(SA) - Quello che è successo in Inghilterra, o se volete nel Regno Unito che tanto unito non è più, è la prova generale di quello che può succedere se non si danno le giuste risposte ad una Unione Europea che non può continuare a girare solo attorno alle banche, che deve tenere in debito conto le necessarie misure per rilanciare l’economia. Le grosse perdite delle borse, ad esempio, indicano quanto pericoloso sia non avere una politica equilibrata incapace di evitare non solo quello che è successo nel Regno Unito, ma anche quello che come ricaduta può accadere altrove. I populisti, gli euroscettici, i Lepen, i Salvini, i Podemos, a partire dalla democratica Olanda, possono seguire a ruota la richiesta di refendum per mettere in discussione la loro presenza nell’Unione, dando vigore ad un processo disgregatore, che non solo allontana l’Europa, ma mette in discussione la stessa idea di unione ed i principi che guidarono i padri fondatori come Altiero Spinelli, Aldo Rossi ed altri. La corsa legittima guidata da Romano Prodi per fare grande l’Europa aggregando tanti stati quanti se ne mostravano disponibili arrivando fino a 25 e poi a 28, certamente puntava a fare non l’Europa che alla fine è emersa, ma quegli Stati Uniti d’Europa, che dovevano giocare un importante ruolo nello scacchiere politico mondiale, facendo anche da contrappeso a spinte imperialistiche che veniva da più parti. Cos’ non è stato ed oggi ci troviamo davanti ad un bivio importante e pericoloso, davanti a scelte che non possono più attendere. Questa crisi, questa sconfitta degli europeisti inglesi, deve essere interpretata come un’occasione da non sprecare. Una occasione che ci viene offerta in maniera sofferta da una parte del popolo inglese, quello conservatore, quello che segue Nigel Garage ed altri populisti del suo stampo che si annidano nel partito conservatore come in quello laburista, nel partito liberale come nell’UKIP di Garage, che rappresenta la punta avanzata di quella parte di popolo che ha votato per uscire. Quella vittoria del referendum, rappresenta solo quella parte di popolazione che pensa di potere ancora ricostituire l’impero inglese e che vive nel ricordo della passata grandezza, ma passata appunto. I giovani, i riformisti, non si rassegno invece ad uscire da un sistema protettivo come quello rappresentato dall’Unione Europea, che è difettoso, certo, che è da rivedere, indubbiamente, ma che non è certo da buttare via come una camicia vecchia che ormai non serve più. Bisogna solo cambiare rotta, finirla di fare il conto della serva e di favorire le banche che sono alla base di questa lunga crisi che travaglia tutta l’Europa che stenta ad uscire, malgrado di mettano a punto strategie e cure più o meno drastiche. Sta di fatto che tutte le volte che si parla di mettere soldi a disposizione della piccola e media industria, che è quella che sta pagando di più questa crisi, i soldi finiscono nelle casse delle banche e non vengono utilizzate per ricapitilazzare le medie e piccole imprese, per fornire loro quella liquidità di cui in questo momento hanno di bisogno. Anzi ad ogni nuovo passo in questa direzione fatto dalla BCE, le banche stringono sempre più il cappio al collo alle piccole e medie imprese. Non è certo questo il metodo per venire incontro a chi lotta per superare la crisi, meno che mai a quella impresa che rappresenta l’ossatura economica di una nazione. Non è certo questo il metodo per guidare l’Europa fuori dalla crisi, incapace anche di affrontare il gravoso problema dell’immigrazione, dopo averne creato le cause. Lo strumento “Unione Europea” è certamente utile, ma necessita un cambio di passo, un cambio di rotta. Bisogna cominciare a dare ad esempio più potere al Parlamento Europeo, bisogna che gli elettori e per essi il Parlamento di Strasburgo, si facciano carico della elezione di un governo con poteri di governare l’Europa rispondendone ai vari popoli ed al Parlamento. Bisogna senza perdere tempo colmare grosse sacche di disparità che hanno originato ed icoraggiato la delocalizzazione di imprese anche sane, perché altrove il costo della manodopera è a livelli irrisori. Dove non esistono difese sindacali, dove è facile evade tasse o dove le tasse sono di gran lunga inferiori rispetto a quelle che si pagano in nazione come l’Italia, per esempio. Bisogna lavorare su un metodo che livelli diritti e doveri negli stati aderenti, evitando di puntare su guadagni maggiori a scapito della forza lavoro e dei diritti sociali. Quante industrie hanno lasciato l’Italia determinando l’aumento della disoccupazione e la perdita di prodotto interno lordo? Quante industrie producono in Italia e pagano le tasse altrove? Non è questa l’Europa che deve essere quel faro di civiltà e di giustizia che era ben definito nel cosi detto manifesto di Ventotene, non è questa l’Europa che vogliamo. Vogliamo una Europa dove si possa vivere serenamente ed in pace, dove i diritti del lavoratore tedesco sia uguali a quelli del lavoratore italiano o rumeno, o polacco e così via. Se i governi nazionali non sono capaci di imboccare questa strada, quello che è successo in Inghilterra è solo l’inizio di un processo di disgregazione che non tarderà a produrre i suoi frutti avvelenati.