Necessaria una lista alternativa e unitaria alle prossime elezioni politiche Il voto per il rinnovo del parlamento italiano della prossima primavera cade in un momento storico particolare, caratterizzato dalla nuova ondata emigratoria di cui in Italia non sembra esservi contezza e consapevolezza. Ci troviamo dentro una congiuntura che può essere riassunta dai seguenti dati: secondo l’Aire, la presenza italiana nel mondo è aumentata, in circa un decennio, da 3,6 milioni a circa 5 milioni. Secondo l’anagrafe consolare del Ministero degli Affari Esteri, gli italiani all’estero sono 5,4 milioni. Dalla comparazione ponderata tra i dati Istat e quelli dei maggiori paesi di arrivo, i flussi di nuova emigrazione si attestano annualmente tra le 250mila e le 300mila (2014-2016). Vi sono quindi oltre un milione di italiani all’estero che non figurano nelle statistiche nazionali perché non si iscrivono all’Aire. Sono il prodotto della più grave crisi economica dell’ultimo secolo e di come i governi neoliberisti che si sono succeduti nel nostro paese, in Europa e altrove, hanno affrontato la crisi: facendola pagare ai più deboli ed impedendo una seria ridistribuzione della ricchezza; anzi, aumentandone la concentrazione in sempre meno mani; c’è quindi da attendersi che i nuovi migranti continueranno ad aumentare dall’Italia, dal sud e dall’est Europa, come dagli altri sud del mondo. L’ammontare complessivo della nostra emigrazione si attesta dunque intorno ai 6 – 6,4 milioni di persone, di cui ben un milione non compare in alcuna statistica. Si tratta di oltre il 10% della popolazione complessiva del paese. Sarebbe la seconda regione italiana, dopo la Lombardia; una regione fuori dai confini che è l’unica a vedere aumentata la propria popolazione dentro una generale contrazione demografica che riguarda il resto del paese. Assieme alle annose questioni e rivendicazione dell’emigrazione, che sono ancora in gran parte inevase, si aprono scenari nuovi (che per molti aspetti tornano ad assomigliare a quelli di 50 anni fa, quelli dell’emigrazione di massa) che necessitano di essere affrontati. Il volto della nostra emigrazione sta cambiando e la precarietà della nuova condizione migrante, nel lavoro, nei diritti e nelle tutele, nel quotidiano, è un dato sempre più diffuso. Altro che libera circolazione ! Salvo dettagli temporali, sembra di rileggere un capitolo di un famoso libro di Woody Guthrie durante la grande depressione degli anni ’30. Un analista politico recentemente scomparso sosteneva che emigrare è uno dei modi che abbiamo a disposizione per esprimere la nostra opinione politica, il nostro voto. In questo senso, il verdetto è già stato dato. Ma questa popolazione in uscita meriterebbe di essere rappresentata adeguatamente anche in Parlamento. Non è accettabile che la gente se ne vada dal paese e che perda la propria capacità di farsi sentire e ascoltare. Come è noto, però, la Circoscrizione Estero è bloccata su una rappresentanza di 18 parlamentari. La legge è di quasi 20 anni fa, quando si dava per scontata la fine della secolare emigrazione italiana. Invece oggi siamo il doppio di allora, e questa volta avremo a che fare con la simpatica variante di liste zeppe di candidati residenti in Italia, grazie all’emendamento “Lupi”, che tra l’altro, impedisce ad un residente all’estero, di candidarsi in Italia. Un ostracismo verso chi se ne è andato, che assomiglia ad una sorta di apartheid definitiva e che mostra la considerazione dell’attuale politica nazionale verso chi è stato ed è costretto a partire. Si è quindi spinti a espatriare e, con ciò, a perdere, o a veder fortemente diminuita, la valenza del proprio voto. Il voto all’estero, alla luce dei cambiamenti accennati, è sempre meno “uguale”. Sempre meno democratico. In questa nuova situazione, un parere costituzionale in materia, sarebbe gradito. Al di là del percorso che le forze politiche di sinistra sapranno darsi in Italia (e la sospensione della proposta dell’assemblea del Brancaccio non depone a loro favore) vi è una dimensione “estera” che andrebbe compresa nella sua specificità: Quali sono, in questo contesto, le ragioni del contendere e dei distinguo ? E quali le differenze programmatiche tra le diverse forze a sinistra del PD ? L’accorto gioco di posizionamento che si avverte dalle chiacchiere sui social network esteri sembra vertere sulle stesse disciminanti della discussione “italiana”. Si tratta di confronti interni ai postumi di classe dirigente che la crisi dei partiti ha decomposto e che rischia di ricomporre in un’orizzonte di immediatezza senza progetto. Non sembra, con tutta la buona volontà, una riflessione adeguata allo scenario che si sta prefigurando e che durerà almeno per il prossimo decennio, se va bene. E’ anche difficile pensare che tali approcci risultino attraenti per un elettorato che, ammesso che abbia intenzione di votare e ammesso che sia sufficientemente informato, ha a che fare con una sua quotidianità abbastanza lontana dai vari cesellatori, mentre invece potrebbe risultare particolarmente ostile e arrabbiato verso quelli che hanno contribuito alla loro presente condizione. Una esercitazione nominalistica e identitaria appare ancora meno fondata se si tiene conto dello scarso peso specifico delle diverse componenti della sinistra all’estero, ivi inclusa quella che potrebbe emanciparsi dall’appartenenza al vacuo contenitore del PD. A meno che qualcuno non pensi che qualche apparato esterno possa optare a sostegno dell’una o dell’altra parte, cosa che non avverrà. E se mai dovesse avvenire sarebbe da biasimare anche se non sortirà alcun effetto significativo. Se vi è l’intenzione seria di provare a dare rappresentanza a una parte importante del mondo dell’emigrazione vecchia e nuova, in crescita e sempre più precaria, vi è una sola via: una sola lista alternativa e unitaria. Non solo per tentare di eleggere uno o due parlamentari nel mondo, cosa che sarebbe anche possibile, ma soprattutto per fornire una prospettiva di riaggregazione ampia per i prossimi anni. Non secondariamente, per far presente con chiarezza e da subito, a tutti i partiti in Italia, di cosa si stia parlando. Sarebbe doveroso un atto di comune responsabilità in questo senso. Altrimenti, sarebbe utile conoscere, pubblicamente, perché non lo si possa fare. In modo che ciascuno possa decidere, serenamente, se valga ancora la pena continuare ad investire “a sinistra”. di Rodolfo Ricci P.S.: A scanso di equivoci, sempre possibili, chiarisco che il presente intervento è strettamente personale e non coinvolge alcuna sigla.