Il Ministro e Vice premier Di Maio, coltivando la sindrome da annuncio che distingue lo stato di salute del governo giallo-verde, ha anticipato che il reddito di cittadinanza, se mai vedrà la luce, sarà erogato probabilmente tramite la tessera sanitaria

e toccherà non solo agli italiani residenti ma anche a “tutti gli stranieri residenti da oltre 10 anni in Italia”. Poiché si tratta dell’ennesima giravolta, dopo che lo stesso Di Maio aveva annunciato che gli stranieri ne sarebbero stati esclusi, non è azzardato pensare che le cose potranno ancora cambiare. Comunque, proviamo a ragionare su quest’ultima versione. Il fatto di estenderlo a tutti i residenti da almeno 10 anni serve certamente a superare le difficoltà di ordine costituzionale ed europeo derivanti dalla discriminazione di alcune categorie di persone, in particolare gli stranieri cittadini di stati comunitari e gli stranieri con regolare permesso di soggiorno, tanto più se sono cittadini di paesi che hanno accordi di sicurezza sociale con l’Italia. Ma se un italiano residente all’estero perdesse il lavoro e rientrasse in Italia e avesse bisogno di ricorrervi? Cosa succede? Prevale il criterio della cittadinanza, anche se posseduta all’estero, o scatta il taglione dei dieci anni di residenza? E non è l’unico interrogativo. Che cosa accadrà in termini di reciprocità con quei paesi che ai cittadini italiani assicurano, come la Germania, analoghe prestazioni dopo cinque anni, quando vedranno ricambiati i loro cittadini con criteri sostanzialmente ineguali? E che senso ha continuare a fare accordi di sicurezza sociale con paesi disposti a riconoscere situazioni di vantaggio agli italiani quando i loro connazionali si vedranno trattati in questo modo? Insomma, l’impressione è sempre di più quella di essere nelle mani di una banda di mandolinisti dilettanti che, per ogni corda che toccano, non emettono una sola nota intonata. Siamo in attesa, comunque, della prossima uscita. Vediamo dove andremo a parare.