Il Consiglio regionale del Lazio ha approvato il 6 giugno scorso un ordine del giorno sulla "Intesa Stato-Regione prevista dall'art. 116, terzo comma, della Costituzione italiana". La proposta impegna il Presidente della giunta regionale ad avviare il negoziato con il governo.

Il Consiglio regionale chiede che siano attribuite alla regione competenze nelle seguenti materie: lavoro; istruzione; salute; tutela dell'ambiente e dell'ecosistema; governo del territorio; rapporti internazionali e con l'Unione europea. Con particolare riferimento alle predette materie l'assemblea ha anche chiesto che sia istituita "un'apposita commissione paritetica Stato-Regione per determinare le risorse finanziarie, umane e strumentali necessarie all'esercizio di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, da trasferire o assegnare dallo Stato alla Regione" e che "si tenga conto della finalità di assicurare una programmazione certa dello sviluppo e degli investimenti, determinando congiuntamente modalità per assegnare risorse da fondi finalizzati allo sviluppo infrastrutturale del Paese". Quattro giorni prima delle ultime elezioni il governo Gentiloni aveva già siglato tre "pre accordi" con l’Emilia Romagna, la Lombardia e il Veneto che per quelle Regioni aprono la strada all’intesa prevista dall’art.116, terzo comma, della Costituzione per avere maggiore autonomia regionale su diverse tematiche. C’è da osservare che l’avvio del procedimento previsto dall’art 116 terzo comma non richiede una specifica legge di attuazione ma è di immediata applicazione. L'articolo 116, terzo comma, della Costituzione prevede che la legge ordinaria possa attribuire alle regioni “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” sulla base di un'intesa fra lo Stato e la Regione interessata” Nel testo dei citati pre- accordi si precisava ,infatti, che, una volta raggiunta l’intesa, una commissione paritetica Stato-Regione avrebbe avuto poi il compito di determinare le modalità di attribuzione delle risorse finanziarie, umane e strumentali necessarie. Entro un anno dall’approvazione delle future intese è stato previsto che dovranno essere determinati i fabbisogni standard destinati a diventare, nei cinque anni successivi, il termine di riferimento in un’ottica di superamento della spesa storica, in relazione alla popolazione residente e al gettito dei tributi maturati nel territorio regionale. I pre-accordi prevedono diverse materie : dall’istruzione alla salute, dalle politiche del lavoro alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, fino ad un’appendice sui rapporti internazionali e con l’Unione europea. La Regione Lazio con il citato ordine del giorno (presentato da componenti del gruppo misto e dal consigliere Pirozzi) si aggiunge alle altre regioni che intendono attivare la procedura. Se si osservano i tre pre- accordi siglati (Lombardia, Veneto e Emilia Romagna), soffermandosi in specie sul tema della sanità, si vede che le novità e le possibilità di autonomia che si aprono per le Regioni sono moltissime. La CGIL nazionale in una nota inviata in giugno a tutte le sue strutture sottolinea la necessità di garantire “il principio perequativo e della solidarietà nazionale a fronte di ogni trasferimento di competenze cui dovrà corrispondere il trasferimento delle relative risorse” e di fare in modo che il passaggio graduale nei singoli territori dalla spesa storica ai fabbisogni standard si attui con uno standard qualitativo della prestazione ritenuto necessario a garanzia della esigibilità del diritto alla salute per tutti “ a prescindere dall’area di residenza”. La CGIL a conclusione di valutazioni sia di principio che specifiche di merito sulla sanità elenca ,conclusivamente, in 6 punti quello che va considerato il suo impegno di organizzazione sindacale “per: 1. assumere l’orientamento definito a livello nazionale sull’attuazione dell’art 116 terzo comma e operare, nei prossimi mesi, in forte coordinamento tra tutti i territori regionali nell’affrontare il proseguimento delle trattative individuando modalità e termini della discussione comuni. 2. chiedere l’apertura di un confronto, o rafforzarlo dove già avviato, con tutte le amministrazioni regionali interessate ,Anci e Upi, sui termini dell’intesa e sulla trattativa, consapevoli che anche le Regioni che hanno sottoscritto il pre-accordo con il governo stanno ampliando le materie in oggetto; 3. considerare una pre-condizione per ogni riconoscimento di ulteriori forme di autonomia, la definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni e delle leggi di principio chiedendone l’approvazione e a tal fine, anche per contribuire allo scarso e privo di contradditorio dibattito sul tema, promuovendo un’iniziativa pubblica che rivendichi tale necessità e fissi i punti di indisponibilità, coinvolgendo, se possibile, Anci, Upi e Conferenza delle Regioni; 4. lavorare per condividere un percorso unitario con Cisl e Uil e chiedere un incontro al Ministro Stefani (ministro degli affari regionali n.d.r.) per esprimere le posizioni e per chiedere la consultazione delle parti sociali nei tavoli tecnici che predisporranno le intese; 5. chiedere un incontro a tutti i gruppi parlamentari per sollecitare un’iniziativa legislativa che porti all’approvazione di tutti i Livelli Essenziali delle Prestazioni e delle leggi di principio per le materie di legislazione concorrente; 6. chiedere che la Conferenza delle Regioni assuma un orientamento comune.” Nel caso della Regione Lazio, come si è visto, si è ancora in una fase iniziale di una procedura che comunque è stata già avviata con il citato ordine del giorno. Si tratta di un atto politico del Consiglio regionale del Lazio di grande rilevanza, dagli effetti ad oggi non prevedibili e rispetto alla cui concretizzazione la CGIL del Lazio si appresta a definire in modo ponderato un orientamento dell’insieme dell’organizzazione e unitario fortemente coerente con la scelta