni, a partire da quelle definite e da definire come livelli essenziali, e l’infrastruttura territoriale che garantisca uniformità e adeguatezza della rete dei servizi a governance pubblica in ogni regione”. E’ quanto sostiene il CNEL nel documento di Osservazioni e Proposte su “Povertà, disuguaglianze e inclusione”, in attesa di potersi esprimere sulle misure relative al reddito di cittadinanza. Il documento è emanato in ottemperanza dell’art. 10 della legge 936/1986 secondo cui il Consiglio “può formulare osservazioni e proposte di propria iniziativa sulle materie indicate dalla legge”. “L'Italia è in fortissimo ritardo sul contrasto alla povertà. La prima misura strutturale di contrasto è stata introdotta, con estremo ritardo, solo nel 2017 con l’introduzione del ReI. Con la crisi, che ha comportato un accrescimento dei bisogni di cura, inclusione e contrasto alla povertà, la dinamica della spesa socio-assistenziale, invece di segnare un incremento, ha registrato nel periodo 2013/2017 una tendenziale stagnazione, pur se con andamenti altalenanti, e peraltro si è andata riducendo in particolare proprio nella componente più importante del welfare territoriale e dei servizi”, si legge nel documento. “Tra i fattori che determinano la maggiore incidenza della povertà nelle famiglie con figli minori ci sono l’insufficienza e la frammentazione di prestazioni e servizi pubblici a sostegno dei figli, che siano capaci di favorire la piena occupazione dei genitori, in particolar modo delle donne. Sono necessarie pertanto politiche di conciliazione tra lavoro e responsabilità familiari che intervengano in maniera coordinata su congedi e permessi, sull’organizzazione del lavoro, su istituti innovativi disciplinati dalla contrattazione collettiva e, soprattutto, sul sistema dei servizi all’infanzia, che risultano ancora scarsamente diffusi”, aggiunge il CNEL. Rispetto ai Paesi UE, l’Italia investe molto meno per l’esclusione sociale rispetto al proprio Pil (0,77% contro 1,8 %), per la famiglia ed i minori (5,98% contro 8,08%) per l’abitazione (0,12% contro 1,5%) (dati Eurostat 2018). Secondo la Corte dei Conti, infatti, nel 2017 la spesa per prestazioni assistenziali della Pubblica Amministrazione era composta per 38,2 miliardi da misure in denaro e soltanto poco più di 10 miliardi in servizi, per lo più a carico dei Comuni. Tra i principali dati socio economici all’origine dell’incremento dell’incidenza della povertà assoluta e relativa c’è l’andamento della distribuzione dei redditi negli anni della crisi che ha visto un’ulteriore crescita della disuguaglianza, certificata dall’aumento dell’indice di Gini da 0,31 a 0,33 tra il 2008 e il 2016. “Riteniamo fondamentale l’adozione di politiche pubbliche per l’inclusione educativa, sociale e lavorativa che operino in stretto coordinamento tra loro con la pluralità di strumenti, prestazioni e servizi necessari a ciascuna politica, a partire dalla diffusione e qualificazione del sistema di servizi per le famiglie con carichi di assistenza e cura e per la prima infanzia (integrato con lo 0-6 e del tempo pieno per l’inclusione educativa) e dal rafforzamento degli strumenti per il contrasto alla povertà assoluta e delle politiche attive per l’inserimento lavorativo", conclude il documento del CNEL. iN PARTICOLARE, si legge nel documento: L’Istat ha stimato in povertà assoluta, nel 2017, 1 milione 778 mila famiglie residenti per un totale di 5 milioni e 58 mila individui, con una incidenza del 6,9% per le famiglie e 8,4% per gli individui. Valori, in crescita rispetto al 2016 ed i più alti della serie storica (dal 2005). La povertà relativa riguarda 3 milioni e 171 mila famiglie residenti (12,3%) e 9 milioni 368 mila individui (14,0%). In entrambi i casi si registra un’incidenza maggiore nelle regioni del Mezzogiorno (10,3% povertà assoluta, 24,7% povertà relativa), in un quadro generale che vede aumentare la povertà in tutte le aree del Paese e una maggiore incidenza tra le famiglie di soli