(SA) - “Stracciamo lo statuto. Sciogliamolo e rifondiamolo, mi rivolgo a tutti, il PD come è oggi non funziona”. Così Orfini, presidente del PD oggi, ultimo in ordine di tempo, vuole liquidare il PD, per costruire un soggetto nuovo. Ma gli Orfini, i Calenda, i Renzi, tutti i fautori di un nuovo soggetto politico, hanno chiaro in mente che cosa ciò significhi?

E’ un problema di sigle oppure è un problema di contenuti? E’ un problema di nome o è semplicemente un problema di uomini e di classe dirigente? Possibile che la lunga metamorfosi della sinistra italiana non abbia mai fine? Solo per ricordarla intanto a me stesso, la metamorfosi comincia nel 1991, quando Achille Accetto, allora ultimo segretario del PCI, ebbe una grande intuizione su quello che sarebbe successo con lo sfasciamento dell’Unione Sovietica e con la caduta del muro di Berlino. Legando questi fatti a quanto stava succedendo in Italia con la vicenda mani pulite, decise che era tempo di cambiare nome. Anche allora, io ebbi grosse perplessità sul cambiamento del nome, perché da tempo il PCI si era allontanato dalla politica sovietica ed aveva avuto grande parte sia nella costruzione della Repubblica Italiana, ricordiamo la lunga guerra di resistenza, che nel rilanciare una nuova via al socialismo, che poi diede origine all’eurocomunismo. Già Togliatti, nel suo memoriale di Yalta, parlava di un socialismo diverso, staccato dall’Unione Sovietica e più vicino ai partiti socialisti europei. Un distacco che continuò con Berlinguer, artefice della terza via e di altre positive idee di socialismo. La metamorfosi, venne portata avanti, come detto prima, da Occhetto, che volle chiudere la fase del PCI, traghettando la sua storia e le sue tradizioni nel PDS, nato a Rimini il 3 febbraio del 1991, quando si tenne il XX ed ultimo congresso del PCI. Questa prima importante decisione, venne presa dopo un lungo dibattito che coinvolse tutto il partito e che in ogni caso aveva come progetto politico fondamentale quello di riunire la sinistra riformista in Italia per fare un grande partito socialista da portare all’interno del Partito Socialista Europeo. Come tutti i processi politici di grandi cambiamenti, anche quello portò ad una scissione ed alla nascita di altri partiti di sinistra a partire da quello della Rifondazione Comunista. Un grande progetto politico era comunque iniziato, ma non servì certo ad unire tutte le forze di sinistra. Il PDS, che aveva come simbolo la quercia e che dalle sue radici spuntava ancora visibile la falce e martello del vecchio PCI, nel 1998 cedeva il passo al DS subendo una ulteriore trasformazione anche nel simbolo, dal quale spariva la falce e martello abbinata alla quercia e veniva rimpiazzata dalla rosa rossa simbolo del socialismo europeo. Ma il progetto originario di aggregare le forze di sinistra e riformiste presenti in Italia, resisteva ancora e lo si era visto nella convocazione degli Stati Generale della Sinistra, che dava un nome a “la cosa 2” facendola diventare DS. Alla direzione del DS si alternavano Veltroni a cui subentrava Fassino nel 2001. Intanto il processo andava avanti, ma non nella direzione sperata. L’altra grande forza politica, quella della DC, aveva anch’essa subito profonde spaccature e modifiche. Dalla folla di sigle che ne erano venute fuori, si era arrivati al Partito Popolare Italiano (PPI) a Democrazia e libertà La Margherita, ai Democratici di Prodi, al Rinnovamento Italiano. Nel 2007, dopo l’avvento di Berlusconi e di Forza Italia, che era riuscito a prendere il potere nel 1994, perso poi nel 2006 in favore dell’Ulivo che elesse Prodi a Presidente del Consiglio. E’ da notare comunque, che tutte le alleanze sia di destra che di sinistra nascono non solo e non certo per affinità politica, ma soprattutto per alleanze elettorali che mirano a due obiettivi fondamentali: la presa del potere e la concentrazione delle forze politiche italiane altamente frammentate, nella prospettiva di dare vita ad un bipolarismo che presumibilmente avrebbe dovuto garantire una maggiore governabilità e la progressiva scomparsa delle tante sigle politiche che costellavano il cielo politico italiano. A sinistra intanto, la metamorfosi politica non si ferma. I contatti e gli incontri per dare vita ad una forza di centro sinistra continuano. A differenza del primo cambiamento voluto da Occhetto che pervenne anche al cambio del nome del partito, quando vi fu un lungo ed articolato dibattito che coinvolse tutte le strutture del partito, gli incontri per dare vita al nuovo soggetto, si ebbero solo a Roma e comunque a livello di