(Salvatore Augello) Non è passato molto tempo, da quando Veltroni, sfidando il Cavaliere, a ridosso delle elezioni politiche, dichiarò “andiamo da soli”. Si riferiva alla scelta del PD, di correre da solo, senza rinnovare l’alleanza con la sinistra radicale. Certo nessuno si aspettava che questo importante soggetto politico, sparisse dallo scenario politico italiano. In quella occasione, il PD imbarcò i radicali di Pannella e della Bonino nelle proprie liste e l’Italia dei Valori, che si

 presentava con il proprio simbolo. Quella scelta, anticipò una riforma elettorale che non si è mai fatta e contribuì a sfoltire il panorama politico italiano, popolato di sigle importanti e meno importanti. Stanò il centro destra ed il Cavaliere, che rispose alla sfida, lanciando il PDL, sigla che aveva depositato qualche tempo prima. In quella sigla, si dissolvettero tutta una serie di sigle e di personaggi noti e meno noti: da Dini (Liberal Democratici) a La Malfa (repubblicani), da Rotondi (D.C. per le autonomie) a Rizza (D.C.), da Capezzoli (radicale dissidente) ai fuorusciti dell’UDEUR che abbandonavano la barca Mastella che affondava, dalla Mussolini (Destra Sociale) a Di Gregorio (Italiani nel Mondo), dal partito dei pensionati a Decidere; e poi, destra liberale italiana, socialisti riformisti, nuovo partito socialista italiano, riformisti liberali, circoli de l’opinione, circoli del buon governo, circoli della libertà della Brambrilla ed infine, i promotori, i soci di maggioranza: Forza Italia ed Alleanza Nazionale. Venne allontanato Casini che voleva essere autorizzato a correre con il proprio simbolo, cosa non permessagli, mentre venne aggregato Bossi, a cui invece venne permesso di presentare i colori della lega e di apparentarsi al PDL. Una marmellata assai composita, come è facile intuire, che comprendeva tutto quello che c’era in giro in fatto di sigle nuove e vecchie, sigle valutate una per una e ripagate con un ministero, un sottosegretario, una presidenza di commissione, una vice presidenza, e così via. Ad ognuno la giusta mercede, sulla base delle valutazioni del capo padrone o in base a trattative, quando vi sono. Qualcuno è rimasto scontento, ad esempio Dini, che non avendo avuto un ministero, ma solo una presidenza di commissione, si è lasciato prendere da una improvvisa crisi di ideali, per cui ha lasciato il PDL, ma non il gruppo. Messo in moto questo megastrumento, il passo successivo resta quella di dare corpo al nuovo partito. Il PD ad esempio, prima della sua costituzione, ha ritenuto opportuno fare il congresso dei due partiti che lo andavano a costituire: il PDS e La Margherita. Dopo hanno fatto le primarie, sia per scegliere il leader, che per nominare i delegati all’assemblea costituente, assemblea che ha eletto Veltroni segretario del nuovo partito ed ha anche eletto il nuovo gruppo dirigente sulla base dei risultati delle primarie, che hanno anche evidenziato i rapporti di forse. Percorso diverso, ha seguito la nascita del PDL, da buon industriale, Berlusconi ha sancito la nascita del nuovo soggetto contenitore, non con un congresso, come usa fare in politica, ma con un atto notarile, come musa fare quando si costituisce una società, stipulato il 27 febbraio del 2008, presso il Notaio Paolo Becchetti con studio in Civitavecchia, come riporta La Stampa, che informa anche su alcuni contenuti del contratto. Ad esempio, i due soci di maggioranza, stabiliscono che all’ex AN spetta il 30% del “pacchetto azionario” mentre all’ex FI va il rimanente 70%. Resta da definire quanto pesa in queste percentuali il Presidente della Camera ad esempio o il Presidente del Senato, un capogruppo, un ministro, un consigliere comunale, un deputato, un presidente do provincia o di regione; un consigliere d’amministrazione o un presidente di ente, poiché tutto entra in gioco in questo rapporto politico anomalo, tanto anomalo da fare apparire apprendisti stregoni le vecchie correnti della DC ed il manuale Cancelli usato per dividere il potere. Chi si aspettava di assistere ad un congresso dei soggetti politici soci del nuovo sodalizio, si deve rassegnare a vedere un’assemblea chiamata a ratificare le decisioni prese altrove, come conseguenza del contratto stipulato. Chi si aspettava una riforma elettorale che servisse a sfoltire il campo di sigle più o meno grandi, una riforma che ridesse ruolo e protagonismo all’elettore, reintroducendo il voto di preferenza, è pure servito, perché deve accontentarsi della legge esistente, che si vuole estendere anche alle europee, perché meglio si presta alla divisione dei dividenti, pardon, dei posti in parlamento. Poi c’è che si offende nei confronti di quanti, a partire da Famiglia Cristiana, denunciano pericoli di deriva fascista.