stranieri regolarmente residenti (29,2% povertà assoluta e 34,5% povertà relativa). I recenti dati Eurostat relativi al rischio povertà ed esclusione sociale confermano l’acuirsi di una situazione del nostro Paese già caratterizzata da forti squilibri nella distribuzione del reddito e di ampie sacche di povertà. Infatti l’indice già elevato nel 2008, era pari al 25,5% della popolazione, è salito fino al 28,9% del 2017, pari a quasi 17 milioni e mezzo di persone, ciò in controtendenza rispetto a quanto accaduto nel complesso dell’Unione Europea dove si è una riduzione nel medesimo periodo dal 23,7 % al 22,5%. In Italia peraltro tutte le componenti di questo indice (rischio povertà, grave deprivazione e bassa intensità lavorativa) sono peggiorate. Il profilo della povertà è peraltro radicalmente mutato rispetto alla situazione pre-crisi perché, secondo i dati Istat è caratterizzato: da una maggiore incidenza delle famiglie numerose, in particolare con figli minori; dall’emergere del fenomeno in misura significativa anche in aree del paese precedentemente meno coinvolte (in particolare al centro - nord), da un coinvolgimento non più solo delle persone fuori del mercato del lavoro (working poor ) o con una bassa scolarizzazione e da una crescita esponenziale nelle fasce più giovani della popolazione, soprattutto, tra i minori. Tra i fattori che determinano la maggiore incidenza della povertà nelle famiglie con figli minori vi è la insufficienza e frammentazione di prestazioni e servizi pubblici a sostegno dei figli che favoriscano la piena occupazione dei genitori, in particolar modo delle donne. Sono necessarie pertanto politiche di conciliazione tra lavoro e responsabilità familiari che intervengano in maniera coordinata su congedi e permessi, sulla organizzazione del lavoro, su istituti innovativi disciplinati dalla contrattazione collettiva e, soprattutto, sul sistema dei servizi all’infanzia. Questi ultimi risultano ancora scarsamente diffusi, con riferimento alle diverse tipologie qualitativamente appropriate in relazione alle diverse fasce di età, ed eccessivamente onerosi, per cui non viene scongiurata la catena di trasmissione intergenerazionale della povertà, generata in particolare dalla disuguaglianza di opportunità in età scolare, e la dispersione scolastica. Tra i principali dati socio economici all’origine dell’incremento dell’incidenza della povertà assoluta e relativa c’è l’andamento della distribuzione dei redditi negli anni della crisi che ha visto un’ulteriore crescita della disuguaglianza, certificata dall’aumento dell’indice di Gini da 0,31 a 0,33 tra il 2008 e il 2016. Una crescita dovuta ad un calo molto più forte, durante la crisi, dei redditi del 10% più povero della popolazione (intorno al 35% a fronte di una media sensibilmente inferiore al 10% per le altre classi reddituali), cui non sono corrisposte adeguate politiche pubbliche di sostegno ai redditi e all’occupazione. La rete pubblica dei servizi per il lavoro è composta da 501 Centri per l’impiego principali, da cui dipendono ulteriori 51 sedi secondarie e 288 sedi distaccate o sportelli territoriali. La spesa pubblica destinata a finanziarie i servizi per il mercato del lavoro in percentuale del PIL, nel 2015, è stata dello 0,04%, rispetto allo 0,36% della Germania e lo 0,25% della Francia, in termine di spesa per disoccupato e forza lavoro potenziale, in Germania la spesa è stata di circa 3.700 euro pro-capite, in Francia di circa 1.300 euro, in Italia di circa 100 (Anpal, 2017). l Il ritardo strutturale nell’infrastruttura pubblica delle politiche attive è certificato, inoltre, dai dati relativi all’elevato rapporto tra operatori e persone in cerca di occupazione, un rapporto ostativo di un’adeguata presa in carico. A questi dati sulla cresciuta e crescente porzione di popolazione in condizione di povertà e a rischio povertà, che coinvolge in misura maggiore determinate segmenti di popolazione, si sommano quelli sull’immobilità sociale