(di Antonello Cracolici) -  “Chi butti giù dalla torre: Cuffaro o Lombardo? Castiglione o Miccichè?”.

 Questo modo di vedere le cose, dettato probabilmente anche dalla necessità di semplificazione degli organi di stampa, è fuorviante. Qui non si sta discutendo di persone, ma di modelli politici e amministrativi:

 perdere di vista questo punto di partenza devia profondamente l’approccio al dibattito che sta caratterizzando la vita politica siciliana. E per capire di cosa stiamo discutendo oggi, è necessario fare un passo indietro. Nella stagione del cuffarismo le parole d’ordine erano ‘amministrare l’esistente’, ‘gestire il più possibile’. E dove non era possibile gestire direttamente, la Regione esternalizzava. Un esempio su tutti è l’Arra, pachiderma targato Cuffaro creato apposta per un innovativo sistema di riciclaggio: trasformare i rifiuti direttamente in business. Poi, dopo la traumatica fine della scorsa legislatura, il centrodestra ha puntato su Raffaele Lombardo il quale, probabilmente perché si è reso conto che la situazione era stata portata al limite del tollerabile, si è trovato ‘costretto’ a invertire la rotta, incontrando però la resistenza di buona parte dei suoi alleati che, affezionati alla gestione cuffariana del potere e del consenso, volevano che ‘tutto restasse com’era’. Ecco perché lo scontro non è fra Lombardo e Cuffaro, fra Miccichè e Castiglione: lo scontro è fra ‘riformisti per necessità’ e ‘conservatori del potere’.

E il PD, che ha perso le elezioni, che ruolo ha avuto?

Le strade di fronte a noi erano due: scegliere di stare fermi, al sicuro nella nostra trincea da ‘opposizione intransigente’, sapendo che dicendo sempre ‘NO’ avremmo avuto la coscienza a posto di fronte ai nostri elettori, ma sapendo anche che impedendo il cambiamento, per quanto si trattasse di un ‘cambiamento di necessità’, avremmo contribuito a tenere in vita il vecchio sistema cuffariano; oppure il PD poteva provare ad intervenire, a ritagliarsi un proprio ruolo (cosa che, in parte, abbiamo fatto). Siamo stati all’opposizione, ma non ci siamo tirati indietro quando si è trattato di avanzare proposte, di confrontarci. Questo nostro atteggiamento da ‘opposizione propositriva’ ha portato a due risultati: dal punto di vista legislativo abbiamo migliorato le (poche) riforme varate dal governo; dal punto di vista politico abbiamo fatto esplodere, in Sicilia, le più grandi contraddizioni all’interno della coalizione di centrodestra. Un centrodestra che, a Palermo come nel resto d’Italia, non è mai stato unito da ideali e prospettive comuni, ma solo da interessi e dal grande-collante-Berlusconi. Ma quando anche questo collante ha iniziato a cedere, la coalizione si è spappolata, in Sicilia più che altrove, grazie anche all’azione del Partito Democratico che specie nelle dinamiche parlamentari ha saputo cogliere, ed evidenziare, le contraddizioni di un centrodestra. Un centrodestra che oggi è finito. Forse cercherà di sopravvivere, con i suoi esponenti che continueranno a legittimarsi come hanno fatto fin’ora: insultandosi l’un l’altro. Ma la verità è che è finito un ciclo e paradossalmente l’elezione diretta del presidente, introdotta nel 2001 per portare stabilità in un sistema politico fragile, oggi non è in grado di mitigare la grave crisi in atto.

Ma Lombardo davvero pensa di continuare a galleggiare in questo modo

Dica cosa vuole fare, e come vuole farlo, e lo dica ai siciliani. L’unica cosa che non può fare, è continuare a far finta di non capire. (Giornale di Sicilia, 19 novembre 2009)