Stando alle dichiarazioni del presidente della Regione, a ottobre i Siciliani si troveranno presumibilmente a scegliere il nuovo governo dell’Isola. In molti già proiettano in queste probabili elezioni regionali ragionamenti che travalicano i confini dell’Isola e che riguardano le future alchimie con cui i partiti nazionali proveranno a ricucire lo scollamento con la società e a frenare l’avanzata della cosiddetta antipolitica.

Nulla di più sbagliato, purtroppo, per una Regione che ha invece bisogno, dopo dieci anni di malgoverno, di avere finalmente una classe politica capace di interpretare le istanze del territorio e dare adeguate risposte sul solco di un rinnovamento etico che non sia solo di facciata. Concentrarsi su equilibri di bottega che poco hanno a che fare con gli interessi dei cittadini siciliani (errore commesso dalla stragrande maggioranza dei partiti alle ultime elezioni a Palermo) è il miglior modo per favorire la fuga dalle urne e l’avanzata del qualunquismo. In entrambi i casi, si tratta di deficit di democrazia da scongiurare. Come? A mio avviso, l’unica strada che abbiamo davanti è quella di ripartire proprio dalla politica. Ma non da quella che si attarda a discutere e dibattere intorno ad alleanze senza progetto, ma dalla politica che dal basso ha saputo organizzarsi e rispondere al vuoto di rappresentanza dei partiti, puntando l’obiettivo non sugli interessi di parte, ma sui beni comuni. Da tante parti si fa un gran parlare di beni comuni e il rischio è che tali termini diventino uno slogan vuoto. L’idea di bene comune non può prescindere dalle “buone pratiche”, dalla capacità di divenire comunità e di salvaguardare l’interesse collettivo in un’autentica affermazione di democrazia partecipata. E di queste “buone pratiche”, per fortuna, la Sicilia è ricca. Basta guardare alle tante realtà di cittadine e cittadini che si sono coagulate intorno alla difesa dei diritti (come successo per il Muos di Niscemi o contro le trivelle selvagge, per esempio) o che propongono nuove forme di gestione dei beni comuni (penso al referendum sull’acqua) o ancora che propongono o hanno già messo in atto nuove pratiche di sviluppo economico. E’ a queste realtà che intendo rivolgermi con “ Sicilia bene comune “, un viaggio nell’Isola che partirà nei prossimi giorni. Sgombro subito il campo da qualsiasi ipotesi elettorale: non ho alcuna intenzione di candidarmi alle Regionali. Sento, semmai, la responsabilità di partecipare alla costruzione di quel cambiamento che già oggi viene promosso dal basso. E che proprio per questo è possibile. Voglio incontrare e ascoltare i cittadini, i movimenti, ma anche tutti quegli amministratori locali che chiedono a gran voce una profonda riforma della burocrazia regionale, la messa in atto di buone pratiche amministrative, un reale e urgente decentramento della spesa che sia accompagnato e sostenuto da una Regione che produca efficaci strategie di programmazione. Bisogna elaborare un progetto per la Sicilia, che faccia della sua autonomia una risorsa e non un elemento di arretratezza. Un progetto che attraverso forme autentiche di partecipazione democratica possa rinnovare politica e istituzioni. Che sappia far fronte all’incapacità di utilizzare le risorse destinate dall’Europa, all’altissimo tasso di disoccupazione giovanile, alla crisi dell’agricoltura, della pesca e dell’industria, alla mancanza di stimoli verso la ricerca e lo start-up d’impresa, alla pesantezza della burocrazia, al buco nero della gestione e dello smaltimento dei rifiuti, allo stato di dissesto idrogeologico dei nostri territori, all’assenza di politiche adeguate all’ammodernamento delle infrastrutture, alla carenza di progettazione in settori strategici come energia, acqua, sanità, ambiente e territorio, beni culturali e turismo, il mare e le coste. “Sicilia bene comune” intende contribuire alla costruzione di questo progetto, attraverso la costituzione di luoghi di partecipazione e di incontro tra le forze sane e propositive dell’Isola, siano essi cittadini, operai, professionisti, imprenditori o amministratori. Luoghi che non sono “contro” la politica partitica, ma che hanno l’obiettivo di andare oltre le forme tradizionali della politica. Per sostenere l’affermazione della legalità democratica e promuovere un reale rinnovamento etico. Come avvenuto con il programma partecipato del 2006, oggi si ripropone l’esigenza di partire dai contenuti, da un programma per la Sicilia e solo dopo questi indispensabili passaggi sarà possibile discutere del metodo per la scelta delle candidature. Farlo prima, eludendo ancora una volta il confronto con la società, significa essere come quell’orchestra che continua a suonare mentre la nave affonda. (RITA BORSELLINO – deputata al Parlamento Europeo)