del Paese che lasciano presagire una cristallizzazione della situazione in assenza di un deciso intervento pubblico: circa il 60% dei figli di genitori con un basso grado di istruzione, resta con lo stesso livello; il 40% dei figli di lavoratori manuali, ha un lavoro manuale, il 31% di chi ha genitori con basse retribuzioni, percepisce basse retribuzioni (fonte: Ocse 2018). La prima misura strutturale di contrasto alla povertà, in Italia, è stata introdotta, con estremo ritardo, solamente nel 2017 con l’approvazione del decreto 147/2017 Disposizioni per l’introduzione di una misura nazionale di contrasto alla povertà (ReI), entrata in vigore il 1 gennaio 2018. I dati forniti dall’Inps sui beneficiari del Reddito di Inclusione (aggiornati al 19 luglio 2018) mostrano che nel I semestre 2018 sono stati percettori della misura 266.653 nuclei familiari (in prevalenza con presenza di minori: 168.580), per un totale di 840.745 individui coinvolti, con un importo medio di 307,99 euro. A questi potremmo aggiungere le 44.249 famiglie che fanno ricorso alla vecchia misura sperimentale (il SIA), ma che in gran parte potranno trasformare nel REI, ottenendo un numero di famiglie superiore a 310.000, ovvero oltre un milione di individui. Si tratta di una quota assai rilevante (oltre il 60%) delle famiglie potenzialmente interessate, stimate dal governo pari a 500.000. Dal 1 luglio 2018, la misura è condizionata al soddisfacimento dei soli requisiti economici, divenendo così potenzialmente universale. Dal 1 gennaio 2019, a normativa vigente, l’erogazione del beneficio economico previsto dalla misura non sarà erogato se non dopo aver sottoscritto un progetto personalizzato predisposto in seguito alla valutazione del servizio sociale del Comune, il cui ruolo diviene cruciale nell’identificazione della causa o delle cause (nel qual caso di deve attivare un’equipe multidisciplinare) che hanno causato la condizione di povertà. La realizzazione della misura di contrasto alla povertà, prevedendo la presa in carico da parte dell’équipe, investe dopo anni sulla rete dei servizi sociali territoriali ed in particolare nel potenziamento del Servizi o sociale professionale. Il parametro a cui gli ambiti territoriali dovranno adeguarsi nel triennio è di 1 assistente sociale per 5000 abitanti. I dati attuali, parziali, mostrano come tale proporzione non sia raggiungibile in molte regioni. La tabella mostra infatti tutti gli Assistenti sociali che dichiarano (dato CNOAS) di esercitare presso Enti locali, ma non tiene conto né dei professionisti incaricati di attività direttiva, di coordinamento o di back office (quindi non a diretto contatto con la popolazione) e non può dirci quanti di questi sono in astensione dal lavoro per maternità, malattia o altro incarico. Vanno quindi considerate queste cifre come stimate per eccesso. Un riferimento può essere anche il numero di Assistenti sociali suddivisi per comune, la proporzione è di poco superiore a 1 mostrando i limiti della struttura. Risorse per l’inclusione sociale nell’ambito della protezione sociale. La spesa per la protezione sociale italiana pur essendo sostanzialmente in linea in rapporto al Pil con la media dei Paesi UE a 19 (29,9% rispetto al 29,3%) ha una incidenza della spesa pro capite inferiore. Se analizziamo questa spesa nella ripartizione per tipo di bisogno, emerge che nel confronto con la media UE il nostro Paese investe molto meno per l’esclusione sociale rispetto al proprio Pil (0,77% contro 1,8 %), per la famiglia ed i minori (5,98% contro 8,08%) per l’abitazione (0,12% contro 1,5%) (dati Eurostat 2018). Sempre considerando il medesimo confronto emerge che la percentuale di prestazioni sociali in natura (quindi sostanzialmente servizi) risulta in Italia molto bassa, così come assai contenuta è la spesa sociale sottoposta alla prova dei mezzi. Con la crisi - che ha comportato un accrescimento dei bisogni di cura, inclusione e contrasto alla povertà – la dinamica della spesa socio