Per settimane molti esponenti del Pd hanno evocato per il nostro partito la prospettiva dell’opposizione. Prematuramente, a mio avviso, subito dopo il 4 marzo, forse per sfuggire alla domanda se non dovessimo piuttosto cercare di evitare che nascesse un governo dannoso per il Paese…

Ma questo dubbio resta ormai alle nostre spalle. Ora un governo sta per nascere, guidato da un Presidente del Consiglio privo di precedenti esperienze politiche e istituzionali e sulla base di un documento che contiene per molti aspetti il peggio delle due forze politiche che si apprestano a comporre l’Esecutivo. Tra poche ore conosceremo anche i nomi dei Ministri e forse capiremo qualcosa di più sul reale profilo politico del Governo Lega-M5S. Non è difficile prevedere che entrambi i partiti di maggioranza punteranno ad avere il massimo di potere e visibilità sui temi che considerano cruciali per i loro rispettivi elettorati, che le contraddizioni più evidenti e difficili – per esempio come far tornare i conti, volendo diminuire le tasse (ai ricchi) e aumentare le spese – saranno rinviate il più avanti possibile, che l’Italia e gli italiani pagheranno un prezzo se le politiche del futuro governo produrranno instabilità finanziaria e rotture con l’Europa. Dunque per il Pd è davvero arrivato il momento di mettersi al lavoro per organizzare l’opposizione. Nonostante gli sforzi del segretario reggente Martina, dopo la sconfitta del 4 marzo – su cui in realtà non abbiamo ancora riflettuto in maniera adeguata per capire cosa è successo di profondo nel rapporto tra noi e il Paese – abbiamo rischiato e rischiamo l’afasia e l’immobilismo. L’Assemblea di sabato scorso ha mostrato un grande malessere dei nostri quadri intermedi e militanti, ha reso evidente il pericolo che le differenze tra di noi portino a divisioni irrecuperabili, ha messo in luce la necessità di definire in tempi rapidi un percorso congressuale ben preparato. Ma intanto dobbiamo uscire da quella sorta di stordimento in cui siamo piombati dopo il voto. Abbiamo di fronte un governo “ircocervo”: definirlo “di destra e populista” non basta per avere la ricetta per un’opposizione efficace. Anche perché in Parlamento siedono altre forze di minoranza che come noi voteranno contro la fiducia al governo ma partendo da presupposti del tutto diversi. Non è banale dunque interrogarsi sulla cifra che deve avere il nostro “stare all’opposizione”, su come, dove, per che cosa il Pd deve mobilitarsi e rendere visibile la sua azione politica. Questre le mie poche certezze. Primo: non possiamo impostare l’opposizione sugli slogan, sui tweet, sulla demonizzazione o la ridicolizzazione degli avversari, magari cercando di mettere in evidenza la loro impreparazione. Questo meccanismo non ha funzionato in campagna elettorale e non funzionerà nemmeno ora che i “vincitori” sono nelle stanze dei bottoni. Alla loro propaganda dobbiamo opporre argomenti, dati, ragionamenti, proposte alternative. Secondo: non possiamo fare l’opposizione solo in Parlamento. Ci sono mondi, territori, gruppi sociali, persone che hanno bisogno di parlare con noi, di spiegarci il loro punto di vista, di dirci magari perché questa volta non ci hanno votato e cosa si aspettano da noi oggi. Abbiamo fatto cose egregie dal governo ma la mancanza di dialogo con la società italiana nelle sue diverse articolazioni ha prodotto distacco, diffidenza, e ha reso molto più difficile realizzare le riforme con il consenso. Se è vero, come credo, che il “riformismo dall’alto” è stato una delle ragioni della sconfitta, per rilanciare le ragioni del riformismo abbiamo bisogno di partire dai territori e arrivare alle istituzioni. Questo consente anche di affrontare, contemporaneamente, il nodo del Pd e delle alleanze. Che deve misurarsi molto più con ciò che si muove nella realtà sociale che non nel panorama politico uscito dal 4 marzo. Un nuovo centrosinistra, un nuovo campo riformista, un nuovo Pd si costruiscono più dal basso e dalle periferie che non dall’alto e dal centro. Terzo: non possiamo fare opposizione senza innovazione. La nostra esperienza di governo è fresca e ricca di risultati di cui giustamente andiamo anche orgogliosi, nonostante la grave sconfitta elettorale. Tuttavia oggi dall’opposizione credo abbiamo la possibilità e la necessità di non rimanere nostalgicamente ancorati a quel patrimonio e di aprirci ad una ricerca ideale e programmatica più ambiziosa. Dopo la grande crisi il nostro modello di sviluppo deve essere ripensato, nel segno dell’innovazione sociale, della sostenibilità ambientale, della condivisione, del bene comune. Vedo qui il terreno ideale per una ripartenza del Pd e per un rilancio del riformismo sia in Italia che in Europa.