universalistica e con il principio solidaristico e perequativo fra le diverse regioni del paese. Stando anche al documento della CGIL nazionale, è in questo quadro che, in attuazione dell’art.116 terzo comma della Costituzione, vanno inserite le diverse scelte specifiche. Per la sanità, se si osservano i tre pre- accordi siglati (Lombardia, Veneto e Emilia Romagna) si vede che le novità e le possibilità di autonomia che si aprono per le Regioni sono moltissime. La Costituzione italiana prevede all’art. 32 che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e sul piano internazionale (cfr. art. 2 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, firmato a New York il 6 dicembre 1966, ratificato in forza della l. 25 ottobre 1977, n. 88), la “tutela della salute” rappresenta un settore di attività dello Stato particolarmente complesso, in cui lo stesso potere pubblico agisce come autorità di regolamentazione, di amministrazione attiva e di prestatore in via diretta di servizi pubblici. il Titolo V Parte seconda della Costituzione reca distinte disposizioni concernenti la sanità pubblica: - l’art. 117, co. 2, lett. m), riserva allo Stato la competenza legislativa in materia di “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”; - l’art. 117, comma 3, invece, attribuisce alla competenza concorrente la materia “tutela della salute” (si ricorda che già nella precedente formulazione la materia “assistenza sanitaria ed ospedaliera” era di competenza legislativa concorrente) e “ricerca scientifica” (quest’ultima naturalmente collegata alle finalità di tutela della salute: cfr. Corte cost., 20 marzo 1978, n. 20). Esiste anche una disciplina di rango primario, costituita dalle grandi leggi di riforma sanitaria (dalla l. 23 dicembre 1978, n. 833, di istituzione del SSN, al d. lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, che ha ridefinito il sistema di programmazione e gestione dell’amministrazione sanitaria; dal d. lgs. 16 ottobre 2003, n. 288, di riforma degli IRCCS, al d. l. 13 settembre 2012, n. 158, recante disposizioni urgenti di razionalizzazione dell’assistenza sanitaria) che si intersecano con una pluralità di interventi di natura economica e finanziaria, preordinati al governo e al contenimento della spesa sanitaria (dalla disciplina dei c.d. “piani di rientro” di cui all’art. 2, co. 77 sgg., della l. 23 dicembre 2009, n 191, alle previsioni taglia-spese di cui – tra i tanti provvedimenti – all’art. 15 del d. l. 6 luglio 2012, n. 95). Si aggiunga come la Corte costituzionale abbia ben sottolineato la necessità di salvaguardare la centralità dell’intervento programmatorio statale (anche quando non era limitato a dettare i princìpi fondamentali della materia), muovendo dalla massima che la tutela della salute “non può non darsi in condizioni di fondamentale uguaglianza su tutto il territorio” (così Corte cost., 26 giugno 2002, n. 282). E’ quest’ultimo un punto fermo richiamato dalla CGIL e che fermo non sarebbe stato stando ai propositi della Regione Veneto per ora messi in mora da sentenze specifiche. Il punto di arrivo non puo’ infatti essere quello di una sanità a geometria variabile e a seconda del gettito di entrate finanziarie con esazione diretta e direttamente in capo alle singole regioni. Per evitare il rischio di un evento simile occorre poter intervenire nella discussione che si fa nelle singole regioni, occorre un protagonismo della Conferenza Stato-Regioni, una regia del governo su come si avviano tutti gli accordi in una logica che tenga tutti insieme gli stessi e li finalizzi non solo verso quanto è possibile ottenere da parte delle Regioni applicando l’art 116 terzo comma in connessione con altri articoli del titolo V° della Costituzione ma anche , per le ragioni soprarichiamate, nel caso della sanità, verso l’osservanza del principio di universalismo nella tutela e di solidarietà fra le diverse parti del paese. Val la pena ricordare come sia una riserva dello Stato, una competenza legislativa che, si ritrova nell’art. 117, co. 2, lett. m), quella della “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. La ridiscussione che si vuole porre in essere della competenza concorrente per la sanità fra Stato e Regioni riguarda invece la “tutela della salute”. Il quadro del riparto di competenze deve essere completato con le disposizioni relative al riparto delle competenze regolamentari (art. 117, co. 6) e delle funzioni di amministrazione attiva (art. 118), alla regolamentazione della finanza pubblica (art. 117, co. 2 e 3, art. 119), alla previsione dell’intervento sostitutivo dello Stato quando lo richieda “la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” (art. 120, co. 2). Oggi si è attenuato l’indirizzo centralistico che pure si ritrovava nelle modifiche costituzionali sottoposte al vaglio referendario. La stessa Corte Costituzionale a partire dal 2015 nelle sue sentenze sembra convalidare tale orientamento fornendo argomenti per un maggior spazio alle autonomie locali dopo un lungo periodo in cui la funzione statale di coordinamento corrispondeva a esigenze di compressione della autonomia finanziaria degli enti territoriali ai fini del più generale risanamento del bilancio dello Staro. Come osserva Franco Gallo , presidente emerito della Corte Costituzionale: “ In queste condizioni viene spontaneo domandarsi se la valorizzazione del “regionalismo differenziato” di cui al terzo comma dell’art.116 Cost. perseguita attraverso l’introduzione della c.d. “clausola di asimmetria” possa essere una via per uscire dal tunnel in cui sono entrati il principio autonomistico e quello di sussidiarietà evitando nello stesso tempo l’eccessiva frammentazione delle politiche pubbliche. Il che sul piano finanziario, è come dire se l’applicazione di tale norma possa essere uno strumento valido per contenere l’indirizzo centralistico senza mettere in crisi la regola costituzionale della neutralità perequativa”. (Rino Giuliani)