assistenziale invece di segnare un incremento ha registrato nel periodo 2013/2017 una tendenziale stagnazione (pur se con andamenti altalenanti) e peraltro si è andata riducendo in particolare proprio nella componente più importante del welfare territoriale e dei servizi.Secondo la Corte dei Conti infatti nel 2017 la spesa Per prestazioni assistenziali della Pubblica Amministrazione era composta per 38,2 miliardi da misure in denaro e soltanto poco più di 10 miliardi in servizi, per lo più a carico dei Comuni. Risulta pertanto molto importante il ruolo dei Fondi nazionali finalizzati a sostenere gli interventi ed i servizi sociali territoriali: - Nazionale Politiche Sociali - Non autosufficienza - Dopo di Noi” - Caregivers familiari” - lotta alla Povertà e esclusione sociale - Famiglia - Infanzia ed adolescenza (Città riservatarie) - Politiche giovanili - Pari opportunità - piano antiviolenza - Centri antiviolenza e case rifugio Per entrare maggiormente nello specifico delle dotazioni dei maggiori Fondi: Il Fondo Nazionale per le politiche sociali, per il 2018, ammonta a 275,9 milioni di euro, per l’anno 2019 e 2020 di 280,9 milioni di euro, importo che secondo quanto stabilito dalla Rete per la protezione e l’inclusione sociale, sarà destinato almeno per il 40% al rafforzamento degli interventi e dei servizi nell’area dell’infanzia e dell’adolescenza. Il Fondo per le non autosufficienze ha una dotazione di 450 milioni di euro annui per il triennio 2018-2020, così come il fondo Caregiver può contare su 20 milioni annui. L’ammontare del Fondo Dopo di Noi è di 51,1 milioni per il biennio 2018 -2019, incrementato a 56,1 per il 2020. Il Fondo infanzia e adolescenza destinato ai comuni riservatari è di 28,3 milioni di euro per il 2018, incrementati a 28,8 per il biennio 2019-2020. Il Fondo Nazionale per la lotta alla povertà per il 2018 ha una dotazione pari a 2.059 milioni di euro, per l'anno 2019 pari a 2.545 milioni di euro e a decorrere dall’anno 2020 pari a 2.745 milioni di euro, cui si aggiungono le risorse del PON inclusione. Complessivamente, quindi, considerando sia gli stanziamenti previsti nel bilancio del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali che del Ministero dell’Economia e delle Finanze le risorse stanziate per lo sviluppo del sistema dei servizi alla persona ammontano per il 2018 a poco più di 3,3 miliardi di euro, con un andamento che ha ripreso una dinamica in crescita, dopo aver subito, come già accennato, pesanti riduzioni proprio negli anni della crisi economica e delle manovre di spending review Dal 2013 infatti vi è stata una inversione di tendenza che ha permesso un parziale recupero e dal 2015 la stabilizzazione di alcuni Fondi ed il varo del Rei con la quota destinata allo sviluppo dei servizi ha permesso anche un avvio nella definizione dei livelli essenziali. Il quadro complessivo però risulta ancora caratterizzato da risorse insufficienti ed incapaci di superare i gap territoriali, eccessivamente frammentato e con un andamento instabile che induce incertezza nella programmazione dei vari livelli di governo del sistema. Anche la spesa sociale dei comuni, aggiornata al 2015, (cfr. Corte dei Conti) che era pari a circa 7 miliardi, è tornata soltanto negli ultimi anni ai valori del 2010 dopo anni di flessione (mentre la spesa pro capite risulta ancora inferiore a quella del 2009). Ciò ha comportato un contemporaneo arretramento dei servizi rispetto alla domanda potenziale. Peraltro non accenna a diminuire la già profonda divaricazione sia nella distribuzione delle risorse tra le Regioni e a volte anche all’interno delle stesse, come anche nella diffusione e copertura dei servizi e si evidenzia, infine, una concentrazione di interventi rivolti alle politiche per la famiglia e i minori (38,6%), soprattutto legata ai servizi alla prima infanzia. Pertanto, va investito ulteriormente per contrastare diseguaglianza e povertà e garantire quella “tenuta sociale” che è presupposto della crescita