(Salvatore Augello) E’ d’avvero il caso di dire niente di nuovo sotto il sole. Ricordo perfettamente, che quando nel 1975, per la prima volta andai in Germania per un ciclo di riunioni tra gli emigrati, la prima cosqa di cui si lamentarono le famiglie e gli insegnanti di lingua italiana, fu proprio quella dell’insegnameto. Il sistema scolastico tedesco, sebbene diviso per lands che autonomamente legiferavano in materia, non consentivano ai figli degli emigrati un corretto inserimento nel sistema scolastico, tale da permettere anche di accedere alle scuole superiori ed all’università.

 Nel primo periodo scolastico, dopo le elementari, che serviva all’alunno a selezionare il corso di studi successivo ed all’insegnante di consigliare in base alla preparazione dell’alunno ed alle sue inclinazioni, i nostri ragazzi venivano quasi tutti indirizzati verso l’insegnamento professionale.Anche allora, ciò era in grande parte dovuto al fatto che la difficoltà di lingua spesso noj consentiva di seguire bene le lezioni e non erano previsti sostegni all’inserimento scolastico. Il 1975, per altro, fu un periodo di grandi lotte sociali da parte degli italiani all’estero, che chiedevano lam riforma della scuola, mentre le associazioni, pur dichiarandosi d’accordo, chiedevano che l’insegnamento dell’italiano venisse incluso tra le materie curriculari del sistema scolastico locale come seconda lingua, con un duplice scopo: favorire l’integrazione e trasmettere nello stesso tempo la cultura d’origine come arricchimento culturale. Suona strano oggi, che quello che combattevamo allora, non solo in Germania, oggi spunti in Italia ad opera della lega, che con una mozione, chiede la istituzione di preclassi o delle classi differenziate per i figli degli immigrati, perché hanno problemi di lingua e non possono seguire le lezioni con lo stesso ritmo di apprendimento degli italiani. Davvero singolare, questo razzismo strisciante che si manifesta ad opera della lega. Per altro abbiamo potuto notare che questi atteggiamenti rivolti agli immigrati, non vengono risparmiati nemmeno agli insegnanti meridionali, che, guarda caso, sono l’assed portante del sistema scolastico del Nord Est, oggi ribattezzato padania. Già, per gli insegnanti meridionali si chiede la residenza al nord prima di fare i concorsi o la richiesta di incarico, una norma chiaramente discriminatoria. Per i ragazzi immigrati, invece, si vorrebbero le classi differenziate, per bloccare all’inizio ogni tentativo di integrazione, per ghettizzare, per segregare. Una tendenza, che se passasse, non farebbe certo onore all’Italia, che prima di essere terra d’immigrazione, è stata ed è tuttora, terra di emigrazione. Come reagiremmo se scelte di questo tipo dovessero colpire ancora i nostri all’estero? E non ci si venga a dire che i nostri erano diversi. L’emigrazione non ha diversità, è figlia del bisogno, genera benessere e sviluppo anche per il Nord Est o la padania che dir si voglia, ed è fatta di persone che sono portatori di diritti, così come è giusto e faremmo bene a non dimenticarlo. Di diritti, prima di tutto quelli umani, che non possono essere disattesi, in secondo luogo quelli civili e sociali, che non possono essere somministrati o elargiti o concessi solo sulla base della conoscenza della lingua e del colore della pelle. L’Italia, dove ogni tanto affiora il bubbone razzista e xenofobo, non è certamente tale ed il sistema legislativo italiano, il Parlamento, non possono avvalorare né tanto meno sostenere questi atteggiamenti che disonorano tutti. L’USEF è una associazione che non è stata mai assente in queste battaglie di civiltà, per cui anche ora, davanti a tanta barbarie, leva la propria voce per opporsi a tutto quanto sa di razzismo. Lo ha fatto aderendo alla manifestazione antirazzista del 4 ottobre, lo farà promuovendo iniziative e aderendo ad altre che abbiano come obiettivo la difesa dei diritti umani, specialmente quelli dei bambini, della legalità, dell’uguaglianza tra esseri umani, siano essi mussulmani o cattolici, bianchi o neri o gialli, ripetiamo: la titolarità dei diritti non ha colore né religione, appartiene all’umanità.