vertice, senza un dibattito che coinvolgesse la base dei due partito che costituivano il grosso della fusione. Si arrivo così nel 2007 sotto la direzione di Piero Fassino nei DS e di Francesco Rutelli nei Centristi della Margherita, quando sa fa nascere il PD. Un partito di centro sinistra molto articolato quello che nasceva, in esso infatti entravano oltre agli ex DS che erano la grande maggioranza, gli ex centristi della Margherita, gli ex DC di sinistra, alcuni ex socialdemocratici, alcune ex liberali, alcuni ex repubblicani ed alcune ex radicali. Alcuni dei nuovi arrivati avevano anche una storia molto variegata, come Rutelli ad esempio che veniva dai radicali o Gentiloni che d arrivava al PD dopo un passaggio dal PDUP e dai Verdi. Non era certo facile tenere assieme tante tendenze, tante sensibilità che rischiavano di fare diventare il nuovo soggetto politico una sorta di torre di babele. Ma la cosa peggiore per i due soci di maggioranza della nuova alleanza: il DS e la Margherita, fu quella di procedere ad una fusione a freddo, senza coinvolgere la base, senza avviare un confronto con e tra i propri iscritti. Oggi, dopo varie vicende, si arriva a proporre di andare oltre il PD per dirla con Calenda e si chiede lo scioglimento strappandone anche lo statuto, per dirla con Orfini ultimo arrivato nell’elenco dei richiedenti lo scioglimento. A questo punto, nasce la domanda: cosa facciamo dopo lo scioglimento del PD? Facciamo un ulteriore nuovo soggetto politico (XY) con quali dirigenti? Con gli stessi di oggi? Con quelli che hanno portato allo sbando un partito che avrebbe dovuto poggiare su fondamenta solidissime e che invece si è fatto di tutto per abbattere tali fondamenta? Che avrebbe dovuto trarre forza e linfa vitale dalla proprio storia fatta dalla fusione di due grandi tradizioni politiche, quella comunista e quella cattolica progressista, che invece si è fatto di tutto per disconoscere, per cancellare quasi ci si vergognasse? Qui è il caso di chiama in soccorso Indro Montanelli che ha detto: “Un popolo che ignora il proprio passato, non saprà mai nulla del proprio presente”. O più semplicemente affermare che chi si ostina a volere cancellare il proprio passata, la propria storia, non ha speranza di costruire un futuro. Il PD è in crisi non certo perché si porta quel nome, ma perché ha dei dirigenti che non hanno saputo interpretare i bisogni della gente, perché non hanno saputo comunicare nemmeno le cose buone, e ce ne sonos tate, fatte dai governi a direzione PD, perché i dirigenti moderni che nascono spesso direttamente in direzione senza essere passati per la vita di sezione, non hanno l’abitudine di ascoltare la gente, di conoscere i loro bisogni, le loro esigenze. Visti che gli ideali vacillano, perché dalla politica arrivano solo segnali di trasformismo e di arrivismo, aumenta le necessità di tornare in mezzo alla gente, di riaprire i circoli, le sezioni, di tornare a fare politica parlando con le persone, interpretando i loro bisogni, discutendo con loro le soluzioni. Si vuole fare un nuovo partito? Con quali dirigenti? Con quale programma? Attorno a quale progetto politico? SI vuole riunire la sinistra e le forze progressiste o si vuole a continuare ad avere la puzza sotto il naso ed applicare la formula chi non è con me è contro di me? Perché se fosse solo un problema di sigle, ne abbiamo cambiate ad iosa. Credo invece che è in problema di classe dirigente inadeguata che deve cambiare passo e tornare tra la gente, capire quali interessi vuole rappresentare se quelli del mercato e del neoliberismo o quelli del popolo dei lavoratori, considerando la classe operaia per quella che oggi è: operai, classe media, laureati, diplomati che si affacciano nel mondo del lavoro e che vogliono trovare soluzione al proprio problema esistenziale. Tornare fra la gente e riconquistare le periferie urbane dove la gente si è stancata della politica, dove hanno avuto presa facile sia la Lega che ha cavalcato l’onda del sovranismo e dell’immigrazione e il M5S che ha cavalcato l’onda della guerra ai privilegi e della lotta alla povertà, cosa che prima era appannaggio della sinistra. Da qui si deve partire se si vuole cambiare politica, cambiare passo, guardare fuori ai problemi del Paese, ai problemi delle persone, al lavoro ed allo sviluppo in genere. Sono capaci questi dirigenti a cambiare passo o prima di cambiare sigla, nome, statuto, dobbiamo cominciare a parlare di cambiare dirigenti? Se è vero che squadra che vince non si cambia, deve pure essere vero che squadra che perde deve andare a casa. (Salvatore Augello)