sostenibile ed inclusiva al centro delle stesse strategie europee e degli obiettivi definiti dall’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile dell’Onu. Politiche da attuare. Il contrasto alla povertà, il superamento delle disuguaglianze e le politiche per l’inclusione richiedono interventi molteplici il cui pilastro centrale sono le politiche sociali, da finanziare adeguatamente con la dotazione dei Fondi nazionali a garanzia delle prestazioni (a partire da quelle definite e da definire come Livelli Essenziali) e l’infrastruttura territoriale che garantisca uniformità e adeguatezza della rete dei servizi a governance pubblica in ogni Regione. Riteniamo fondamentale, data la complessità dei fenomeni in esame, l’adozione di politiche pubbliche per l’inclusione educativa, sociale e lavorativa che operino in stretto coordinamento tra loro con la pluralità di strumenti, prestazioni e servizi necessari a ciascuna politica, a partire dalla diffusione e qualificazione del sistema di servizi per le famiglie con carichi di assistenza e cura e per la prima infanzia (integrato con lo 0-6 e del tempo pieno per l’inclusione educativa) e dal rafforzamento del ReI per il contrasto alla povertà assoluta e delle politiche attive per l’inserimento lavorativo. Definizione dei livelli essenziali delle prestazioni Il ReI è un primo passo nella definizione dei livelli essenziali e nella promozione della strutturazione del pilastro più debole del nostro sistema di welfare, quello dei servizi per l’inclusione sociale , ma è necessario procedere all’individuazione di tutti LEP, a partire da quanto previsto dalla legge 328/2000, e da interventi strutturali che rafforzino l’intero sistema di welfare locale affrontando povertà e disuguaglianze per quello che sono: fenomeni complessi che richiedono interventi “multidisciplinari” da parte del sistema pubblico. Le cause che possono condurre le persone in condizioni di povertà sono molteplici e non si attestano alla sola condizione reddituale o di non occupazione, ma possono essere legate a condizioni di salute, formative, abitative... È necessario, dunque, definire (una normativa quadro nazionale che assicuri), anche attraverso passaggi intermedi graduali, i Livelli Essenziali delle Prestazioni da garantire su tutto il territorio per superare le sperequazioni generate dalla attuale profonda divaricazione dei sistemi territoriali delle politiche sociali e prevenire un’ulteriore diversificazione dei servizi pubblici che potrebbe verificarsi con la concessione di ulteriori forme di autonomia ad alcune regioni. Una legislazione nazionale di riferimento che assicuri l’uniformità dei diritti sociali fondamentali, da cui ciascun territorio, secondo le proprie peculiarità, possa partire per produrre avanzamenti. Tra i Livelli Essenziali delle Prestazioni da definire, sono prioritari anche alla luce dei dati evidenziati, quelli relativi ai servizi socio-educativi per la prima infanzia nell’alveo del sistema integrato 0-6, con l’obiettivo che siano presenti in modo omogeneo sul territorio nelle diverse tipologie, di qualità ed accessibili. Ciò unitamente al rafforzamento sia degli strumenti di natura fiscale per sostenere le famiglie con figli, specie se numerose e con cari chi di cura, sia dei permessi e congedi remunerati a motivo della cura di figli, a partire dal congedo parentale e dai permessi di paternità e sostenendo la contrattazione collettiva dedicata al tema. Incremento della dotazione dei Fondi nazionali per le politiche sociali, loro coordinamento e programmazione partecipata I dati presentati mostrano la necessità di incrementare strutturalmente la dotazione dei Fondi nazionali e di attivare criteri e regole che ne favoriscano il coordinamento ed una programmazione pluriennale multilivello, adottando meccanismi di ripartizione che tengano conto di indicatori socioeconomici, oltre che demografici. Vanno pertanto incrementati i principali Fondi nazionali, in particolare quello per