Ci siamo. Con la presentazione delle candidature e delle mozioni si può dire che il Congresso nazionale del Partito Democratico sia finalmente aperto. Lasciamoci alle spalle le incertezze, le polemiche sui tempi, le scaramucce:

oggi sappiamo che la partita sarà tra Nicola Zingaretti e Maurizio Martina. Altre candidature arricchiranno il panorama nella prima fase di discussione tra gli iscritti nei circoli ma poi solo tre arriveranno alle primarie ed è più che prevedibile che la competizione si polarizzerà tra i due principali candidati. Per chi sperava in un congresso che non desse un vero vincitore alle primarie e rinviasse ad un accordo in Assemblea questo scenario forse risulterà sgradito. Io penso invece che per il Partito Democratico la prospettiva di una scelta chiara, affidata alla partecipazione aperta del popolo di centrosinistra, sia un'occasione positiva, il primo passo della ricostruzione dopo le amare sconfitte di questi anni e di rilancio della nostra funzione nel Paese e nelle istituzioni. Alla luce di quanto è accaduto nelle ultime settimane, con il ritiro della candidatura di Minniti, la decisione di gran parte dei renziani di convergere su Martina e quella di Giachetti di candidarsi a rappresentare un'altra anima dell'area renziana, mi sembra che il quadro sia politicamente chiaro. C'è una candidatura - quella di Nicola Zingaretti - che nasce dall'esigenza di un cambiamento radicale del Pd. In termini di idee e proposte, per tornare vicini alle persone e indicare una visione nuova dell'Italia e dell'Europa, e in termini di volti, di persone, di organizzazione del partito e del campo più largo dei democratici. E' una candidatura che guarda al futuro, che apre alla società, al mondo delle associazioni e del volontariato laico e cattolico, al civismo, alle tante risorse del mondo del lavoro, delle imprese, della cultura che vogliono combattere contro i disastri del governo giallo-verde e dare una speranza diversa all'Italia. Non c'è nessuna abiura dell'esperienza di questi anni, tanto che a sostenere questa candidatura ci sono Paolo Gentiloni, Dario Franceschini, Piero Fassino, Roberta Pinotti, Marianna Madia, Andrea Orlando, e tanti altri dirigenti del Pd che hanno sostenuto con lealtà e serietà lo sforzo fatto dai governi a guida Pd. C'è però attorno a questa candidatura la capacità di leggere anche i limiti di questa esperienza e gli errori soggettivi che abbiamo commesso nella lettura di ciò che stava accadendo nella società italiana, e in particolare nelle sue aree più fragili ed esposte alla crisi e alle conseguenze della globalizzazione e della rivoluzione tecnologica. Poi c'è l'altra candidatura principale, quella di Maurizio Martina, in prima persona impegnato nei governi della passata legislatura, vice segretario di Renzi al precedente congresso e segretario nazionale negli ultimi mesi. Non credo si faccia un torto alla sua persona nel dire che la sua esperienza è oggettivamente più legata alla stagione del renzismo, né credo sia casuale che molti dei protagonisti principali di quella stagione politica si troveranno nelle liste a suo sostegno. Niente di male, anzi. Credo che questo aiuti a fare un congresso vero non "su Renzi" - che sarebbe sbagliato e inutile - quanto piuttosto su cosa e come dobbiamo fare per recuperare i consensi perduti, su dove vogliamo portare il Pd, sul grado di discontinuità che è necessario per ridare al Pd la funzione essenziale di perno dell'opposizione e dell'alternativa. Una funzione essenziale non per il Pd ma per la democrazia italiana ed europea. Da domani tutti potranno leggere le mozioni dei diversi candidati. Saranno sicuramente tutte proposte di qualità e di livello, e immagino che ci saranno molti punti in comune. Per fortuna, dico io. Perché siamo tutti nello stesso partito e perché credo che tutti ci debbano rimanere. Il congresso non serve a decidere chi "comanderà" tutto dal 4 marzo 2019 in poi. Il congresso serve a scegliere l'orizzonte e la direzione di marcia principale, sapendo che un partito che ambisce ad aprirsi e a diventare più grande - per combattere meglio la nuova destra egemone al governo del Paese - non può consentirsi nuove e laceranti scissioni. Al nuovo leader del nuovo Pd che abbiamo in mente spetterà anche il compito di ridare senso ad una comunità politica, di riscoprire il valore della condivisione, della collegialità e dell'unità. Anche su questo terreno credo che la proposta di Nicola Zingaretti si caratterizzi per maggiore novità e solidità. Mi aspetto e mi auguro un confronto civile ma franco, serio, serrato. Se le differenze emergeranno non come caricature delle proposte altrui sarà un bene per il Pd e aiuterà la partecipazione degli iscritti e soprattutto degli elettori. In un momento così difficile della vita del nostro partito e del centrosinistra molto si giocherà sulla capacità di rendere questo congresso interessante per la larga opinione pubblica e per il popolo di centrosinistra, anche quella parte di esso che ci ha abbandonato nelle ultime elezioni. A questo proposito non si può non sottolineare con preoccupazione la situazione di caos e di conflitto che si sta manifestando attorno al congresso regionale e ai congressi territoriali in Sicilia. Una regione in cui governa la destra e in cui quasi un elettore su due alle ultime politiche ha votato per il M5S. Se uno dei candidati alla segreteria regionale, la nostra amica Teresa Piccione, arriva a ritirare la sua candidatura denunciando l'assenza di condivisione sulle regole non è un fatto che può lasciare indifferenti. Stiamo parlando di una terra importante in cui il Pd e il centrosinistra si sono sempre giocati molto negli equilibri nazionali. Ritengo che un'assunzione di responsabilità nazionale, un gesto che aiuti a ristabilire un clima di maggiore serenità e civiltà nel confronto, sia un obiettivo ancora possibile, un tentativo doveroso al quale tutti i principali esponenti nazionali del Pd dovrebbero concorrere in queste ore.