(di Agostino Spataro) -  A conclusione di questa surreale campagna elettorale, sembra che in Sicilia il 6-7 giugno s’andrà a votare per la formazione del Lombardo-bis e non per il rinnovo del parlamento europeo. E’ stata una campagna decisamente fuori tema. La gran parte di partiti e candidati, che pure stanno facendo carte false pur di conquistare un seggio a Strasburgo,

hanno evitato di parlare d’Unione europea e soprattutto dei rapporti attuali e delle prospettive che legano la Sicilia all’Europa e al Mediterraneo. Le cause sono tante. Tuttavia quella che ha più influito, come potente deviante, è stato l’azzeramento improvviso della giunta regionale, voluto dal governatore Lombardo che è anche candidato in più circoscrizioni e non sa che fare per superare il fatidico sbarramento del 4%. Si è voluta imbastire una finta maxi-rissa fra partiti alleati del centro-destra da “trasmettere” sui media fino al 7 giugno. Il giorno dopo- statene certi- troveranno l’accordo. Insomma, niente Europa solo Sicilia, per giunta quella dal volto più arcaico e rissoso del clientelismo, dell’affarismo. Un giochino non proprio originale in cui taluni sono cascati. Una colossale mistificazione che ha accentuato il disamore degli elettori verso il voto e fa temere una valanga astensionista.

La Sicilia ha un disperato bisogno d’Europa L’Europa

è lontana mentre la Sicilia è vicina. Avranno pensato gli imbonitori di turno. Errore! Perché, senza l’Ue la Sicilia non può andare da nessuna parte. In tutti questi decenni, l’Europa è stata per l’Isola una cassaforte ben munita cui attingere per il finanziamento d’importanti opere infrastrutturali, di attività scolastiche e formative, di politiche turistiche, dei trasporti e dei beni culturali, ecc. Senza questi fondi (e i tanto discussi e mai arrivati Fas) la regione siciliana non avrebbe possibilità di fare nuovi investimenti. Sarebbe un colpo durissimo, forse letale, per l’economia, i commerci, le pubbliche amministrazioni che, talvolta, finanziano le spese correnti coi fondi UE. Persino i saggi di fine anno dei nostri istituti scolastici si realizzano con contributi europei. Questa Europa, di cui nessuno discute, è dunque importante per i flussi finanziari, ma soprattutto per costruire un nuovo futuro economico e sociale. La Sicilia ha un disperato bisogno d’Europa, anche per uscire da una condizione gretta di marginalità e d’illegalità che la opprimono da lungo tempo. Altro che incatenarla ancor di più- come si vorrebbe- a una visione gretta, clientelare, falsamente autonomistica! Senza un forte ancoraggio all’Unione europea, l’Isola sprofonderà in questo Mediterraneo delle contraddizioni ma anche di nuove, interessanti opportunità. Bisogna guardare oltre la prospettiva della “zona di libero scambio” (che non scatterà nel 2010) e che, in ogni caso, non è la panacea dei nostri guai. Anche perché per scambiare beni, merci e servizi bisognerebbe prima produrli. E la Sicilia ne produce pochi e scarsamente competitivi.

Spostare a sud l’asse dello sviluppo europeo

Una classe dirigente, degna di questo aggettivo, invece che litigare per qualche misera poltrona, dovrebbe saper cogliere le grandi opportunità provenienti dai mercati europeo e mediterraneo. A cominciare dai grandi flussi commerciali e di materie prime che passano attraverso il canale di Suez, in provenienza dall’Asia (Cina, India, Giappone) e dall’Africa verso l’Europa. Così come la gran massa di petrodollari che dal Golfo persico cominciano ad orientarsi verso i Paesi rivieraschi mediterranei e non più solo verso Usa e nord Europa. Insomma, ad Abu Dhabi o negli Emirati non ci si deve andare per spassarsela a spese del contribuente, ma per trovare investimenti e proporre joint-ventures. Certo, oggi il Sud e la Sicilia non sono attrezzati per una prospettiva simile. Forse, nemmeno ci si sta pensando seriamente. Eppure molto si potrebbe fare nel quadro di una nuova politica dell’Unione che, dopo l’allargamento ai Paesi dell’Est europeo, volga il suo sguardo verso il mediterraneo, spostando a sud l’asse del suo sviluppo. Per altro, questa scelta dovrebbe essere in un certo senso obbligata visto che, avendo le regioni del centro-nord raggiunto un certo grado di saturazione, solo quelle meridionali offrono la possibilità di un’espansione razionale ed eco-compatibile rispetto al grande mercato mediterraneo ed arabo in espansione. Ovviamente, il discorso non può essere solo economico, mercantilistico, ma va ampliato agli aspetti politici, culturali, umanitari perfino.

L’unica speranza prima del crollo

All’interno di tale prospettiva si dovrà collocare il ruolo dell’Isola e l’iniziativa delle sue forze sane, moderne e produttive. Perciò, bisogna mandare a Bruxelles gente capace di rappresentare degnamente questa speranza. L’unica che ci resta prima del crollo. Oggi, la Sicilia vive una condizione di grave disagio, al limite della disperazione, come denunciano le varie statistiche. Il 31% (1 su 3) delle famiglie siciliane vivono al di sotto della soglia di povertà. Un dato allarmante generato da un sistema di potere arcaico, familistico, corporativo che ha divorato fiumi di finanziamenti pubblici, europei e nazionali, e prodotto un ceto dirigente consociativo, oscillante fra deteriori trasformismi e smisurate ambizioni politiche e di potere. Per uscire dalla crisi, che in Sicilia c’è sempre stata (l’ultima l’ha solo aggravata), c’è più bisogno d’Europa e del suo parlamento che, per altro, è l’unica istituzione eletta dai cittadini dei 27 Stati.