la lotta alla povertà, al fine di allargare la platea dei potenziali beneficiari a tutte le famiglie in povertà assoluta e aumentare gli importi del beneficio in misura adeguata a permettere alle famiglie l’uscita da tale condizione e potenziare i servizi per l’inclusione; quello per le Non autosufficienze (condizione che comporta un forte rischio di povertà ed esclusione) per dare sostanza ad un Piano nazionale integrato sociosanitario ed alla definizione dei Lesna. Ciò in vista di una normativa quadro che riformi e potenzi l’intero settore della “Long Term Care” (LTC), quello delle politiche sociali per sostenere le azioni di sistema ed i servizi socio educativi all’infanzia più fragile. Inoltre, vanno rafforzati gli strumenti di coordinamento e pianificazione nazionale multilivello a partire dallo sviluppo della Rete della Protezione e Inclusione Sociale istituita dal decreto 147/2017, coinvolgendo attivamente le parti sociali nella definizione della programmazione e progettazione degli interventi a tutti i livelli territoriali. Un utile strumento in tal senso sarebbe l’implementazione , prevista anch’essa dalla legge 328/2000, di “un sistema informativo dei servizi sociali”, così come ridefinito dal Decreto Legislativo 147/2017 per assicurare una compiuta conoscenza dei bisogni sociali, del sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali per poter disporre tempestivamente di dati ed informazioni necessari alla programmazione, alla gestione e alla valutazione delle politiche sociali, per la promozione e l'attivazione di progetti europei, per il coordinamento con strutture sanitarie, formative, con le politiche del lavoro e dell'occupazione. Un sistema integrato che sia funzionale alla valutazione e al monitoraggio delle politiche attuate e del mutare delle esigenze per intervenire con i correttivi necessari. In un quadro di sistema è rilevante valutare l’effettiva capacità di incidere dei diversi trasferimenti economici. È noto come sia necessaria, infine, una riflessione sulla spesa per la protezione sociale che contemperi i trasferimenti economici con la presenza di efficaci servizi di attivazione e supporto. L’integrazione dei vari interventi dovrebbe consentire l’inclusione sia delle persone in difficoltà, sia evitare processi di esclusione di eventuali caregivers Strutturare la rete dei servizi territoriali per l’inclusione Deve esistere una correlazione imprescindibile tra misure individuate, dotazione dei Fondi e rete dei servizi pubblici locali da rafforzare, a partire dal raggiungimento degli obiettivi già individuati dai LEP (dove definiti), per creare una infrastruttura di governance pubblica capace di fare sistema con le risorse di privato sociale e volontariato per rispondere a bisogni e aspettative dei potenziali beneficiari, con una presa in carico ed un accompagnamento attivo che sia realmente multidisciplinare e non limitata a misure esclusivamente assistenziali, ma di inclusione sociale e lavorativa. Condizione essenziale per realizzare questo sistema integrato di servizi pubblici è lo sbocco del turn over nella P.A., incrementando gli organici per i Comuni (servizi sociali) e le Regioni (Cpi) e assicurare, come previsto dalla normativa sul ReI, la gestione associata dei servizi sociali (questa riguarda ad oggi solo circa la metà degli ambiti territoriali) e garantire forme di collaborazione e cooperazione tra servizi a partire dalla determinazione di confini omogenei per gli ambiti sociosanitari e le politiche del lavoro. Le medesime logiche di integrazione dovrebbero riguardare il necessario coordinamento con i servizi sanitari per garantire continuità assistenziale, valutazione multidisciplinare e presa in carico attraverso competenti equipe territoriali e percorsi assistenziali socio sanitari. Come detto il contrasto dell’esclusione e della marginalità è possibile laddove vi siano servizi capaci di integrare professionalità e risorse pubbliche e di terzo settore. (07/01/2019-ITL/ITNET)