C’è un autorevolissimo giornalista che lavora a Palermo, Sebastiano Messina, che probabilmente si sente appagato dal rappresentare la vicenda politica siciliana attraverso “traditori” e “collaborazionisti” (dobbiamo attenderci la fucilazione?) o avidi uomini del PD che aspettano solo di salire sulla giostra del potere. Buon per lui. Ma io sinceramente spero che Sebastiano Messina possa capire un po’ meglio la politica siciliana e avere maggiore rispetto per i suoi protagonisti.

E spero che ciò avvenga presto perché se continuerà a dare, attraverso i suoi editoriali, una lettura volutamente parziale del rapporto fra il PD e il governo della Regione, non farà un buon servizio né ai suoi lettori né ai siciliani. A proposito dell’intervento pubblicato domenica sull’edizione palermitana di Repubblica dal titolo “Se il PD entra alla corte di Lombardo”, voglio guardare al merito della situazione politica siciliana senza farmi condizionare dalle recenti vicende giudiziarie che coinvolgono il presidente Lombardo. Non prima, però, di ribadire il mio silenzioso rispetto per l’autonomia e l’indipendenza della magistratura a cui spetta assumere le decisioni del caso senza sconti per nessuno, pur in un contesto generale divenuto oggettivamente più difficile a causa della fuga di notizie. Detto ciò, rivendico con convinzione e orgoglio il lavoro svolto dal gruppo parlamentare del PD all’Ars e i risultati raggiunti: mi riferisco, in particolare, alle due recenti leggi sul Piano Casa e, soprattutto, sul sistema dei rifiuti. Con la prima ci siamo conformati ai criteri restrittivi fissati dalla Conferenza Stato-Regioni presieduta da Vasco Errani, abbiamo introdotto limiti escludendo interventi nei centri storici e nelle aree ad alta densità edilizia e previsto incentivi a favore degli interventi innovativi nel campo della bioedilizia e dell’autonomia energetica: altro che “assalto al territorio”, come invece sostiene Sebastiano Messina. Con la legge sui rifiuti, poi, abbiamo definitivamente messo in soffitta il modello voluto dal governo Cuffaro, che ci ha lasciato in eredità oltre un miliardo di debiti, i rifiuti per strada e il caos sulla vicenda degli inceneritori. Abbiamo cancellato quelle 27 postazioni di sottogoverno rappresentate dagli Ato, che sono stati ridotti a 10 con il solo compito di definire i criteri per le gare di appalto, affidando nel contempo ai comuni la responsabilità della gestione del contratto di fornitura del servizio. Abbiamo messo al centro del sistema la raccolta differenziata ed eliminato in radice l’affare dei termovalorizzatori: e allora, guardiamo all’insieme della riforma e non all’effetto collaterale di aver chiuso l’attività dei pochissimi Ato funzionanti! Ma andiamo alle questioni più squisitamente politiche. L’alleanza che due anni fa ha vinto le elezioni regionali è entrata in crisi o no? Questo interrogativo fondamentale viene singolarmente rimosso dall’autorevolissimo Sebastiano Messina. Ebbene, io credo che quell’alleanza sia entrata in una crisi irreversibile, e quando Lombardo ha dichiarato di aver reciso il cordone ombelicale con la maggioranza che lo ha sostenuto alle elezioni, per noi le strade percorribili erano due: invocare le elezioni anticipate (per la seconda volta nell’arco di due anni) con il probabile effetto di avvantaggiare una parte del centrodestra, compresa l’UDC; oppure allargare ancora la forbice della spaccatura con una robusta attività riformatrice su questioni centrali per la vita di tutti i siciliani come l’acqua, l’efficienza della pubblica amministrazione, la sanità, la formazione professionale, il ruolo degli enti locali, affrancando per questa via Lombardo e il suo Movimento dall’abbraccio degli ex alleati. Il mio partito, a stragrande maggioranza, con il voto dell’una assemblea regionale composta dai delegati eletti alle primarie, ha scelto la seconda strada: rimango convinto che questa sia la scelta giusta per un partito che vuole concretamente cambiare la Sicilia e non accontentarsi di testimoniare una mera aspirazione astratta. E si badi: nel pensare e agire in questo modo, tanti di noi operano con l’orgoglio di interpretare così l’eredità lasciataci da chi ha sacrificato anche la propria vita per cambiare la nostra terra. Non siamo certo infallibili e molti di noi ogni mattina, a partire dal sottoscritto, si interrogano sulle scelte fatte e su quelle ancora da fare, senza sottovalutare le insidie che si nascondono tra le mille pieghe di una terra difficile come la nostra. Ma preferiamo battere la strada più rischiosa e faticosa dell’innovazione politica piuttosto che adagiarci nell’autocompiacimento della nostra (presunta?) diversità politica e morale, magari nel chiuso di un salotto frequentato dai soliti quattro amici. Anche perché personalmente non mi fido della politica che si fa nei salotti, per non parlare di quella che ultimamente si fa nel salotto buono della città. Preferisco quella da bar. È più seria.